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di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli - Mondorosso
Circa due anni fa avevamo pubblicato un libro collettivo, di cui
alleghiamo in fondo una parte, sull’origine statunitense del
coronavirus, partendo innanzitutto dall’eclatante chiusura del settore
più pericoloso del famigerato laboratorio biologico di Fort Detrick
proprio nel periodo luglio 2019-febbraio 2020 e, in seconda battuta,
dalla misteriosa epidemia scoppiata sempre negli USA e sempre
nell’estate 2019, per la presunta causa delle innocue sigarette
elettroniche (innocue ovviamente in assenza di un’epidemia alle vie
respiratorie come il coronavirus).
In ogni caso durante gli ultimi due anni sono emerse numerose altre prove a sostegno della pista rivolta verso gli Stati Uniti e Fort Detrick.
Partendo dall’Italia, l’insospettabile Corriere della Sera ha pubblicato sulle sue pagine, in base ad autopsie compiute a Milano dall’Istituto di medicina legale e dalla Statale, che sono emersi ben tre casi di covid-19 tra le morti analizzate tra il 2 ottobre 2019 e gli inizi di dicembre dello stesso anno.
Ottobre-dicembre 2019.
Un periodo che anticipa l’epidemia di coronavirus a Wuhan di circa due mesi, prendendo in esame i due casi milanesi sopracitati dell’inizio di ottobre; un dato che tra l’altro conferma i risultati già forniti dall’Istituto nazionale dei tumori di Milano il quale, quasi due anni or sono, aveva confermato la presenza del covid-19 in Lombardia nel mese di ottobre 2019: ossia sempre due mesi prima degli eventi di Wuhan.[1]
Ma non solo: a conclusione analoghe giunge anche uno studio dell’Istituto superiore di sanità riguardo alle acque reflue di Milano e Torino.
“Il coronavirus circolava silente in Italia già da settembre 2019, ben prima non solo dell’ormai famoso paziente 1 del 21 febbraio, ma anche prima di dicembre, come indicato dallo studio dell’Istituto superiore di sanità sulle acque reflue di Milano e Torino. Lo dichiara una ricerca dell’Istituto dei tumori di Milano e dell’università di Siena che, analizzando i campioni di sangue prelevati tra settembre 2019 e marzo 2020 ai partecipanti ad uno screening sul tumore al polmone, ha trovato gli anticorpi al SarsCov2 nell’11,6%, di cui il 14% già a settembre.” [2]
Un’altra clamorosa verifica viene dall’insospettabile paese NATO della Norvegia, visto che anche nel paese scandinavo in oggetto si sono trovati anticorpi contro il covid-19 risalenti al dicembre 2019.
Secondo Euronews, “i ricercatori dell’Akershus University Hospital hanno trovato anticorpi contro il Covid-19 nei campioni di sangue di donne in gravidanza risalenti al dicembre 2019, un mese prima che il primo caso fosse rilevato in Europa. I risultati sono stati pubblicati il 13 gennaio sulla rivista Epidemiology & Infection della Cambridge University Press.
I ricercatori hanno individuato gli anticorpi in campioni di sangue conservati in modo anonimo. I campioni erano stati prelevati da donne al primo trimestre di gravidanza come parte dei normali controlli medici e conservati per monitorare potenziali malattie infettive. Gli anticorpi sono stati rilevati in 98 dei 6.520 campioni analizzati.
Secondo Anne Eskild, responsabile del progetto, queste scoperte “molto sorprendenti” cambiano la storia della pandemia di coronavirus sia in Norvegia che nel mondo”.[3]
Passando dalla Norvegia agli Stati Uniti, è probabile che “alcuni dei pazienti colpiti dalla misteriosa malattia polmonare correlata allo svapo che è comparsa in tutti i 50 Stati degli Stati Uniti nel 2019 fossero in realtà pazienti Covid-19, secondo il parere di un gruppo di scienziati e radiologi cinesi che hanno esaminato circa 250 scansioni TC del torace da documenti pubblicati. Questi scienziati hanno esortato gli Stati Uniti a iniziare lo screening per i pazienti Covid-19 nei pazienti con danno polmonare associato all’uso della sigaretta elettronica o dello svapo (EVALI) del 2019.
Il Global Times ha appreso da fonti vicine alla materia che dopo aver studiato 250 scansioni TC del torace di 142 pazienti EVALI selezionati da circa 60 studi correlati che sono stati pubblicati, gli scienziati cinesi hanno scoperto che 16 pazienti EVALI presentavano infezioni virali, il che indica che avrebbero potuto avere il Covid-19. Cinque dei casi sono stati definiti “moderatamente sospetti”.
I 16 pazienti EVALI provenivano tutti dagli Stati Uniti e in 12 pazienti i sintomi sono iniziati prima del 2020.
Hanno concluso che ci sono stati casi di infezione virale tra le infezioni EVALI segnalate negli Stati Uniti nel 2019 e la possibilità di Covid-19 nella malattia polmonare correlata allo svapo negli Stati Uniti non può essere esclusa, hanno affermato fonti”.[4]
Merita attenzione anche la società statunitense Graphika.
“Graphika, una società finanziata dal Pentagono, ha iniziato a monitorare la “disinformazione” sul Covid il 16 dicembre 2019, due settimane prima che l’OMS sapesse dell’esistenza del Covid
Graphika, una società che monitora le comunità online per le agenzie governative, ha iniziato a raccogliere dati sugli utenti dei social media che condividevano “disinformazione” sul Covid-19 due settimane prima che l’Organizzazione mondiale della sanità venisse a conoscenza dell’epidemia. L’azienda, che ha ricevuto milioni di sovvenzioni e contratti dal Pentagono, è composta da ex funzionari del DOD, della CIA e della NSA e ha svolto un ruolo chiave nella censura della pandemia tramite il Virality Project, in collaborazione con il governo federale.
Graphika Inc., una piccola ma influente società di monitoraggio e censura dei social media, che ha ricevuto quasi 7 milioni di dollari in sovvenzioni e contratti dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti (DOD), ha iniziato a monitorare le “teorie complottiste” online sul Covid-19 il 16 dicembre 2019, appena quattro giorni dopo che i primi pazienti avevano riportato sintomi a Wuhan, in Cina, e due settimane prima che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) fosse informata dell’epidemia del virus.
