Quale epoca d’oro. In Ucraina le armi occidentali non portano la vittoria. Il Medio Oriente è in fiamme, con la Cina è sfida aperta. E niente cambierà a breve.
FABIO MINI – ilfattoquotidiano.it
Assorbiti dalla razione quotidiana di stupidaggini e assuefatti alla mancanza di ragionamenti stiamo vivendo un’epoca tutto sommato felice. Di beata ignoranza. Duro quindi lo sforzo di recuperare un minimo di obiettività e ancora più duro trovare uno spiraglio in cui il caro, vecchio buon senso, motore della saggezza popolare, riesca a bloccare l’onda di mucillaggine pseudo-politica e geopolitica che ci sommerge. Come l’omonima flora marina che prospera con il caldo e l’abbondanza di “nutrimenti” naturali e sintetici, la propaganda ha intasato i filtri intellettuali, appesantito le reti e soffocato la vita di un mare cerebrale di per sé già chiuso, come il nostro Adriatico. Le crisi e i conflitti armati sembrano ormai cronicizzati o si vuol far credere che lo siano e per questo sono transitati dall’emergenza all’ordinarietà.
La finzione delle armi occidentali in Ucraina
In Ucraina la Russia sembra in stallo e Zelensky e i suoi fingono di credere che il sostegno occidentale possa ribaltare la situazione e portare a una vittoria militare a lungo invocata, ma mai seriamente ricercata perché palesemente onirica. In realtà Kiev appare rassegnata all’idea di dover perdere territori, faccia, credibilità e autonomia. Non solo teme una svolta con l’eventuale presidenza Trump, ma è al suo interno che la situazione è diventata insostenibile. Esauriti i combattenti e le strutture produttive l’Ucraina sta in piedi con le elemosine, umilianti e insufficienti per mantenere lo Stato, ma più che laute per ingrassare gli oligarchi. Ora cominciano a scarseggiare anche gli obiettivi da battere e la Russia si sta organizzando per colpire quelli nuovi che affluiranno dai Paesi Nato: cioè noi, felici e ignari di essere in guerra.
La sconfitta della civiltà nella Striscia di Gaza
In
Medio Oriente, Israele ha già perso la guerra più importante, quella
della civiltà contro la barbarie rinunciando alla prima e abbracciando
la seconda che non si estingue con il grado di tecnologia ma si
manifesta con l’efferatezza e la violazione delle leggi. In Libano,
Israele colpisce i bagnanti incuranti o anch’essi ignari del fatto di
essere in guerra mentre a Gaza continua l’eliminazione di un popolo. Si
muore per fasce generazionali. Muoiono i padri e le madri, i loro figli
in età fertile e quindi potenziali genitori, muoiono i bambini e con
essi il futuro. Un piano scientifico “da manuale ”, eppure barbaro. Gli
Stati Uniti e gli altri Paesi civili e progrediti che sostengono Israele
rimangono imperterriti nel guado dell’ipocrisia fingendo umanità e
alimentando la crudeltà. Mentre il “mostro” iraniano spiazza tutti
proponendo una leadership più moderata, “Biden ha finalmente convinto i partner della Nato a dichiarare guerra alla Cina” (Nyt).
Per ora siamo alla “faccia feroce”, alle minacce di sanzioni,
ritorsioni e punizioni perché “Pechino alimenta la guerra russo-ucraina
con la fornitura di componenti dual use (impiego
civile/militare) “dai monopattini alle lavatrici”. Ma è evidente il
paradosso della minaccia da parte di chi alimenta la stessa guerra non
solo con i componenti ma con sistemi d’arma completi, soldi, munizioni,
informazioni e uomini. Così, dopo aver assegnato il ruolo di nemico
esistenziale agli Houthi dello Yemen e agli Hezbollah libanesi (le bande
scalze che osano sfidare le portaerei e i missili) ora la Nato si
dirige speditamente a fronteggiare il nuovo asse del Male. E i cinesi
continuano a strabuzzare gli occhi (si fa per dire) increduli di fronte
all’ostinazione occidentale nel farsi male da soli. In Europa dopo e a
prescindere dalle elezioni, la priorità non è la guerra e meno che mai
la pace, ma la conservazione delle poltrone comunitarie e della
sudditanza transatlantica. Da parte loro gli americani trovano inutile e
perfino sovversivo esaminare le ragioni dell’Iran, degli Houthi, di
Hezbollah, dei palestinesi, dei russi e dei cinesi o di quel Terzo o Sud
del mondo che in realtà, e non per paradosso, è più della metà del
