mercoledì 11 settembre 2024

11 settembre 1973: il colpo di stato in Cile e l’inizio della dittatura di Pinochet

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11 settembre 1973: il colpo di stato in Cile e l’inizio della dittatura di Pinochet
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L'11 settembre non ricordiamo solo l'attentato alle Torri Gemelle, ma anche il colpo di stato in Cile che segnò l'inizio di una lunga dittatura militare e che è considerato uno degli episodi più rappresentativi della Guerra Fredda. Ma cosa accadde di preciso quel giorno?

L'11 settembre non è solo l'anniversario dell'attentato alle Torri Gemelle a New York. Ben 28 anni prima, nel 1973, un altro evento sanguinoso sconvolse la vita a un paese americano, questa volta del Sud: il Cile. L'11 settembre 1973 è infatti il giorno del colpo di stato da parte del generale Augusto Pinochet ai danni dell'allora presidente Salvador Allende. Da quella data ebbe inizio anche una dittatura che durò per 17 anni e purtroppo fu molto violenta: in totale, morirono tra le 3.000 e le 5.000 persone, circa 200.000 dovettero fuggire dal paese e moltissime furono fatte sparire senza che mai sia stato ritrovato il corpo. Ma come mai accadde tutto questo? E cosa successe quel giorno di preciso?

Il contesto del colpo di stato in Cile: la Guerra Fredda

Durante gli anni '70, il mondo era nel pieno di quella che venne chiamata la Guerra Fredda. Per riassumere, tutti gli Stati erano direttamente controllati oppure contesi tra due sfere di influenza, rappresentate dagli Stati Uniti e dall'Unione Sovietica (la Russia). Queste due grandi potenze non arrivarono mai allo scontro diretto ma fecero a gara su molti altri aspetti, anche militari, allo scopo di dimostrare chi fosse il più forte tra le due. Le sfide riguardavano ad esempio la conquista dello spazio (se ti ricordi, nel 1969 Louis Armstrong divenne il primo uomo sulla Luna), oppure lo sviluppo delle armi più tecnologiche, soprattutto di tipo nucleare.

Le ragioni dell'opposizione erano ideologiche: da un lato c'erano gli Stati Uniti con quello che viene definito il blocco occidentale, dove dominava un'economia di stampo liberista e c'era pochissimo controllo da parte dello Stato; dall'altro lato invece si trovava il blocco sovietico, guidato dalla Russia, che stava esportando il modello comunista, basato sul rifiuto della proprietà privata e su un controllo statale più capillare sul sistema economico. In poche parole: le due potenze che uscivano vincitrici dalla Seconda guerra mondiale si stavano ora spartendo il mondo e ognuna di loro temeva che l'altra diventasse più forte.

Così, in questa atmosfera di forte tensione, scoppiavano spesso dei conflitti. Pensiamo ad esempio alla Guerra in Vietnam, che durò per ben vent'anni e terminò solo nel 1975, in cui il governo americano decise di sostenere il dittatore Ngo Dinh Diem per fermare l'avanzata del comunismo.

Il Cile durante la Guerra Fredda

Nessun paese era immune a questa contrapposizione tra due poli, nemmeno il Cile appunto. Nel 1970 era stato eletto presidente Salvador Allende, padre della celebre scrittrice Isabel Allende, che guidava la coalizione di sinistra Unidad Popular, di ispirazione comunista e socialista. Insomma, più affine all'influenza dell'Unione Sovietica. Allende aveva battuto per pochi voti la coalizione di destra che invece era più vicina all'influenza degli Stati Uniti.

A molte parti della società cilena, il presidente eletto non piaceva. Ma soprattutto, le elezioni avevano preoccupato gli Stati Uniti. Allende decise infatti di nazionalizzare, cioè passare sotto il controllo dello stato, diverse grandi imprese e di avviare una riforma agraria che molti proprietari terrieri non gradirono. Si occupò inoltre di riformare il sistema sanitario, il sistema scolastico e di avviare un programma per la distribuzione gratuita del latte ai bambini.

Insomma, stava cambiando tutta l'economia ispirandosi ai valori del comunismo e del socialismo. In particolare, si concentrò sulle miniere di rame, un minerale di cui il suolo cileno era ricco, che portò interamente sotto il controllo dello stato cileno, togliendole alle grandi compagnie statunitensi.

Purtroppo, però, la situazione economica del paese non migliorò e nel giro di un paio d'anni, iniziarono i grandi scioperi e le manifestazioni contro il governo. I principali partiti di opposizione si coalizzarono e si unirono dal Partito Nazionale, di destra: per Allende e la sua squadra era sempre più difficile proseguire nelle riforme e far approvare le proprie leggi.

Le prove generali del colpo di stato

Il 29 giugno del 1973, il colonnello Roberto Souper assieme a un reggimento di militari riuscì a circondare il palazzo presidenziale, La Moneda, Fu un primo tentativo di colpo di stato (golpe, in spagnolo) che, sebbene fallì, fu determinante per gli eventi che accaddero nei giorni successivi. A luglio si verificò un altro episodio simile, che coinvolse anche gli operai delle miniere di rame. Il governo appariva ormai debole e incapace di far rispettare le leggi e l'ordine pubblico.