Come rivelato dal rapporto pubblico di 35 pagine di Graphika pubblicato nell’aprile 2020, Graphika ha iniziato la “raccolta di dati” di “conversazioni globali” contenenti “teorie complottiste” sulle origini di Covid il 16 dicembre 2019:
La timeline ufficiale di CDC.gov mostra che il primo gruppo di pazienti a Wuhan, in Cina, ha iniziato a soffrire di una malattia simile alla polmonite atipica il 12 dicembre 2019, il che significa che il lavoro di “raccolta di dati di disinformazione” sui social media da parte di Graphika è iniziato solo quattro giorni dopo. L’OMS non è stata informata dell’epidemia di Wuhan fino al 31 dicembre 2019, due settimane intere dopo che Graphika aveva già monitorato le teorie complottiste sul virus atipico sui social media”.
Le autorità cinesi di Wuhan non hanno identificato sintomi simili alla polmonite nei pazienti ospedalieri di Wuhan come un nuovo coronavirus prima del 7 gennaio 2020:
L’OMS ha definito il virus “Covid-19” solo l’11 febbraio 2020 e non ha dichiarato ufficialmente una pandemia fino all’11 marzo 2020. Tuttavia, prima che tutti questi eventi si verificassero, Graphika stava già monitorando da vicino e lavorando per neutralizzare quello che oscure comunità Twitter e Facebook stavano scrivendo online in merito alle origini del virus. Il tutto classificando gli account dei cittadini in base alla loro affiliazione politica, apparentemente per monitorare il loro potenziale di mobilitazione politica sulla base di convinzioni condivise.
La società di ricerca sulla disinformazione ha utilizzato i dati raccolti sui cittadini statunitensi e sulle voci di tutto il mondo per creare una “mappa della rete” della “conversazione online globale che circonda la pandemia di coronavirus”. [5]
Una diversa anomalia, sempre con una presunta “chiaroveggenza” statunitense, riguarda l’indiscutibile accordo stipulato, nel dicembre 2019, tra la multinazionale americana Moderna e l’università della Carolina del Nord.
In documenti riservati e pubblicati dal blog inglese Daily Expose nel 2021, risulta chiaro che il 12 dicembre 2019 – venti giorni prima della segnalazione del coronavirus a Wuhan – la grande società Moderna «insieme al National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), il 12 dicembre 2019 aveva inviato alla University of North Carolina a Chapel Hill vaccini candidati mRNA per un coronavirus – cosa questa che dovrebbe far scattare subito un campanello d’allarme. Come riportato da The Daily Expose:
“Cosa sapevano Moderna [e il NIAID] che noi non sapevamo? Nel 2019 non c’era nessun nuovo coronavirus che rappresentasse una minaccia per l’umanità da giustificare [la necessità di] un vaccino e l’evidenza suggerisce che non c’è stato nessun nuovo coronavirus che rappresentasse una minaccia per l’umanità neanche nel 2020 e 2021”.
Il vaccino candidato COVID-19 era stato realizzato prima della pandemia
Il protocollo di divulgazione confidenziale riporta un accordo di trasferimento di materiale tra i fornitori – Moderna, il NIAID e il National Institutes of Health (NIH) – e la University of North Carolina at Chapel Hill. I fornitori avevano accettato di trasferire “vaccini candidati mRNA per un coronavirus sviluppati e posseduti congiuntamente dal NIAID e da Moderna” ai ricercatori dell’università.
“L’accordo sul trasferimento di materiale era stato firmato il 12 dicembre 2019 da Ralph Baric, PhD, presso l’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, e controfirmato da Jacqueline Quay, direttrice del servizio Licensing and Innovation Support presso l’Università della Carolina del Nord, il 16 dicembre 2019,” ha osservato Daily Expose.»[6]
Ma la molto presunta “preveggenza” dimostrata dagli enti statunitensi non finisce ancora di sbalordire.
Nel settembre del 2019, infatti, e dunque tre mesi prima dei fatti di Wuhan, il Johns Hopkins Center for health security produsse e pubblicò uno studio dedicato guarda caso ai pericoli di una pandemia derivante da un agente patogeno in grado di colpire le vie respiratorie.[7]
Nel capoluogo della provincia di Hubei, in Cina, dal 18 al 27 ottobre del 2019, si è tenuta la rassegna riservata agli sportivi che indossano la divisa. Vi presero parte 10mila atleti provenienti da un centinaio di paesi.
«Ai mondiali militari di Wuhan ci siamo ammalati tutti, 6 su 6 nell’appartamento e moltissimi anche di altre delegazioni. Tanto che al presidio medico avevano quasi finito le scorte di medicine, raccontava al quotidiano ‘Il Messaggero’ nel maggio del 2020 lo spadista Matteo Tagliarol, già olimpionico a Pechino 2008, che ai giochi di Wuhan ha gareggiato nella prova a squadre.
E se il Covid fosse stato portato a Wuhan dagli atleti statunitensi? A tal proposito nel marzo scorso il giornalista investigativo di Washington George Webb – ricorda Radio Cina Internazionale – ha sottolineato in un video pubblicato su un social media che alcuni sportivi statunitensi partecipanti ai Giochi mondiali militari di Wuhan nel 2019 sarebbero stati i “pazienti zero” che hanno provocato la diffusione dell’epidemia di Covid-19 nella città cinese e successivamente nel mondo intero.
Per questo l’emittente radiofonica di Pechino in lingua italiana, sulla scia di quanto già fatto da altri media cinesi, chiede agli Stati Uniti di fare chiarezza. Soprattutto in questa fase dove Washington è tornata a parlare con forza, ma senza fornire nessuna evidenza, della teoria del complotto secondo cui il nuovo coronavirus sarebbe stato creato artificialmente nel laboratorio di Wuhan.
Sono quattro le domande al governo statunitense.
Domanda 1: che malattia hanno contratto gli atleti dell’esercito nordamericano? Ad ottobre 2019 gli USA hanno inviato oltre 300 atleti alla settima edizione dei Giochi mondiali militari. Durante l’evento sportivo alcuni di loro hanno presentato sintomi di malattie infettive come febbre, tosse e diarrea, e sono stati trasportati urgentemente al Wuhan Jinyintan Hospital, un famoso centro per il trattamento delle malattie infettive. Lì sono stati sottoposti a cure cliniche. I risultati preliminari di allora hanno indicato che avevano preso la malaria, ma ciò non è riuscito ad eliminare i dubbi dell’opinione pubblica: sia negli USA che in Cina la malaria è stata fondamentalmente eradicata. Come hanno fatto i militari statunitensi ad infettarsi?
