(Milena Gabanelli e Andrea Priante – corriere.it)
«Dare
soldi è una cosa facile ed è in potere di ogni uomo. Ma decidere a chi
darli e quanti e quando, e per quale scopo e come, non è in potere di
ogni uomo e non è una questione facile» (Aristotele).
In
effetti è un tema difficile perché per donare soldi bisogna averli, e va
considerato anche il «come» sono stati accumulati.
Per dare concretezza
a un concetto elevato, prendiamo come modello due esempi: Brunello Cucinelli, imprenditore del lusso, e Isabella Seràgnoli, azionista unico del Gruppo Coesia.
Hanno in comune due cose: pagano per intero le tasse in Italia, non dove conviene di più, e pensano che nessuno faccia i soldi da solo, pertanto una parte deve tornare alla collettività. In quale modo? Un punto non banale.
I dipendenti
Brunello Cucinelli nel 1978, a 25 anni, si mette a
produrre abbigliamento di lusso nel borgo di Solomeo, alle porte di
Perugia. La materia prima è il cachemire che, fino ad allora, veniva
venduto solo nelle sue tinte naturali (bianco, marrone e beige). Lui si
inventa di colorarlo, i suoi capi diventano riconoscibili in tutto il
mondo, le vendite decollano e oggi l’azienda fattura 1,144 miliardi di
euro l’anno.
Al contrario di prestigiosi marchi del made in
Italy produce realmente tutto nel nostro Paese e le tasse versate per
intero in Italia.
Nel quartier generale di Solomeo, a Gubbio, a
Carrara e in Abruzzo lavorano 1.500 dipendenti e altri 1.500 nei negozi
sparsi un po’ in tutto il mondo. Si pratica il modello di sostenibilità
economica, ambientale, culturale. Lo stipendio dei dipendenti è fino al 40% in più di quanto prevede il contratto nazionale del manifatturiero (tradotto:
la busta paga di una sarta è di 2.300 euro netti al mese, a fronte dei
1.500 previsti dal contratto nazionale del manifatturiero), non si lavora il sabato e la domenica, la mensa aziendale è un ristorante, bonus cultura (i
dipendenti possono spendere 500 euro l’anno – per chi ha figli la cifra
è più alta – per acquistare libri, ingressi a teatro, concerti).
No consumo di suolo
I luoghi di lavoro sono in aree verdi.
Operano per Cucinelli anche
391 laboratori privati, il 75% in Umbria, che danno lavoro ad altri
7.800 artigiani.
Tutta la filiera di appalti e subappalti è vigilata e
deve rispettare il rigidissimo codice etico di Cucinelli.
Anche le
materie prime arrivano da fornitori per il 94,5% operativi sul
territorio italiano.
Il piano ambientale va nella direzione del non
consumo di suolo:
1) acquisto di aree degradate,
2) abbattimento di
capannoni e bonifica,
3) trasformazione in siti aziendali con intorno
coltivazioni.
Beneficio alla collettività
Nel 2010 nasce la Fondazione Cucinelli e negli anni ha investito un centinaio di milioni di euro nella ristrutturazione dell’antico borgo di Solomeo,
dotato la collettività di un teatro, una biblioteca universale e una
Scuola di Alto Artigianato dove gli studenti percepiscono uno
«stipendio» mensile (fino a 1.500 euro netti) per imparare un mestiere.
Ha costruito e donato al Comune il campo sportivo per i ragazzini del
paese.
Ora sta finanziando il restauro dell’acquedotto medievale di Perugia.
Dal 2020 i capi invenduti vengono donati in beneficenza alle Ong internazionali.
Tes Pharma
Le multinazionali farmaceutiche ritengono antieconomico
investire nella ricerca per la cura delle malattie che colpiscono un
limitato numero di persone.
A occuparsene restano quindi
università e centri di ricerca che si sostengono con donazioni e modesti
finanziamenti pubblici.
Solo quando il loro lavoro dà risultati
incoraggianti possono sperare che le big pharma acquistino il brevetto
per concludere lo sviluppo del farmaco e metterlo in commercio.
I
25 ricercatori di Tes Pharma fanno proprio questo: studiano molecole
per la cura di alcune forme di tumore raro e per patologie renali acute
per le quali non esistono ancora delle cure. A fondare Tes è
stato il professor Roberto Pellicciari, esperto (anche) di malattie
rare, che per dieci anni fa contemporaneamente il ricercatore, il
manager e il procacciatore di finanziamenti.
