mercoledì 10 luglio 2024

Cosa c’è nel caveau della Fondazione Feltrinelli?

Milano, viale Pasubio. Il capolavoro di architettura moderna, firmato da Herzog & de Meuron, è una piramide orizzontale di cinque piani completamente trasparente. 

Nel primo blocco c’è la sede della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, voluta e finanziata dal figlio Carlo. 
Al piano terra c’è un’immensa libreria; sugli altri piani spazi per convegni, conferenze, eventi; all’ultimo, la sala lettura, dove 8 mila visitatori l’anno accedono gratuitamente alla consultazione di rarissimi documenti, che si trovano solo qui.

(di Milena Gabanelli – corriere.it)

Quali, lo vedremo dopo. Intanto qualche numero: la Fondazione è frequentata ogni anno da 95 mila visitatori; si tengono mediamente 170 eventi (workshop, forum, masterclass, festival); raggiunge 15 mila istituti scolastici.

Fa attività di ricerca con 500 università; oltre alle più prestigiose a livello nazionale, collabora con la London School of Economics, il Centre Pompidou, il King’s College London, l’Instituto de Politicas y Bienes Publicos Madrid, la Columbia University, l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales a Parigi. Per capire cosa c’è all’origine di tutto questo, bisogna scendere nel caveau.

Un patrimonio inestimabile

Il luogo è blindato, le condizioni microclimatiche stabili. Qui sono conservati 12 km lineari di archivio, che custodiscono carteggi, manoscritti originali archivistici, monografie, periodici, 15 mila manifesti e locandine dall’Ottocento ai giorni nostri. Per chi non lo sapesse, è necessario spiegare che Giangiacomo Feltrinelli era un uomo molto ricco: i soldi li aveva ereditati dal padre e dal nonno, industriali del legno. Solo che lui non era portato per proseguire l’impresa di famiglia, si sentiva più vicino ai ceti subalterni e aderiva alle mobilitazioni di massa contro ogni forma di autoritarismo. Cominciò così a costruire un archivio, comprando in giro per il mondo i documenti sulla storia dei movimenti e delle correnti di pensiero che hanno ispirato la lotta al potere costituito. In concreto: c’è lo scambio di lettere originali autografe fra Karl Marx e Friedrich Engels, datate 1852; 4 lettere in francese di Lenin; la lettera di Bakunin sulla morte di Mazzini; la prima tiratura del Manifesto del Partito Comunista di Marx e Engels del 1848; l’unica copia esistente del primo giornale rivoluzionario in lingua italiana, pubblicato in Corsica nel 1790 da Filippo Buonarroti (discendente di Michelangelo), che teorizzava la necessità della nascita di un uomo nuovo possibile, attraverso l’istruzione come compito inderogabile dello Stato.

I fogli e periodici clandestini

E ancora: le lettere di Ignazio Silone scritte fra gli anni ’30 e ’40 sulla sua espulsione dal PC, perché non era stalinista; i bollettini originali della resistenza italiana; i fogli clandestini della resistenza francese, di quella antinazista in Cecoslovacchia e quelli dei fuorusciti tedeschi, dei resistenti messicani; i periodici originali della controcultura americana, con le rivendicazioni degli afroamericani, delle donne, degli omosessuali e le proteste contro la guerra del Vietnam; i periodici rari e i manifesti introvabili della Comune di Parigi e del maggio francese; la prima edizione italiana del libretto rosso di Mao del 1966; l’archivio degli oppositori nel Cile di Pinochet (fondo Fernando Murillo-Viana), quelli nella Polonia di Jaruzelski (fondo Solidarność); i periodici clandestini dell’Urss: dal disgelo di Chruščëv alla perestroika e alla caduta dell’Unione nel periodo di Eltsin. Dalla collezione dei Movimenti democratici in Cina provengono i documenti della ribellione contro il primo ministro Li Peng (il macellaio di Tienanmen). Il primo volantino del maggio 1989, che indice lo sciopero della fame degli studenti in piazza Tienanmen, di cui la Cina nega l’esistenza, è qui. Ci sono anche le prime copie di volumi, come Cos’è il terzo stato di Emmanuel Sieyès, pubblicato anonimo nel 1789 e che ha contribuito alla Rivoluzione francese; si impone infatti come manifesto politico della popolazione comune, che si fa carico di tutte le attività e sulle cui spalle vivono i privilegiati. Infine, la copia in latino di Utopia (1516) di Thomas Moore, dove si descrive come trovare l’equilibrio in una società ideale.