Domanda 2: come mai gli USA hanno subito mandato un aereo militare per trasportare le cinque persone nel loro territorio? Alcuni hanno messo in dubbio che se queste persone fossero state infettate dalla malaria, avrebbero potuto guarire in Cina dopo le cure mediche e non avrebbero avuto bisogno di tornare negli USA. Se proprio volevano rimpatriare, avrebbero potuto prendere un volo civile. Perché la parte nordamericana ha deciso di mandare un aereo militare, con costi elevati, per farli rientrare nel Paese?
Domanda 3: perché non sono stati resi pubblici i rapporti diagnostici dei 5 militari malati? La cosa più sospetta è che dopo che i 5 militari sono rientrati negli USA, non sono state riportate altre notizie su di loro. La parte statunitense ha bloccato le informazioni all’esterno e non ha pubblicato i loro rapporti diagnostici.
Domanda 4: perché gli USA non hanno ottenuto nessuna medaglia d’oro? Un altro dubbio è: tra gli oltre 300 atleti partecipanti ai Giochi non erano pochi quelli capaci, perché infine gli USA non hanno vinto nessuna medaglia d’oro?»[8]
Rimaniamo sugli Stati Uniti, ma questa volta collegati strettamente all’Ucraina: più precisamente ai laboratori biologici situati in Ucraina e massicciamente finanziati dagli Usa, nonostante le false smentite iniziali dei circoli dirigenti di Washington.
Ancora una volta, menzogne USA e virus sponsorizzati dagli USA fin dal marzo del 2022.
“Laboratori biologici. Poco fa a Washington Victoria Nuland ha riconosciuto la presenza di laboratori per le ricerche biologiche in Ucraina. Gli Stati Uniti adesso lavorano per non far finire i materiali che hanno accumulato nelle mani dei militari russi. “Sì, l’Ucraina dispone di laboratori per la ricerca biologica, noi siamo molto preoccupati del fatto che l’esercito russo possa prendere questi laboratori sotto il proprio controllo e perciò lavoriamo con gli ucraini per fare in modo che nessun materiale di ricerca finisca nelle mani dei russi”, ha così sottolineato la Nuland.
Il ministero della Difesa della Federazione Russa ha dichiarato ieri che gli Stati Uniti hanno speso più di 200 milioni di dollari per mettere in piedi i laboratori in Ucraina, che hanno partecipato al programma americano militare-biologico.
La Russia, in relazione al fatto dell’attività militare-biologica degli Stati Uniti in Ucraina, non ha escluso di avviare le consultazioni nell’ambito delle Convenzioni sul divieto delle armi biologiche e tossiche. La Cina aumentando questa informazione sul finanziamento americano dei laboratori biologici in Ucraina ha esortato gli Stati Uniti a chiarire la loro attività di militarizzazione biologica all’interno del paese e all’estero.”[9]
Attingiamo ora ai massmedia statunitensi, per mostrare in originale tre interessanti articoli, rispettivamente della televisione ABC, della CNN, e New York Times rispetto agli stranissimi casi che si verificarono nell’estate 2019 in terra americana, tra le case di riposo della Virginia e il vicino laboratorio di Fort Detrick.
«Il misterioso laboratorio di Fort Detrick
“Secondo alcune notizie diffuse da ABC (sopra), da CNN (sotto) e da altri media statunitensi nel mese di luglio 2019, una malattia respiratoria mortale dalle cause sconosciute si era diffusa in una casa di riposo nello Stato della Virginia dove 54 persone erano rimaste infette. La casa di riposo dista solo un’ora dal misterioso laboratorio delle forze armate americane a Fort Detrick. Questo incidente relativo alla salute pubblica è collegato alla presenza dal laboratorio?”
“Ad agosto 2019, il CDC ha improvvisamente ordinato la chiusura temporanea dell’Usamriid a Fort Detrick. Secondo il New York Times, la ricerca di laboratorio è relativa a tossine identificate dal governo come “grave minaccia per i cittadini, per la salute degli animali e delle piante, o per prodotti animali e vegetali”. Perché il CDC ha rifiutato di pubblicare informazioni su questa decisione?”
“Quasi in contemporanea con la chiusura dell’Usamriid, in diversi stati americani incluso il Maryland si era diffusa per ragioni sconosciute una malattia del polmone associata all’uso della sigaretta elettronica. Il laboratorio biologico Usa è collegato a quanto accaduto?
Un rapporto d’indagine del “Los Angeles Times” del 1988 ha rivelato che dopo la fine della seconda guerra mondiale, e a condizione di esentare i criminali di guerra dell’unità 731 dell’esercito giapponese dalle loro responsabilità, gli Stati Uniti hanno ottenuto i dati raccolti dall’unità 731 su esperimenti condotti sul corpo umano, sui batteri, sulla guerra batteriologica, sui gas velenosi e su altri aspetti per la ricerca su armi biologiche. Sono queste le fondamenta su cui la base Usa di Fort Detrick si è rapidamente sviluppata in un laboratorio di ricerca sulle armi biologiche. I media americani hanno rivelato l’esistenza a Fort Detrick di un gran numero di virus che costituiscono una seria minaccia per l’uomo, con molti rischi e falle nella sicurezza. Finora gli Stati Uniti hanno mostrato il coraggio di aprire la base di Fort Detrick e i loro laboratori biologici in tutto il mondo e invitare gli esperti dell’OMS per condurre indagini?
Il governo Usa era già a conoscenza del “copione” dell’esercitazione epidemica
Il 18 ottobre 2019, gli Stati Uniti hanno tenuto un’esercitazione epidemica di alto livello chiamata “evento 201” per simulare il focolaio di un nuovo tipo di coronavirus zoonotico.
Tra gennaio e agosto 2019, il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti ha svolto un’esercitazione chiamata “Crimson Contagion”. Secondo quanto affermato dal governo americano, il virus respiratorio “è nato in Cina” e si è diffuso in tutte le parti del mondo attraverso viaggiatori infetti. Negli Stati Uniti, la prima persona infetta è stata trovata a Chicago; 47 giorni dopo, l’OMS ha ufficialmente “annunciato” lo scoppio dell’epidemia.
