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Lungi dall’essere meno di quanto dichiarato dal Ministero della Sanità palestinese, i morti “attribuibili” alla campagna militare in corso a Gaza sarebbero ben al di sopra di quanto fino a oggi riportato, e precisamente ammonterebbero a oltre 185.000 persone, circa il 7,9% della popolazione totale della Striscia. A dirlo è l’ultimo studio apparso sulla rivista scientifica The Lancet, relativo al massacro di civili in corso a Gaza. L’articolo, dal titolo “Contare i morti a Gaza: difficile, ma essenziale”, prova a fare un generico bilancio delle morti causate dal conflitto in corso in Palestina, calcolando il numero di decessi diretti e indiretti – ossia dovuti a malattie, carenza di servizi, ferite incurabili, carestia, e in generale cause direttamente derivate dalla guerra – che lo stato di assedio totale della Striscia avrebbe causato. Stima, dice lo studio, decisamente al ribasso, e certamente destinata a crescere se non viene imposto “un immediato e urgente cessate il fuoco”, che sia capace di garantire “la distribuzione di forniture mediche, cibo, acqua potabile, e ulteriori risorse per i bisogni umani fondamentali”.
Lo studio della rivista The Lancet è stato pubblicato venerdì 5 luglio, e porta la firma di tre accademici, Rasha Khatib (ricercatrice presso l’Istituto di Ricerca Aurora, negli USA, e affiliata alla Birzeit University, in Palestina), Martin McKee (professore presso la Scuola di Igiene e Medicina Tropicale di Londra), e Salim Yusuf (medico e professore presso la Scuola Medica dell’Università di McMaster del Canada).
Dopo avere discusso della validità dei dati condivisi dal Ministero della Sanità di Gaza, e delle evidenti difficoltà nelle operazioni di raccolta e gestione di essi, l’articolo passa al calcolo dei possibili morti attribuibili al conflitto in corso a Gaza: “i conflitti armati hanno implicazioni sulle salute indirette, che vanno oltre il danno diretto derivante dalla violenza”; essi portano alle cosiddette “morti indirette” che possono derivare tra le tante cose da “malattie riproduttive, trasmissibili o non trasmissibili”. Queste trovano la loro origine ultima nella “distruzione delle infrastrutture sanitarie, nella grave carenza di cibo, acqua e riparo, nell’incapacità della popolazione di fuggire verso luoghi sicuri”, ma anche nello stop ai finanziamenti all’UNRWA, “una delle pochissime organizzazioni umanitarie ancora attive nella Striscia di Gaza”. Come spiegano gli accademici, “nei conflitti recenti, queste morti indirette variano dalle tre alle quindici volte il numero delle morti dirette”; è per tale motivo che, “applicando una stima conservativa di quattro morti indirette per una morte diretta” alle oltre 37.000 riportate “non è inverosimile stimare che fino a 186.000 – o anche più – morti potrebbero essere attribuibili all’attuale conflitto a Gaza”.Che a Gaza sia in atto una vera e propria catastrofe umanitaria è cosa nota e denunciata da mesi. A tal proposito l’ONU ha recentemente messo Israele nella cosiddetta “lista nera” dei Paesi che maltrattano i bambini, sottolineando lo stato di assoluta carestia in cui versano i giovani palestinesi, e non solo. Oltre a utilizzare la fame come strumento di guerra, Israele avrebbe, secondo numerosi rapporti indipendenti e di organismi internazionali (primo fra tutti “Anatomia di un genocidio” di Francesca Albanese) distrutto la maggior parte dei rifugi umanitari, degli ospedali (almeno il 77% del totale), delle case (almeno il 60%) e degli edifici residenziali (68%), delle università (tutte) e delle altre strutture del mondo dell’istruzione (60%), delle infrastrutture di telecomunicazioni (68%), di municipio (72%), e del commercio e industriali (76%), oltre che negato ai palestinesi l’accesso ad acqua ed elettricità. Contro lo Stato ebraico sono aperte indagini relative all’uso sistematico di abusi sessuali e torture sui palestinesi, ma anche una per genocidio, e un’altra indetta dalla Corte Penale Internazionale che coinvolge direttamente il Primo Ministro Netanyahu e il Ministro della Difesa Yoav Gallant.
[di Dario Lucisano]
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