Pasternak e il KGB

La casa editrice nasce nel 1954 con quello che nessuno vuole pubblicare: l’autobiografia del primo ministro indiano Nehru, considerato l’erede spirituale di Gandhi. Segue Il flagello della svastica di lord Russell, con le testimonianze al Processo di Norimberga (1955). Ma il colpaccio arriva con Il dottor Zivago. Il dattiloscritto originale, con le note dell’autore, è conservato qui, accompagnato dalla gigantesca corrispondenza fra Giangiacomo e Pasternak, e i cablogrammi del Kgb, che, spacciandosi per Pasternak, scrive all’editore di annullare l’accordo poiché il libro verrà pubblicato nell’Unione Sovietica

Seguono le lettere di Pasternak (quello vero): «Caro amico, le missive che riceve a mio nome non scritte in francese non sono mie quindi non esegua quanto richiesto». Nonostante le pressioni dell’Urss sul partito comunista italiano, nel 1957 Giangiacomo pubblicherà il libro. Con il Dottor Zivago Pasternak vincerà il Nobel per la letteratura, ma accusato di tradimento dal suo Paese, non potrà andare a ritirarlo. Giangiacomo invece verrà espulso dal Pci. Nel 1958 esce un altro capolavoro, già rifiutato da Einaudi e Mondadori: Il Gattopardo. Seguono Il buio oltre la siepe e I Diari di Sibilla Aleramo, scritti fra il 1940 e il 1958, anche questi rifiutati da Mondadori. In una scatola c’è anche un corposo dattiloscritto, rilegato con cartellina rossa e un’etichetta: Biografia di Fidel Castro, scritta da Castro e Feltrinelli, datata fra il 1961 e il 1964. Mai pubblicata. Forse l’editore riteneva non ne valesse la pena. Dai carteggi fra Giangiacomo e i collaboratori della casa editrice, raccolti dal figlio Carlo nel libro Senior Service, si evince che alla fine quella biografia era più un pretesto per incontrare il Comandante, e magari lo aveva pure deluso.

Il più grande centro europeo

Nel 1961, all’inaugurazione dell’istituto Feltrinelli, scrive: «Si trattava di conservare e scegliere per il futuro, per la storia. Formandoci noi, man mano, quella specifica preparazione che ci permettesse di riconoscere e conservare l’essenziale, in una esatta prospettiva storica, affondando le radici in un passato nel quale scoprivamo, cercando tesori dimenticati, preziose e umili tessere di quell’immenso mosaico che è la documentazione storica e politica». Giangiacomo muore saltando su un traliccio a Segrate nel ’72, in un maldestro tentativo di sabotaggio (per saperne di più Qui l’analisi dei fatti). L’opera di raccolta è stata in seguito continuata dalla moglie Inge. Il risultato finale è che dal 1949 sono stati raccolti 1,5 milioni di pezzi, 250 mila volumi, 15 mila manifesti. Si tratta del maggiore centro di documentazione e ricerca europeo sulla storia dei movimenti che hanno ispirato le lotte di potere al potere. La consultazione è gratuita; ovviamente occorre prenotare la sala lettura. Come tutti gli Enti culturali, la Fondazione riceve ogni anno un contributo pubblico dal Ministero della Cultura.

Un nome scomodo

Nel 2021, il deputato capogruppo di FdI Federico Mollicone, membro della commissione Cultura, dice la sua: «È assurdo che lo Stato italiano finanzi un istituto intitolato a un personaggio che ha fatto della guerriglia il proprio stile di vita» e la proposta nella sostanza è che per continuare a ricevere contributi, dalla Fondazione deve sparire il nome di Giangiacomo. Già, perché Giangiacomo avrà pure fondato i «Gruppi di azione partigiana», ma da miliardario i suoi soldi poteva pure berseli, fare speculazioni finanziarie, portarli alle Cayman, invece ha preferito raccogliere come un pazzo in giro per il mondo dei pezzi di storia pagandoli di tasca propria, e investire in una casa editrice innovativa dal punto di vista editoriale, rivoluzionando pure il modello di libreria (che in seguito tutti hanno copiato). Lui stesso è la storia della Fondazione…sarà difficile cancellarne il nome. Ebbene, nel 2022 Federico Mollicone è diventato presidente della commissione Cultura. Oggi i contributi alla Fondazione Feltrinelli sono stati dimezzati.

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