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Gli Stati Uniti sono, come ben sappiamo, uno stato che si crede talmente eccezionale da potersi permettere tutto. Così probabilmente abbiamo assistito nelle ultime settimane non a un golpe grigio, ma a due tentativi di colpo di stato contemporanei, uno dei quali è fallito mentre l’altro in corso. Ciò che il potere reale, lo stato profondo, le oligarchie si prefiggevano era impedire che entrambi i maggiori partiti esprimessero un candidato attraverso la discussione e lo scontro, insomma attraverso il processo democratico cui si vuole evidentemente porre fine ad eccezione, almeno per ora, delle ritualità.
Il primo tentativo che sembra aver avuto più di una facilitazione all’interno dei servizi, è fallito per una questione di millimetri e millisecondi, anche se non sarà possibile conoscere la verità poiché i servizi fanno chiaramente ostruzionismo: con l’eliminazione di Trump i repubblicani si sarebbero trovati privi del loro candidato così inviso ai grandi oligarchi e non avrebbero potuto che rivolgersi a un nome di emergenza, magari caldamente suggerito attraverso gli opportuni canali. Ma anche Biden è stato messo nel mirino di un’arma diversa: prima, quando i democratici dovevano votarlo, hanno mantenuta integra la favola della sua lucidità, poi l’hanno esposto al pubblico ludibrio, mostrandone le vere condizioni.
Il New York Times ha descritto Obama come il “burattinaio” di questa operazione e Pelosi come il “principale istigatore”, ma adesso ci sono anche seri dubbi che la lettera di dimissioni con la quale Biden raccomanda Kamala Harris sia autentica, mentre il vecchio Joe è letteralmente scomparso dai radar. Si vuole impedire che anche in extremis il partito discuta e scelga autonomamente un successore.Intendiamoci, che Biden fosse ormai fuori di testa era evidente a tutti e tutti mentivano agli elettori, ma anche molti elettori a se stessi, però in questo caso l’obiettivo è destabilizzare completamente il partito democratico e renderlo completamente impotente di fronte alle pressioni dell’oligarchia. Qualcosa che era apparso già abbastanza chiaro nel 2016 quando la scelta degli elettori era stata per Sanders, ma i risultati furono manipolati per far passare la Clinton. L’obiettivo generale in questo caso era quello di sostituire i candidati di entrambi i partiti con esponenti di spicco scelti e valutati dalle élite di comando: ciò avrebbe garantito che il “partito unico” restasse al potere per i prossimi quattro anni, indipendentemente dal voto di novembre, anche se la preferenza del potere reale è chiaramente per una vittoria democratica.
Tuttavia, diciamolo, molte cose sono andate storte, il che accade spesso quando un coagulo di potere entra in crisi: l’incoronazione di Kamala come candidata democratica de facto ha dissipato le illusioni sulla democrazia da parte di quel partito, ma è improbabile che dovesse essere lei a ricoprire questo ruolo, poiché ci si aspettava che l’assassino non avrebbe sbagliato il colpo contro Trump ed è appunto per questo che incongruamente in un primo momento si è tentato di mantenere in piedi la candidatura Biden, anche quando il re è apparso nudo. L’uccisione di Donald avrebbe portato a una convention repubblicana aperta qualche giorno dopo, che avrebbe fatto apparire meno anomala quella pianificata dai democratici il mese successivo. Poiché Trump è sopravvissuto ed era ovvio che il suo vantaggio sul presidente in carica sarebbe diventato troppo grande per essere colmato anche con manipolazioni elettorali, è stata presa la decisione di sostituire Biden con Kamala invece di procedere con una convention democratica aperta per eleggere al suo posto chiunque l’élite avesse intenzione di portare alla Casa Bianca.
Adesso qualche eretico del potere cercherà di far saltare la Harris magari spargendo un po’ di scheletri da un armadio che alcuni dicono pieno, ma sembra proprio che i giochi siano fatti in quella che è stata considerata come una democrazia modello ed è invece sempre più simile a una satrapia. Lo dimostra il fatto che Biden considerato ormai incapace di governare, rimanga ancora tre mesi a governare o a fingere di farlo mentre sono in corso due guerre.
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