Si iniziò così a diffondere il malcontento anche tra l'esercito e sempre più ufficiali erano favorevoli a destituire (cioè a togliere dal suo ruolo) il presidente Allende. Il ministro della Difesa e comandante in capo dell'esercito, Carlos Prats, fu costretto a dimettersi e al suo posto indicò un generale che riteneva fedele: Augusto Pinochet.

Cosa accadde in Cile l'11 settembre 1973

Alle 6:30 del mattino dell'11 settembre 1973 a Santiago del Cile iniziò ufficialmente il colpo di stato, con alcune navi della marina militare che occuparono il porto di Valparaíso, sull'Oceano pacifico e l'arresto dell'ammiraglio Raúl Montero Cornejo, fedele al presidente Allende. Ma Allende non capì cosa stesse accadendo fino alle 8:30, quando ormai era troppo tardi.

L'esercito aveva già preso il controllo delle stazioni radio e tv, ad eccezione della radio Magallanes del Partito comunista cileno. È importante perché proprio da qui il presidente Allende parlerà per l'ultima volta alla nazione. I militari ordinarono infatti che il palazzo de La Moneda venisse evacuato entro le 11 o sarebbe stato attaccato. Allende si rifiutò, come disse lui stesso nell'ultimo intervento: «Non mi dimetterò. Pagherò con la mia vita la lealtà della gente». Alle 14 del pomeriggio, poi, si tolse la vita.

La dittatura militare di Pinochet

Da quel giorno ebbe inizio un periodo molto buio per la storia del Cile: salì al potere una giunta militare presieduta da Augusto Pinochet, che sospese la Costituzione, cioè la legge fondamentale dello Stato, sulla quale si basano tutte le altre leggi promulgate dal Parlamento e tutti i diritti riconosciuti ai cittadini. Eliminò i partiti, non solo quelli di sinistra, impose la censura alla stampa affinché non diffondesse notizie contro il regime, mise al bando scioperi e manifestazioni contro il governo, e prese il controllo di tutti gli apparati che formavano la macchina dello stato. Una dittatura in piena regola.

Ogni persona che si pensava potesse opporsi a Pinochet, veniva arrestata, torturata e in seguito uccisa. Chiunque poteva considerarsi un nemico interno e spesso veniva condannato a morte senza alcun processo. Sorsero improvvisamente più di 1.100 centri di detenzione in tutto il Paese che avevano lo scopo di cercare ed eliminare chi non la pensava come voleva il governo.

Ma il simbolo di questo sistema violento fu sicuramente lo stadio nazionale di Santiago del Cile, trasformato in un'enorme prigione: arrivò a contenere fino a 7.000 persone in una volta, che venivano detenute e costrette a dormire in quello spazio senza coperte, senza servizi igienici e sotto la continua minaccia di torture e morte.

Chi erano i desaparecidos

È difficile avere un numero preciso di quante persone morirono in quegli anni. Era infatti molto diffuso il fenomeno dei desaparecidos: persone che venivano arrestate e poi fatte sparire nel nulla. Oggi abbiamo solo cifre indicative da parte della Commissione della Verità e Riconciliazione del Cile: 2.125 sono le morti accertate (ma si pensa che siano molte di più), 1.102 le sparizioni riconosciute, 307 i corpi ritrovati, 31.000 le persone torturate e perseguitate.

Quando finì la dittatura militare in Cile

Nel 1974 Augusto Pinochet prese definitivamente il potere e passò da capo della giunta militare a Capo Supremo della Nazione. A partire dagli anni Ottanta, però, il regime entrò in crisi soprattutto per le difficoltà economiche che stava vivendo il paese. Nello stesso tempo, si andava verso la fine della Guerra Fredda e del mondo diviso in due blocchi. Iniziarono delle proteste di massa contro il governo, ormai indebolito, e soprattutto fu indetto uno sciopero generale.

Nel 1988 Pinochet indisse un referendum per far scegliere ai cittadini se farlo rimanere in carica come presidente per altri 8 anni: con sua sorpresa, vinse il "no". L'anno successivo si tennero le prime elezioni libere dopo il periodo della dittatura. Pinochet però rimase in Cile come capo delle forze armate e poi come senatore a vita, per essere certo di avere l'immunità parlamentare, cioè di non poter essere condannato per decisioni o fatti che aveva compiuto mentre rivestiva la sua carica politica.

La condanna internazionale a Pinochet

Nel 1998 un giudice spagnolo, Baltasar Garzón, emise un mandato di cattura internazionale contro Pinochet, perché tra le vittime della dittatura vi furono anche cittadini spagnoli. Fu poi arrestato a Londra, ma non venne mai condannato. Morì nel 2006, a 91 anni a causa di un attacco di cuore. Il generale non si pentì mai dei crimini che aveva commesso, eppure ancora oggi si cercano i corpi dei desaparecidos e si prova a ricostruire cosa accadde a migliaia di cittadini cileni in quegli anni.

FONTE: Treccani

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