lunedì 1 maggio 2023

Primo maggio da Vogue

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Anna Lombroso per il Simplicissimus
È doveroso ricordare che Aboubakar Soumahoro ne aveva fatto una sua personale rivendicazione, ribadendo il dritto a essere uguali col possesso di preziosi pellami, abiti griffati, scarpette dai tacchi impervi con le quali scansare le sagome dei villani. In realtà la segretaria del Pd non ha detto nulla del genere, al contrario potrebbe anche suscitare una certa tenera indulgenza per via della sua recente scoperta di inedite civetterie e inusuali femminilità, grazie a quel trench “color glauco – delicata tonalità di verde, grigio e azzurro” immortalato sulle pagine di Vogue.
La verità è un’altra e non occorre scomodare Baudrillard, che ne scrisse in occasione della guerra nel Golfo del 1991: anche se milioni di telespettatori in tutto il mondo vedevano, o credevano di vedere, la guerra in diretta, grazie alle più sofisticate tecnologie della comunicazione, in realtà ciò che essi hanno visto non era la guerra “vera”, ma una sua turpe imitazione, con un accavallarsi di notizie, di immagini spettacolari, selezionate ad arte, sì da combinare il massimo della disinformazione con la maggiore quantità possibile di messaggi.
Oggi sta succedendo lo stesso e succede ancora una volta che per riconoscersi tra affini, sentirsi “parte” si faccia ricorso a divise, uniformi, la maglietta mimetica di Zelensky mutuata dalle madamin dell’Europa, altrimenti drappeggiate nel vessillo giallo e blu. Basterebbe pensare ai jeans che fanno parte di quei prodotti, merci, segni, che hanno realizzato una sorta di unanimità immaginaria, che hanno invaso lo spazio mondiale divenuto pubblicitario, come le star del cinema o dei talk-show, e che si sono sostituiti ai buoni vecchi universali del pensiero e della filosofia… incarnando in un certo modo un ideale democratico, che unisce contadini, operai, femmine, studenti, “tanto bene che avrebbero potuto figurare, a fianco del computer e della musica di Bach, nell’armamentario della specie che abbiamo inviato a casaccio nello spazio verso la destinazione di altri mondi”. Ma gli esempi si sprecano: l’eskimo, irrinunciabile tenuta di aspiranti alla sovversione, o, al contrario, le spalle imbottite delle donne in carriera, i doppiopetto dei manager in odor di contiguità mafiose, poi esportati negli studi di vetro che specchiano una algida modernità nelle serie di Netflix, i greige dei blazer destrutturati di Armani, fino agli abiti di scena postatomici di cantanti, influencer che patrocinano stracci e intrattenitori. Il look è tutto, e difatti si dice che tutto ciò che scompare nei costumi riappare nella moda, oggetto di culto e di consumi rassicuranti. È probabile che a questo abbia pensato la Schlein consigliata dai suoi consulenti, che abbia pensato a una visibilità più confortante, quella delle signore riservate e sobrie dei colli sopra Torino o Bologna, dei Parioli (in fondo abita là il suo elettorato di riferimento) con quelle tinte non tinte che trasmettono delicata severità e elegante temperanza ma che sorprendentemente si accompagnano bene al berciare del premier o al fragore delle bombe. Certo non la dissuaderà dalle sue incrollabili certezze, quelle della sopraffazione, del profitto, dello sfruttamento, dell’abuso della menzogna come qualità irrinunciabile del leader.
Quella che anche nella sua nuova versione è una realtà contraffatta: in essa chi non sa farsi valere è uno sfigato immeritevole, nella quale è doveroso mettere a profitto le prerogative ereditate senza sforzo, nella quale chi è stato prescelto nella lotteria della vita ha diritto di esercitare la sua superiorità, di vantarsene immune ed impunito, nella quale chi non trova lavoro è un parassita da sottoporre a pubblico anatema, mentre élite unitarie nell’adesione a una ideologia perversa ci impone riti penitenziali e sacrificali. Oggi è un Primo maggio di lacrime e sangue: il lavoro è stato espropriato di diritti, prerogative, sicurezze, valori, quelli del riscatto, della dignità, della giustizia e dell’uguaglianza. E il nemico è sempre lo stesso qualsiasi siano la divisa che indossa, la bandiera che inalbera, i generali che fa scendere in campo.

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