Secondo alcuni internauti l’esercitazione è apparsa “coerente” con l’infezione provocata dal Covid e molti di loro hanno espresso il sospetto che il governo americano avesse un “copione” in atto. Qual è stata la risposta del governo americano?
Citando una notizia diffusa da ABC, i media israeliani hanno affermato che già a novembre 2019 il dipartimento di intelligence statunitense aveva avvertito Israele della “epidemia di coronavirus”. Il primo caso di Covid-19 in Cina si è sviluppato a dicembre. Come ha fatto l’intelligence americana a conoscere in anticipo la situazione relativa all’epidemia?
Un’epidemia dalle origini complesse
A dicembre 2020, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) hanno pubblicato il risultato di uno studio sulla rivista ufficiale dell’Associazione americana delle malattie infettive (IDSA) secondo cui è stato dimostrato che gli anticorpi del nuovo coronavirus erano presenti nel sangue di almeno 39 persone in California, Oregon e Washington dal 13 al 16 dicembre 2019. »[10]
Avendo ormai a disposizione tutta una serie di molteplici e sicuri dati di fatto, l’autorevole citiamo lo studioso Jeffrey Sachs: “Sono abbastanza sicuro che il Covid sia fuoriuscito da un laboratorio Usa”
Il Covid-19 non ha origine naturale, ma sarebbe fuoriuscito accidentalmente “dalla biotecnologia di laboratorio degli Stati Uniti”. Ad affermarlo è Jeffrey Sachs, economista e scrittore di fama mondiale, in occasione di una conferenza ospitata dal think tank GATE Center in Spagna il mese scorso.
L’accademico ha osservato che, sebbene “non sappiamo con certezza” se questo sia il caso, ci sono “abbastanza prove” che lo indicano e che “dovrebbero essere esaminate”. Sachs si è lamentato del fatto che questa ipotesi “non viene indagata, né negli Stati Uniti, né da nessuna parte”.
A maggio, Sachs, insieme al professore di farmacologia molecolare e terapeutica Neil Harrison della Columbia University, aveva scritto un articolo nei Proceedings of the National Academy of Sciences, che suggeriva che il Covid-19 fosse stato creato in laboratorio, ma aveva affermato che le informazioni importanti non erano state sottoposte a un “esame indipendente, trasparente e scientifico”.
Secondo gli autori, una sequenza di otto aminoacidi sulla proteina spike del virus è simile a una sequenza di aminoacidi trovata nelle cellule che rivestono le vie respiratorie umane.
Nell’introdurre questa “dichiarazione provocatoria”, Sachs ha suggerito di essere al corrente della situazione, in quanto presiede la commissione Covid-19 della prestigiosa rivista medica The Lancet.
“Quindi, a mio avviso, si tratta di un errore della biotecnologia, non di un incidente di percorso naturale”, ha evidenziato in questo suo intervento che sicuramente farà discutere.[11]
Troppe e diversificate prove puntano il dito e accusano Fort Detrick, “misteriosamente” ignorato finora dai vertici dell’OMS della Sanità nelle loro indagini sulle origini del coronavirus.
ALLEGATO
Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli
Trump, Fort Detrick e il Covid-19
Il colpevole silenzio degli Stati Uniti sulla vera origine del coronavirus
Tutta una serie di variegate informazioni e di fatti concreti, combinati strettamente tra loro a partire da alcune clamorose anomalie, provano e attestano oltre ogni dubbio che:
1) Il coronavirus ha iniziato a contagiare e devastare il mondo trovando il suo luogo di origine e di propagazione nella base militare e nel laboratorio batteriologico di Fort Detrick, collocato nello stato del Maryland degli Stati Uniti, fin dal luglio del 2019 e quindi più di tre mesi in anticipo rispetto ai casi riportati a Wuhan e in Cina;
2) Il governo Trump, gli apparati statali americani e l’amministrazione Biden in carica dal gennaio del 2021, hanno via via cercato, coscientemente e costantemente, di coprire e nascondere tale gravissimo evento di contaminazione durante il periodo compreso tra il luglio del 2019 e il presente, ossia per due lunghi e sanguinosi anni: una menzogna permanente e perfettamente consapevole di Washington che ha direttamente causato e prodotto il dilagare della paurosa strage di più di tre milioni di esseri umani, insanguinando dall’estate del 2019 quasi tutto il nostro pianeta e provocando circa 600.000 vittime innocenti nella stessa America.
Fin dal 1943 e senza soluzione di continuità uno dei principali siti militari statunitensi per la guerra batteriologica, Fort Detrick, registrò al suo interno una prima e innegabile “fuga” verso il mondo esterno del batterio che causa l’antrace (una gravissima infezione, con sintomi molto simili a quelli creati dalla polmonite) già il 18 settembre 2001, ossia solo una settimana dopo gli attentati dell’11 settembre.
Dopo questo pessimo precedente, è sicuro e attestato senza ombra di dubbio persino da un articolo dell’insospettabile New York Times del 5 agosto 2019 che durante la seconda metà di luglio del 2019 l’attività di ricerca batteriologica di Fort Detrick venne chiusa: quest’ultima serrò dunque i battenti nel luglio del 2019 in modo improvviso, rimanendo non operativa per molti mesi e riavviando completamente la sua attività solo a fine marzo 2020.
Al di là delle spiegazioni ufficiali del Pentagono rispetto a tale prolungata serrata, relative a un problema delle acque reflue, si registra dunque un’anomalia made in USA, allo stesso tempo clamorosa e incontrovertibile, fuori discussione e inattaccabile: ma qual era la vera ragione della singolare, eclatante e improvvisa chiusura delle ricerche batteriologiche a Fort Detrick?
Un’embrionale risposta venne fornita quasi subito da un lucido articolo dell’insospettabile e anticomunista quotidiano inglese Indipendent, il quale già il 6 agosto del 2019 notò che «al principale laboratorio di guerra batteriologica dell’America era allora stato ordinato di interrompere tutte le ricerche sui più letali virus e agenti patogeni per il timore che le scorie tossiche potessero uscire dalla struttura.
Sin dall’inizio della Guerra Fredda, Fort Detrick in Maryland è stato l’epicentro della ricerca di armi batteriologiche dell’Esercito USA.
