domenica 13 ottobre 2024

Via dalla pazza America del tramonto

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In due post scritti nei  giorni scorsi indicavo, anche sulla scia dell’ultimo libro di Emmanuel Todd, che l’unica salvezza per l”Europa e dunque per l’Italia, è di togliersi  dalle grinfie degli Usa che si sono affilate su di noi per ben più di un secolo, anche se sotto forme diverse. Un’operazione che la sconfitta della Nato in Ucraina renderebbe non solo praticabile, ma di fatto inevitabile. Capisco che questo approdo possa sembrare estraneo e persino paradossale a generazioni che dal secondo dopoguerra vivono immerse nel mito americano, ma in realtà esso è nelle cose: potrà prendere corpo a seguito della sconfitta della guerra contro la Russia, ma si tratta soltanto di un’accelerazione di un inevitabile processo di declino dell’impero dovuto a una lunga serie di fattori che tuttavia fanno parte delle logiche intrinseche al  neoliberismo

Senza stare a fare discorsi complessi che andrebbero dallo sviluppo del capitale fino all’anarchismo desiderante di Toni Negri, scambiato dai ciuchini per “marxismo”, possiamo facilmente vedere i fatti: alla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti erano praticamente soli come potenza economica, rappresentavano il 50 percento del Pil globale e detenevano l’80% delle riserve mondiali di valuta forte. Ma oggi la quota degli Stati Uniti nell’economia mondiale si è ridotta al 14,76%  secondo i dati Fmi. Quest’ultimo dato è però fuorviante dal momento che il 20 per cento di tale Pil è formato finanza, assicurazioni e immobiliare che sono forme più parassitarie che produttive. Al netto di questi fattori e di altri come per esempio i folli costi della sanità che esclude metà della popolazione da un’assistenza decente, la quota reale degli Stati Uniti nell’economia mondiale è poco più dell’8% e sebbene essa non sia trascurabile, tale quota non è minimamente sufficiente a dare agli Usa un potere di governo e di veto negli affari mondiali. Il problema è che gli americani, in particolare coloro che occupano posizioni di autorità a Washington, non tengono conto di questa realtà, vivono nell’autocelebrazione e perciò credono di poter ancora dettare le condizioni al mondo intero e trovano sempre più imbarazzante nascondere il fatto che quasi tutto il pianeta, a parte gli europei sotto il tallone dell’oligarchia della Ue, si sente libero di ignorarli.

Uno degli strumenti dell’impero è stato il dollaro come moneta fondamentale degli scambi mondiali, cosa che ha reso possibile una sorta di imperialismo monetario restringendo e allentando, a seconda dei casi, l’offerta di dollari. Tuttavia già nel 71, a seguito della guerra del Vietnam,  dovette essere abolita la convertibilità del biglietto verde in oro, mentre nell’86, quando Washington si apprestava a festeggiare la vittoria sul comunismo,  gli Stati Uniti passarono da essere creditori netti (una posizione che avevano dal 1914) a debitori netti, rendendo la loro capacità di drenare risorse  dal resto del mondo, con le buone o con le cattive, una questione di sopravvivenza. In effetti la capacità di conciliare  un’infinita capacità di indebitamento con un valore stabile del dollaro è stata perseguita con una serie continua di guerre artificialmente provocate che hanno preso di mira principalmente chi voleva liberarsi della divisa americana come moneta di scambio obbligata.

Tuttavia questa creazione di caos non ha avuto l’esito che ci si attendeva come è accaduto in Afghanistan e Siria mentre le stesse rivoluzioni colorate che sono state lo strumento politico di eccellenza per far fuori governi che cercavano di recuperare un po’ di autonomia, hanno cominciato a fare cilecca, almeno in alcuni casi: lo dimostrano Venezuela, Bielorussia, Georgia e Slovacchia. La stessa Russia è stata investita da questo tentativo, dopo il riuscito golpe arcobaleno in Ucraina, Paese usato poi come clava contro Mosca, ma questa volta gli Usa si sono trovati di fronte a un’opposizione armata che non sono riusciti a spezzare e da cui anzi sono stati spezzati. Il che ha costituito un esempio per tutto il resto del pianeta, vedendo il bullo con un occhio nero. Non è un caso se si sono sviluppati casi di ammutinamento sempre più numerosi dentro il Washington consensus che vanno dall’Arabia Saudita che si è rifiutata di i estendere il suo accordo sul petrodollaro, alla Turchia che ora sta cercando di entrare nei Brics, passando per numerosi atti di insubordinazione di Paesi più piccoli come ad esempio l’Ungheria e la Slovacchia. Ancora più importante è il fatto che tutto questo ha portato all’esito peggiore possibile per gli Usa: la creazione di una solida alleanza fra Russia e Cina.

Ci si era illusi che Pechino potesse appoggiare la guerra americana in Ucraina e dunque facilitare la sconfitta della Russia, ma ovviamente è accaduto l’esatto contrario visto che la stessa Cina è ufficialmente nel mirino degli Usa. Un esito quasi ovvio, ma che non è stato visto da un milieu politico di bassissimo livello derivante, esattamente come in Europa, dall’ascesa dell’oligarchia finanziaria. Lo stesso milieu del tutto inadeguato che ora fatica a vedere come la soluzione stia nell’accettare la realtà e scendere a compromessi con essa, trasformare il Paese  in giocatore lasciando perdere un ruolo di arbitro che non è più in nessun numero. Tanto più che il debito cresce a livelli stratosferici e il suo solo finanziamento costa mille miliardi a trimestre. Con tutto ciò che ne consegue compresa anche la possibilità di secessione di alcuni stati. In realtà proprio la frammentazione dell’Occidente, con il ritorno alle autonomie e agli interessi nazionali può salvarlo da una discesa all’inferno.

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