globo. È invece paradossale che mentre la stessa America s’interroga
sulla salute fisica e mentale del proprio presidente nessuno consideri
che la stessa persona, nelle identiche condizioni mentali e con gli
stessi collaboratori di oggi, è quella che ha permesso, fomentato e
alimentato la guerra in Ucraina e in Europa contro la Russia, tosato gli
alleati e i vassalli come pecore grasse, destabilizzato il Medio
Oriente e attizzato il fuoco cinese. È anche paradossale che il mondo si
fermi e si ancori a pretesti bellici per via di una tornata elettorale
che divide e inasprisce l’intero Paese e spaventa il mondo. È
paradossale che nonostante il fallimento della Nato con la sua politica
di deterrenza convenzionale e il tradimento del Patto Atlantico e della
Carta dell’Onu da parte dei politici e burocrati euro-atlantici volti
alla reiterazione di guerre di aggressione e provocazione, gli unici
sforzi per un approccio più moderato vengano dai leader politici e capi
di Stato trattati come paria da rivali pseudo-democratici. Avranno
senz’altro i loro motivi, ma casualmente tali motivi consentono di
salvaguardare gli interessi dell’intera Europa molto più delle
estemporanee e arroganti posizioni dei burocrati internazionali. In
particolare, sono soltanto questi “paria” a vedere chiaramente il
pericolo che la continuazione del conflitto e del sostegno all’Ucraina
porti al crollo dell’Ucraina stessa e alla guerra nucleare in Europa. I
presupposti della guerra a oltranza contro la Russia stanno crollando. I
politici che li hanno sostenuti hanno perduto in casa propria eppure in
Europa come nella Nato sopravvivono gli apparati nei quali impazzano i
“nuovi europei” assetati di vendetta ideologica. La stessa retorica
dell’aggressore e dell’aggredito sulla quale hanno puntato i fautori
della guerra si è dimostrata falsa con l’ammissione della Nato di aver
usato l’espansione territoriale come strumento di pressione e
provocazione nei confronti della Russia. O l’ammissione della Germania
di aver “scherzato” con gli accordi di Minsk. In oltre due anni di
guerra, la Russia ha dimostrato nei fatti ciò che aveva dichiarato per
iscritto: non avrebbe invaso tutta l’Ucraina e non avrebbe minacciato la
Nato. Chi tira in ballo ancora oggi la violazione russa del diritto
internazionale considera soltanto ciò che fa comodo e da quando fa
comodo. Il diritto internazionale lascia uguale spazio giuridico anche
all’intervento a difesa di un popolo minacciato, la protezione delle
genti, il diritto all’autodeterminazione dei popoli. L’Ucraina e la
Russia in questo apparente stallo preelettorale si stanno muovendo verso
una stessa direzione: limitare i danni di una svolta politica
americana, in un senso o nell’altro. La Russia non è interessata a
colpire le grandi città ucraine, le basta aggirarle e isolarle. Sta
rafforzando le difese interne e il consenso popolare degli oblast annessi,
ma si prepara anche alla rinuncia a tali annessioni nel caso l’Ucraina
si dichiarasse neutrale. Sarebbe questo un passo importante per tutta la
sicurezza europea e proprio per questo sarà osteggiato non solo dagli
americani, ma dagli stessi europei imbambolati dalla dose massiccia
della loro stessa propaganda che si sono voluti sorbire. In caso di
conflitto diretto con la Nato o di provocazione militare di uno dei
Paesi membri, in particolare Polonia e Gran Bretagna, la Russia è pronta
ad allargare il conflitto e colpire pesantemente con o senza armi
nucleari le parti in guerra. Tuttavia, la Russia mantiene attivo il
collegamento del controllo nucleare con gli Stati Uniti e quello tattico
con le forze armate ucraine. È un processo dialettico anche se in senso
negativo: non dialogano ma si confrontano, con atteggiamenti seri e
altri truffaldini. È seria la trattativa sullo scambio dei prigionieri,
truffaldina la proposta di Zelensky d’invitare la Russia alla prossima
conferenza esplorativa sulla pace. Visto il fallimento della prima,
Zelensky vorrebbe portare la Russia sul banco degli imputati come ha
fatto alle Nazioni Unite. La Russia lo sa e per questo, come si usa fare
in diplomazia, vuole prima accordarsi sul risultato e poi partecipare
alla conferenza.