«Il mese scorso» (ossia il luglio 2019) «il Centro per il Controllo e la Prevenzione di malattie (che è l’organismo governativo di salute pubblica) ha privato il laboratorio della sua licenza per gestire “agenti patogeni selezionati” altamente riservati che includono ebola, vaiolo e antrace.
L’inusuale mossa è seguita ad una ispezione del CDC a Fort Detrick che ha scoperto gravi problemi nelle nuove procedure utilizzate per decontaminare gli scarti liquidi.
Per anni la struttura ha fatto uso di un impianto di sterilizzazione a vapore per trattare l’acqua contaminata, ma lo scorso anno, in seguito a una tempesta che ha allagato e distrutto il macchinario, Fort Detrick ha iniziato a utilizzare un sistema chimico di decontaminazione.
Nonostante ciò, gli ispettori del CDC hanno trovato che le nuove procedure non erano sufficienti e che entrambi i guasti meccanici fossero causa di perdite e che i ricercatori avrebbero fallito a seguire propriamente il regolamento.
Come risultato l’organizzazione ha mandato un provvedimento di sospensione ordinando a Fort Detrick di sospendere tutte le ricerche sugli agenti selezionati».
Il mistero della sostanziale chiusura della base di Fort Detrick è stato in ogni caso risolto in modo indiscutibile da una seconda e sicura anomalia, sempre avvenuta in terra statunitense e verificatasi guarda caso a ridosso della serrata estiva della base militare del Maryland: ossia la “misteriosa” epidemia di polmonite acuta che colpì gli Stati Uniti, a partire proprio dal luglio del 2019.
Su Internet si poteva tranquillamente leggere, fin dall’inizio di settembre del 2019 e pertanto almeno due mesi prima dei primordi dell’epidemia di coronavirus a Wuhan e in Cina, tutta una serie di articoli e notizie eclatanti come quelle che seguono e che riguardavano proprio l’America.
«Da quest’estate» del 2019 «oltre 200 persone, perlopiù giovani, sono finite in ospedale in queste condizioni. Agli esami i polmoni appaiono come colpiti da un’infezione molto aggressiva di cui i dottori non conoscono la causa.
Gli Stati Uniti registrano altre due vittime (il totale sale così a tre) di una ancora misteriosa patologia polmonare legata allo svapo. Il secondo decesso – riferisce il New York Times – è avvenuto a luglio, un mese prima della persona che ha perso la vita in Illinois per lo stesso problema. Ma solo giovedì Ann Thomas, funzionario per la sanità dell’Oregon e pediatra, ha reso nota la notizia.
Thomas non ha voluto rivelare né il nome, né l’età e il sesso della vittima, ma ha assicurato che la morte è stata causata dalla crisi respiratoria innescata dalla patologia legata allo svapo. “Appena arrivata in ospedale, la persona è stata ricoverata e attaccata al respiratore”. Dopo qualche settimana, i dottori hanno costatato che l’infezione polmonare era arrivata a livelli irreversibili. La vittima aveva acquistato un prodotto per le sigarette elettroniche in un marjuana shop.
Il terzo decesso è stato confermato in data 5 settembre dai funzionari sanitari dell’Indiana. Si tratta di “una persona di età superiore ai 18 anni”, ha dichiarato il Dipartimento della Salute dello Stato in una nota. Nello Stato, in particolare, sono in esame 30 casi di gravi lesioni polmonari legate allo svapo» (l’inalazione tramite sigarette elettroniche).
«Da quest’estate oltre 200 persone, perlopiù giovani, sono finite in ospedale in queste condizioni. Tutti sono svapatori. Vengono ricoverati per fiato corto, crisi respiratoria, diarrea, vertigini, vomito. Agli esami tomografici i polmoni appaiono come colpiti da un’infezione molto aggressiva di cui i dottori non conoscono la causa».
Dopo aver notato di sfuggita come agli inizi di settembre del 2019 proprio il Maryland, ossia lo stato federale nel quale è collocato Fort Detrick, stesse valutando se prendere delle misure per frenare l’uso delle peraltro inoffensive (in assenza di Covid-19) sigarette elettroniche, ritenute allora la causa della misteriosa “polmonite” iniziata negli USA nell’estate del 2019, va sottolineato che i sintomi della suddetta epidemia che colpì allora l’America, in concomitanza con la quasi simultanea chiusura della “biologica” Fort Detrick, furono identici alla malattia che in seguito venne identificata, e non certo da Washington, come coronavirus: e del resto lo stesso Robert Redfield, in qualità di direttore del centro statunitense per il controllo e la prevenzione delle malattie, in seguito e all’inizio del 2020 ammise parzialmente che alcuni casi di Covid-19 si erano verificati all’interno degli Stati Uniti già nel corso del 2019 ma vennero diagnosticati come “influenza”, come riferì anche il giornale The Guardian.
Dopo la chiusura di Fort Detrick a fine luglio del 2019 e l’epidemia misteriosa di “polmonite” nella stessa estate, emerse comunque una terza singolarità in terra statunitense sempre in quel periodo: infatti le autorità governative e sanitarie del paese per alcuni mesi attribuirono, in modo illogico, le morti per le strane polmoniti che si stavano verificando negli Stati Uniti nell’estate del 2019 all’innocuo e ormai decennale consumo di sigarette elettroniche, (innocuo, ovviamente, in assenza di coronavirus), creando una colossale e governativa fake news.
Si trattò di un’assurdità incredibile visto che per dodici anni, dal lontano 2007, le sigarette elettroniche erano state utilizzate su larga scala da milioni e milioni di cittadini degli Stati Uniti: durante i lunghi mesi che separano il 2007 dal luglio del 2019 tale consumo non creò alcun problema sanitario serio, e soprattutto polmoniti gravi, mentre risultava chiaro che il presunto effetto nocivo delle sigarette elettroniche era, in modo incredibile, limitato e circoscritto solo agli USA e non coinvolgeva in alcun modo il resto del mondo, dove pure il fumo elettrico era diffuso da un decennio.
Fin dal settembre del 2019 alcuni studi medici hanno mano a mano dimostrato l’assenza di qualunque collegamento diretto tra “svapare”, cioè inalare da sigarette elettroniche, e le “polmoniti” del 2019: ma se il governo Trump e le autorità statunitensi non parlarono in alcun modo di quello che era successo a Fort Detrick, viceversa esse fino all’ottobre 2019 lasciarono tranquillamente che per alcuni mesi si propagassero le false informazioni sull’inesistente legame tra la nuova e “misteriosa” (misteriosa, ma non certo a Fort Detrick) malattia polmonare e le sigarette elettroniche.
