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Anna Lombroso per il Simplicissimus
È
doveroso ricordare che Aboubakar Soumahoro ne aveva fatto una sua
personale rivendicazione, ribadendo il dritto a essere uguali col
possesso di preziosi pellami, abiti griffati, scarpette dai tacchi
impervi con le quali scansare le sagome dei villani. In realtà la
segretaria del Pd non ha detto nulla del genere, al contrario potrebbe
anche suscitare una certa tenera indulgenza per via della sua recente
scoperta di inedite civetterie e inusuali femminilità, grazie a quel
trench “color glauco – delicata tonalità di verde, grigio e azzurro”
immortalato sulle pagine di Vogue.
La
verità è un’altra e non occorre scomodare Baudrillard, che ne scrisse
in occasione della guerra nel Golfo del 1991: anche se milioni di
telespettatori in tutto il mondo vedevano, o credevano di vedere, la
guerra in diretta, grazie alle più sofisticate tecnologie della
comunicazione, in realtà ciò che essi hanno visto non era la guerra
“vera”, ma una sua turpe imitazione, con un accavallarsi di notizie, di
immagini spettacolari, selezionate ad arte, sì da combinare il massimo
della disinformazione con la maggiore quantità possibile di messaggi.
Oggi sta succedendo lo stesso e succede
ancora una volta che per riconoscersi tra affini, sentirsi “parte” si
faccia ricorso a divise, uniformi, la maglietta mimetica di Zelensky
mutuata dalle madamin dell’Europa, altrimenti drappeggiate nel vessillo
giallo e blu. Basterebbe pensare ai jeans che fanno parte di quei
prodotti, merci, segni, che hanno realizzato una sorta di unanimità
immaginaria, che hanno invaso lo spazio mondiale divenuto pubblicitario,
come le star del cinema o dei talk-show, e che si sono sostituiti ai
buoni vecchi universali del pensiero e della filosofia… incarnando in un
certo modo un ideale democratico, che unisce contadini, operai,
femmine, studenti, “tanto bene che avrebbero potuto figurare, a fianco
del computer e della musica di Bach, nell’armamentario della specie che
abbiamo inviato a casaccio nello spazio verso la destinazione di altri
mondi”. Ma gli esempi si sprecano: l’eskimo, irrinunciabile tenuta di
aspiranti alla sovversione, o, al contrario, le spalle imbottite delle
donne in carriera, i doppiopetto dei manager in odor di contiguità
mafiose, poi esportati negli studi di vetro che specchiano una algida
modernità nelle serie di Netflix, i greige dei blazer destrutturati di
Armani, fino agli abiti di scena postatomici di cantanti, influencer che
patrocinano stracci e intrattenitori. Il look è tutto, e difatti si
dice che tutto ciò che scompare nei costumi riappare nella moda, oggetto
di culto e di consumi rassicuranti. È probabile che a questo abbia
pensato la Schlein consigliata dai suoi consulenti, che abbia pensato a
una visibilità più confortante, quella delle signore riservate e sobrie
dei colli sopra Torino o Bologna, dei Parioli (in fondo abita là il suo
elettorato di riferimento) con quelle tinte non tinte che trasmettono
delicata severità e elegante temperanza ma che sorprendentemente si
accompagnano bene al berciare del premier o al fragore delle bombe.
Certo non la dissuaderà dalle sue incrollabili certezze, quelle della
sopraffazione, del profitto, dello sfruttamento, dell’abuso della
menzogna come qualità irrinunciabile del leader.
Quella che anche nella sua nuova versione è
una realtà contraffatta: in essa chi non sa farsi valere è uno sfigato
immeritevole, nella quale è doveroso mettere a profitto le prerogative
ereditate senza sforzo, nella quale chi è stato prescelto nella lotteria
della vita ha diritto di esercitare la sua superiorità, di vantarsene
immune ed impunito, nella quale chi non trova lavoro è un parassita da
sottoporre a pubblico anatema, mentre élite unitarie nell’adesione a una
ideologia perversa ci impone riti penitenziali e sacrificali. Oggi è un
Primo maggio di lacrime e sangue: il lavoro è stato espropriato di
diritti, prerogative, sicurezze, valori, quelli del riscatto, della
dignità, della giustizia e dell’uguaglianza. E il nemico è sempre lo
stesso qualsiasi siano la divisa che indossa, la bandiera che inalbera, i
generali che fa scendere in campo.
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