Le Presidenziali americane e le conseguenze europee
La
variabile sull’esito delle elezioni americane è di fatto un falso. Che
vincano i candidati democratici o il duo Trump- Vance la prospettiva per
l’Europa non cambia. Nel primo caso americani ed europei continueranno a
inviare armi, l’Ucraina a usarle contro la Russia che risponderà
colpendo altri Paesi europei. La Polonia è già stata avvertita. L’Europa
sarà costretta a incrementare le spese e le produzioni militari
sottraendo risorse a tutti gli altri settori, a partire dalle
transizioni tecnologiche, energetiche e ambientali. L’Ucraina sarà
soltanto un campo di battaglia del teatro di guerra europeo: una
battaglia in cui nessuno vince ma solo l’Ucraina come Stato e nazione
perde. Con Trump-Vance, la situazione cambierebbe molto se gli Usa
sospendessero le forniture all’Ucraina, trovassero un accordo con la
Russia per la sicurezza europea (neutralità ed esclusione dell’Ucraina
dalla Nato) e costringessero gli europei ad accettarlo. Purtroppo questo
è molto improbabile: dalle recenti dichiarazioni trumpiane appare
chiaro che gli Usa non hanno voglia di risolvere il problema della
sicurezza in Europa. Anzi, complici gli stessi vertici dell’Unione,
vogliono eliminarla come potenziale concorrente politico-economico e
ridurla allo stato di cliente da spennare restringendola in un ambito di
continua insicurezza.
In Europa e nel mondo, gli Usa vogliono semplicemente aumentare i profitti provenienti dai tributari e dagli alleati e ridurre i rischi di scontro nucleare strategico. Vogliono che a combattere in Europa siano gli europei, come i coreani in Corea, i giapponesi e gli altri asiatici in Asia e gli australiani in Oceania. Vogliono che le armi da dare all’Ucraina contro la Russia, a Israele contro tutti, a Taiwan e all’Australia contro la Cina siano americane o prodotte da compagnie americane. Non potendo esercitare il monopolio nucleare a livello globale gli Stati Uniti vogliono mantenere la libertà di esercitare la deterrenza strategica senza il rischio di ritorsioni sul proprio territorio o sulle proprie basi sparse per il mondo. Vogliono che tale condizione d’invulnerabilità strategica si estenda a terzi di loro gradimento e sia negata ai non graditi. Vogliono che la copertura strategica sia un “servizio” offerto agli amici e clienti a un prezzo iniquo e tasso usuraio. Non solo in termini di soldi, ma prima di tutto in termini di obbedienza politica e sudditanza economica. Tuttavia è chiaro che tale condizione d’invulnerabilità non è ancora effettiva e anzi durante gli ultimi 75 anni è cresciuto il dubbio che gli Stati Uniti rischino una guerra nucleare per salvare qualcun altro. Inoltre la stessa invulnerabilità strategica non elimina e anzi aumenta il rischio dell’impiego regionale o settoriale di armi nucleari cosiddette tattiche.
Le armi strategiche e l’escalation nucleare
In
Europa l’uso di tali armi da parte russa o Nato sarebbe una catastrofe
irrimediabile e Ucraina e Polonia ne sarebbero le prime vittime. In
Medio Oriente, Iran, Siria, Iraq e Libano sarebbero le prime vittime di
quelle israeliane e Nato, in Estremo Oriente la Corea del Sud, Taiwan e
lo stesso Giappone sarebbero le prime di quelle della Corea del Nord,
della Cina o degli Stati Uniti. Un monito, questo, per chi alimenta la
guerra dicendo di voler aiutare, far vincere, difendere o salvare
l’Ucraina, il Libano, la Corea o Taiwan. Purtroppo neppure le elezioni
americane che tutti attendono con trepidazione saranno in grado di
modificare il quadro conflittuale estero voluto dagli Stati Uniti. Anzi
si sta deteriorando quello interno non tanto e non solo per l’agone
politico, quanto per una tara che accomuna qualsiasi schieramento. “La
politica estera degli Stati Uniti è prigioniera della Storia?” si chiede
retoricamente la politologa Joanna Rozpedowski su Modern Diplomacy.
Ovunque a Washington aleggia il fantasma della Guerra fredda, dello
scontro ideologico e c’è sempre un nemico identico a Hitler, Mao o
Stalin. I successi veri o presunti del passato sono mitizzati e allo
stesso tempo inchiodano il pensiero politico. Gli Stati Uniti dovrebbero
rimodulare la propria visione del mondo “riconoscendo la natura
multipolare dell’attuale ordine mondiale “e non lo fanno. “Dovrebbero
confrontarsi con altre analisi politiche anche contrastanti” e non lo
fanno; “dovrebbero rinunciare all’allarmismo, alla retorica del “noi
contro loro” e all’abuso della minaccia dell’uso della forza e non lo
fanno. Sono prigionieri della propria storia, la storia del “secolo
americano” che dalla Seconda guerra mondiale in poi ha visto soltanto
guerre e insuccessi laceranti, all’estero e all’interno. Primo fra tutti
il declino della loro democrazia che tuttavia è ancora celebrata come
modello da esportare. Di questo declino si sono accorti, come al solito,
soltanto i giullari secondo i quali “gli americani a forza di esportare
democrazia ne sono rimasti senza”.
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