La svolta arriva nel 2020 quando Brunello Cucinelli decide di sostenerlo mettendoci 3 milioni di euro.
Oggi la start up dispone di macchinari all’avanguardia e di un team che
comprende biologi, chimici, informatici.
Spiega il professor
Pellicciari: «Trovare una cura alle malattie è sempre molto costoso e,
senza risorse adeguate, anche l’idea migliore è destinata a fallire».
Il Gruppo Coesia
Isabella Seràgnoli è presidente e azionista unico del Gruppo Coesia, con sede a Bologna.
Un secolo fa si chiamava Gd e faceva motociclette, poi il padre Enzo la
trasformò in un’azienda di macchine incartatrici, diventando una delle
più importanti al mondo nel settore del packaging.
Oggi fattura 2
miliardi di euro, dà lavoro a oltre 8mila persone ed è presente in 36
Paesi. Non fa operazioni di ottimizzazione fiscale: paga interamente le
tasse in Italia.
Filantropia sanitaria e sociale
Negli anni Settanta l’azienda costruisce e dona all’ospedale Sant’Orsola l’Istituto di ematologia oncologica e,
negli anni, ne finanzia l’ampliamento e l’ammodernamento. Nel ‘98
costruisce a Bentivoglio uno dei primi hospice italiani.
Nel 2003 nasce
la Fondazione Seràgnoli, un modello di filantropia imprenditoriale che opera attraverso quattro enti, ciascuno attivo in settori diversi:
Fondazione Mast, con mostre temporanee sul mondo dell’industria e del
lavoro, attività di formazione legata all’ innovazione e sviluppo
tecnologico rivolta ai dipendenti del gruppo e ai giovani del
territorio; la Fondazione Gruber, che si occupa di disturbi alimentari
con un centro ambulatoriale, ricovero e l’Accademia delle scienze della
nutrizione; la Fondazione Alsos, che finanzia studi e ricerche in ambito
sociale.
Ma c’è soprattutto la Fondazione Hospice Chiantore Seràgnoli,
interamente dedicata al finanziamento e alla gestione di strutture
sanitarie destinate ad alleviare la sofferenza dei pazienti con malattie
incurabili.
Negli ultimi 15 anni ha finanziato l’apertura del
reparto di cure palliative presso l’ospedale Bellaria, l’hospice di
Casalecchio, l’Accademia delle scienze di medicina palliativa e, da
ultimo, l’hospice pediatrico.
L’hospice per i bambini
Il rapporto sull’attuazione della legge sulla terapia del dolore stima, in Italia, una necessità di 35.000 posti letto per cure palliative dedicate a bambini. Solo il 10% di questo fabbisogno trova una risposta.
La Fondazione Seràgnoli ha messo 50 milioni di euro nella costruzione
dell’Arca sull’Albero, uno dei rari hospice che accoglie pazienti da 0 a
18 anni con patologie inguaribili o di grave complessità clinica.
L’edificio, che a tutto somiglia fuorché a un ospedale, è stato
inaugurato a Bologna il 14 giugno scorso e progettato da Renzo Piano:
«Volevo costruire una struttura che assomigliasse a un luogo fatato,
dove la morte purtroppo non diventa migliore, ma diventiamo migliori
noi».
Si tratta di 8.350 metri quadrati di spazi sospesi come
palafitte immerse in un parco di 16mila metri. La struttura, dotata di
50 operatori, è in grado di ospitare 14 piccoli pazienti e le loro
famiglie, ma alcune terapie si possono fare anche in day
hospital. Ogni camera ha una parete di vetro circondata da alberi e sul
soffitto un oblò per vedere sempre la luce del cielo. C’ è una piscina
per l’idrochinesiterapia, l’angolo di arte-terapia, la sala del commiato
e uno spazio meditativo. In questo e negli altri tre hospice i pazienti
non pagano nulla perché le strutture sono accreditate dal Servizio
Sanitario Nazionale che rimborsa alla Fondazione il costo vivo
giornaliero per ogni paziente in cura.
A quel 40% che manca per coprire i
costi di gestione ci pensa sempre la signora Seràgnoli.
dataroom@corriere.it
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