Siamo in presenza di fatti eclatanti e innegabili, che a questo punto vanno collegati con un’ennesima anomalia avente per oggetto questa volta il mistero dei giochi militari di Wuhan: e a tal proposito l’insospettabile, filoamericano e anticomunista quotidiano Il Messaggero ha pubblicato nel 2020 un articolo intitolato Primi casi ai giochi mondiali militari di Wuhan 2019.
«Vuoi vedere che il coronavirus era nell’aria di Wuhan già in ottobre, un mese in anticipo rispetto al primo caso ufficiale riscontrato sul suolo cinese e datato 17 novembre? Verso questa possibile conclusione potrebbero condurre alcune testimonianze di atleti recatasi nella località cinese, per prendere parte ai Giochi Mondiali militari, i quali sia in Cina sia al ritorno in patria hanno manifestato i sintomi di quella malattia, che alcuni mesi dopo, avrebbe scombussolato il mondo intero.
Alla rassegna degli sportivi in divisa, celebratasi nel capoluogo della provincia di Hubei dal 18 al 27 ottobre, hanno preso parte 10mila atleti provenienti da un centinaio di paesi. Tra di loro c’erano anche due pentatleti francesi, Valentin Belaud e Elodie Clouvel, che al quotidiano l’Equipe, hanno raccontato di essersi ammalati ed essere stati costretti a saltare gli allenamenti in Cina, accusando problemi mai avuti in precedenza. In più la coppia, nel momento in cui ha comunicato il problema allo staff medico, ha appreso che anche altri membri della delegazione transalpina si erano ammalati.
Pure sul fronte italiano, i racconti degli azzurri presenti in Cina condurrebbero alla stessa conclusione. Tra gli altri lo spadista Matteo Tagliariol, olimpionico a Pechino 2008, che a Wuhan ha gareggiato nella prova a squadre insieme a Paolo Pizzo e Lorenzo Buzzi, ha ricordato di essere stato malato per diversi giorni, soffrendo soprattutto di una fastidiosissima tosse, e che nel centro medico del villaggio le aspirine erano esaurite, a causa dell’elevato numero di malati. Poi al rientro in Italia, il 37enne Tagliariol ha avuto la febbre e dopo la sua guarigione si sono ammalati pure la compagna, la fiorettista Martina Batini, e il figlio di due anni. «Ai mondiali militari di Wuhan ci siamo ammalati tutti, 6 su 6 nell’appartamento e moltissimi anche di altre delegazioni. Tanto che al presidio medico avevano quasi finito le scorte di medicine», ha detto Tagliariol».
Sappiamo con assoluta certezza che i giochi militari mondiali di Wuhan, collegati ovviamente con l’arrivo in Cina di migliaia di militari occidentali e di centinaia di atleti USA, non avvennero nel giugno 2019 ma a partire dal 18 ottobre 2019: dunque a tre mesi di distanza e circa cento giorni dopo i primi casi negli Stati Uniti, verificatisi a partire dal luglio 2019, e tra l’altro sessanta giorni dopo i primi casi di coronavirus a Milano e in Lombardia.
Vista la presenza innegabile del Covid-19 negli USA già durante l’estate del 2019, quindi, furono gli atleti statunitensi a esportare involontariamente il coronavirus in Cina a Wuhan, non il contrario, senza comunque che il governo degli Stati Uniti avvertisse in alcun modo le autorità cinesi dell’epidemia di “polmonite” in corso nella nazione americana.
Di fronte a questo quadro risulta perfettamente chiaro perché i ricercatori dell’autorevole Organizzazione Mondiale della Sanità, un ente dell’ONU, al termine di una serie di ispezioni effettuate all’inizio del 2021 a Wuhan, abbiano definito chiaramente e senza mezzi termini “altamente improbabile” che il coronavirus sia fuoriuscito dal laboratorio di ricerche di Wuhan.
La quinta anomalia ha per oggetto la particolare, inquietante e maligna “simulazione di scenario” pubblicato nell’ottobre del 2019 dal John Hopkins Center for Health Security assieme ad altre due organizzazioni statunitensi, relativa allo scoppio di una pandemia di “coronavirus immaginario”, originatasi in un ipotetico allevamento di maiali del Brasile: una simulazione a tavolino che stranamente si stava già trasformando in realtà, in terra statunitense.
«Eric Toner è uno scienziato americano del John Hopkins Center for Health Security, e a ottobre scorso aveva simulato una pandemia di coronavirus.
Tre mesi fa, infatti, il centro di ricerca di New York ha condotto un esperimento insieme al World Economic Forum e la Bill and Melinda Gates Foundation, per dimostrare l’importanza della partnership tra istituzioni pubbliche e enti privati nel far fronte a pandemie globali.
Lo studio ha simulato una pandemia di coronavirus immaginario originato negli allevamenti di suini del Brasile e un’espansione in quasi tutti i Paesi del mondo nell’arco di 6 mesi. Secondo l’impressionante simulazione, nell’arco di 18 mesi 65 milioni di persone sarebbero morte.
Come ha precisato il John Hopkins Center, l’esperimento e i risultati relativi al numero di vittime non corrispondevano in nessun modo a previsione, ma a una semplice simulazione».
Questa “semplice simulazione” venne pubblicata guarda caso nell’ottobre del 2019: ossia proprio dopo che negli USA era stata chiusa da circa tre mesi la base militare di Fort Detrick, dopo lo scoppio dell’epidemia di polmoniti e dopo l’allarme per il presunto effetto nocivo delle innocue sigarette elettroniche in terra americana.
Un’ultima anomalia, che rafforza ancora di più la “teoria Fort Detrick”, ha per oggetto invece l’enorme numero di vittime purtroppo avvenute sempre negli Stati Uniti a causa dell’“influenza” che colpì il paese dal novembre 2019 (quando a Wuhan stavano iniziando solo i primi sporadici casi…) fino al febbraio 2020, determinando la cifra impressionante di quasi ventimila morti.
Non a caso già nel febbraio 2020, in modo responsabile e onesto, «il Prof. Edward Livingston ed i suoi colleghi, in questa infografica pubblicata il 26 Febbraio su JAMA, sottolineano come, sebbene vi sia una grande attenzione all’epidemia della malattia di coronavirus 2019 (COVID-19), tuttavia questa condizione costituisce un problema rilevante in un’area della Cina e sembra avere ramificazioni cliniche limitate al di fuori di quella regione. Sta di fatto che gli Stati Uniti stanno vivendo una grave stagione influenzale che ha già provocato più di 16.000 morti. L’infografica pubblicata su JAMA mette a confronto i tassi di incidenza e mortalità per le 2 malattie virali delle vie respiratorie.
Nel periodo sino al 24 Febbraio 2020, negli Stati Uniti, relativamente al COVID-19, sono stati registrati 14 casi diagnosticati dal sistema sanitario statunitense, 39 casi tra i cittadini statunitensi rimpatriati. Non sono stati segnalati morti, né pazienti critici e non ci sono evidenze di trasmissione, negli Stati Uniti, in una ampia comunità. Analizzando parallelamente i dati sull’influenza, negli Stati Uniti, al 15 Febbraio 2020, i CDC stimano che si siano ammalate almeno 29 milioni di persone, che siano state effettuate almeno 13 milioni di visite mediche, almeno 280.000 ospedalizzazioni e che i morti siano stati almeno 16.000, da sottolineare le 105 morti pediatriche correlate all’influenza. Pertanto gli Autori ritengono che, sulla base di questi dati, da un punto di vista della sanità pubblica le persone dovrebbero focalizzare la loro attenzione sull’influenza ed adottare le misure preventive che includono, nel caso dell’influenza, anche la possibilità del vaccino, oltre a quelle più volte ricordate per tutti i virus respiratori».
Ma non si trattava certo solo di “influenza”, come ha dimostrato la prima “pistola fumante” in questo particolare intrigo e giallo di portata planetaria: si tratta della scrupolosa attività dell’insospettabile Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, che ha attestato e dimostrato nell’ottobre del 2020 come il coronavirus fosse senza alcun dubbio presente in Lombardia e alcune altre regioni di Italia fin dal settembre del 2019, ossia almeno due mesi prima dell’inizio dell’epidemia a Wuhan e in Cina.
«Il virus SarsCov2 circolava in Italia già a settembre 2019, dunque ben prima di quanto si è pensato finora. La conferma arriva da uno studio dell’Istituto dei tumori di Milano e dell’università di Siena, che ha come primo firmatario il direttore scientifico Giovanni Apolone, pubblicato sulla rivista Tumori Journal.
Analizzando i campioni di 959 persone, tutte asintomatiche, che avevano partecipato agli screening per il tumore al polmone tra settembre 2019 e marzo 2020, l’11,6% (111 su 959) di queste persone aveva gli anticorpi al coronavirus, di cui il 14% già a settembre, il 30% nella seconda settimana di febbraio 2020, e il maggior numero (53,2%) in Lombardia».
Si tratta di una notizia clamorosa, oltre che indiscutibile e sicura: essa dimostra che l’allora “misteriosa” epidemia polmonare, sviluppatasi negli Stati Uniti dal luglio del 2019, si era estesa sicuramente dall’America all’Italia trasferendosi di luogo e nazione all’interno del mondo occidentale, e non certo in quello asiatico…
A questo punto va fatta emergere una seconda superprova.
Infatti uno studio accurato dell’insospettabile ente statunitense denominato Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), pubblicato purtroppo molto in ritardo e solo alla fine del 2020, ha rilevato come ben 39 campioni di sangue, presi tra il 13 e il 16 dicembre del 2019 in California, Oregon e Washington, fossero risultati positivi agli anticorpi del coronavirus: dimostrando quindi in modo indiscutibile che la quarantina di persone coinvolte era stata infettata dal Covid-19 già nelle settimane precedenti, dunque allo scoppio su vasta scala dell’epidemia di Wuhan.
Si può inoltre congiungere tale elemento indiscutibile a una terza e formidabile superprova, che fa luce definitivamente sul caso in oggetto. Infatti ormai è sicura l’identità del “paziente zero”, anzi dei numerosi pazienti zero del Covid di natura civile: gli sfortunati pensionati di una casa di riposo di Green Spring, in Virginia e nella contea di Fairfax, collocata per loro sfortuna vicino a Fort Belvoir, un ospedale destinato ai militari statunitensi e che assiste anche i ricoverandi in arrivo da Fort Detrick.
La sera dell’11 luglio del 2019, infatti, e più di tre mesi prima dei giochi militari di Wuhan, l’insospettabile e anticomunista rete televisiva ABC raccontò che in quei giorni, almeno quattro mesi prima dei casi iniziali a Wuhan, “una malattia mortale in Virginia ha portato due morti e dozzine di residenti infettati di una malattia respiratoria qui nella comunità di pensionamento di Green Spring. Negli ultimi 11 giorni, 54 persone si sono ammalate con sintomi che vanno da una brutta tosse alla polmonite, senza indizi chiave su come sia scoppiata la malattia improvvisa”. Passano due giorni e la strana epidemia compare anche in un’altra casa di riposo li vicino. È sempre il tg» (statunitense dell’ABC) «a raccontarlo: “Un misterioso virus respiratorio ha colpito una seconda casa di riposo nella contea di Fairfax”. L’unica cosa chiara al momento è che, due giorni dopo la seconda epidemia a poche decine di miglia di distanza, con un ordine del Cdc, il laboratorio di sicurezza biologica livello 4 di Usamriid, a Fort Detrick nel Maryland, viene chiuso per un incidente di biocontenimento. È sempre il tg a raccontare le paure degli abitanti di quella zona: “Gli abitanti che vivono vicino a Fort Detrick vogliono sapere perché il laboratorio top di Army Germ, uno dei più noti, è stato chiuso così velocemente”».
Era ed è tuttora un’ottima domanda, un eccellente interrogativo.
«A Fort Detrick infatti gli scienziati Usa gestiscono alcuni degli agenti biologici più sensibili e conducono ricerche mediche all’interno di esso. Ricerche anche su cellule virali molto pericolose, come Ebola e Antrace. […] E allora non possiamo che porci una domanda: c’è forse una correlazione tra la fuga di biocontenimento di Fort Detrick e le epidemie anomale dentro le due case di riposo di Green Spring? È sufficiente osservare la mappa per vedere che vicinissima alle due case di riposo c’è Fort Belvoir, un ospedale per i militari che tra gli altri assiste anche quelli di Fort Detrick. Ma come sarebbe arrivato il contagio da Fort Belvoir alle due case di riposo? Il fatto è che proprio questo ospedale assiste anche i veterani di guerra delle forze armate americane, che vivono anche dentro le due case di riposo. Vi mostriamo alcune immagini, nelle quali si vedono i marines festeggiare nella casa di riposo di Burke i numerosi veterani della seconda guerra mondiale per l’anniversario di fondazione del loro corpo. Può dunque esistere un filo che lega l’incidente di biocontenimento di Fort Detrick, l’ospedale militare di Fort Belvoir e le case di riposo in cui si manifesta l’anomala epidemia di luglio?»
Tra l’altro proprio il sito della contea virginiana di Fairfax, in data 26 luglio 2019, sottolineò che ben 63 residenti della casa di riposo di Green Spring erano stati sottoposti in loco a “numerosi esami”, ma anche dopo di essi “nessun specifico agente patogeno era stato identificato come causa dell’epidemia”.
Se si considerano le altre due “pistole fumanti” e le sopracitate anomalie (le “pericolosissime” sigarette elettroniche made in USA, ecc.), il “filo” che lega Fort Detrick e il Covid è indiscutibile.
Tiriamo le conclusioni.
Tutti i fatti riportati escludono, in modo sicuro e categorico, che l’epidemia di coronavirus si sia sviluppata a partire dalla Cina e da Wuhan, dalla fine di ottobre del 2019; essa invece era virulenta e attiva in Virginia e negli Stati Uniti fin dal luglio del 2019, quindi almeno tre mesi prima dell’inizio della pandemia in Cina.
Come andarono realmente le cose, per la genesi della tragedia del Covid?
Fase uno: verso la fine di giugno del 2019 e a Fort Detrick, si verifica una contaminazione di personale militare statunitense attraverso il coronavirus contenuto nei laboratori della base.
Fase due: una parte del personale infettato viene portato all’ospedale militare di Fort Belvoir, in Virginia.
Fase tre: attorno al 4 luglio 2019, festa nazionale degli USA, involontariamente alcuni marines di Fort Belvoir contagiati dal Covid-19 portano e distribuiscono a piene mani la malattia nella casa di riposo di Green Spring, oltre che in giro per il Maryland e la Virginia.
Fase quattro: dopo un’incubazione di una settimana, scoppia purtroppo una prima epidemia nella casa di riposo di Green Spring con i suoi 263 residenti: due muoiono, i primi caduti dei futuri tre milioni di morti per la pandemia di coronavirus, mentre il Covid-19 raggiunge con la sua marcia mortale un’altra casa di riposo vicino a Green Spring.
Fase cinque: dopo alcuni giorni il Pentagono inizia a preoccuparsi, ordinando la chiusura di tutte le attività di ricerca batteriologica a Fort Detrick, a metà luglio.
Fase sei: dalla metà di luglio all’inizio di ottobre del 2019 l’epidemia via via si espande sia negli Stati Uniti che all’estero, arrivando sicuramente a Milano e in Lombardia all’inizio di settembre del 2019 come provato dall’Istituto dei Tumori di Milano.
Fase sette: le olimpiadi militari mondiali di Wuhan. E a tal proposito l’insospettabile e anticomunista sito intitolato Le Iene ha riportato che «le autorità cinesi hanno più volte sostenuto che l’epidemia sarebbe arrivata a Wuhan con i militari dell’esercito americano che partecipavano alle gare del “World Military Games 2019”, in programma dal 12 al 28 ottobre. Noi ovviamente non lo sappiamo, ma dal periodico delle forze armate americane scopriamo che alcuni militari di Fort Belvoir hanno partecipato a quei Giochi. Tra questi il sergente di prima classe Maatje Benassi e il capitano dell’esercito Justine Stremick, che serve come medico di medicina di emergenza dell’esercito a Fort Belvoir in Virginia. Quindi almeno due atleti dell’ospedale militare situato vicino alle case di riposo dove c’è stata l’epidemia sospetta di luglio sarebbero andati a Wuhan per le olimpiadi di ottobre 2019».
La “fase otto”, che seguì l’inizio di novembre del 2019 e che arriva fino a oggi, risulta purtroppo fin troppo ben conosciuta a livello mondiale…
Le conseguenze della tesi in oggetto dimostrata da numerosi fatti testardi sono fin troppo chiare.
Chiediamo innanzitutto all’Organizzazione Mondiale della Sanità, ente dell’ONU che del resto ha già effettuato un’ispezione accurata a Wuhan in Cina verso l’inizio del 2021, di compiere celermente un’analoga e altrettanto approfondita inchiesta anche rispetto a Fort Detrick, all’ospedale militare di Fort Belvoir e alla casa di riposo di Green Spring in Virginia, al fine di far luce finalmente sulla reale origine dell’epidemia di coronavirus a partire dall’estate del 2019.
Al mondo serve verità, non menzogne a stelle e strisce.
Può sembrare strano ma anche la precedente e famigerata epidemia di “spagnola”, una gravissima forma di influenza che uccise come minimo cinquanta milioni di persone tra il 1918 e il 1920, non nacque e non si sviluppò certo in Spagna, ma viceversa negli Stati Uniti e in Kansas all’inizio del 1918.
Non solo: la cosiddetta epidemia “spagnola” inizialmente venne alla luce e si propagò da una base militare statunitense, anche se quella volta e un secolo fa non si trattava di Fort Detrick ma invece di Fort Reiley, collocato per l’appunto nel Kansas, e anche in quel caso le menzogne furono molte.
È stato notato, in modo lucido e veritiero, che «ogni epidemia ha la sua infodemia, un alone tossico di panzane e disinformazione. Sentite cosa scriveva il quotidiano americano The Washington Times il 6 ottobre 1918: “Anzitutto bisogna dire che il termine “influenza spagnola” è chiaramente un errore, e che il nome dovrebbe essere “influenza tedesca”, perché l’indagine prova che la malattia ha avuto inizio nelle trincee germaniche. Dopodiché ha compiuto un giro dell’intero mondo civilizzato, nel corso del quale è esplosa con particolare virulenza in Spagna, a causa di certe condizioni locali”. Sono i giorni di picco dell’infezione che farà 50, forse 100 milioni di morti in tutto il mondo, un numero cinque o dieci volte superiore alle vittime della Grande Guerra che sta per finire, e l’anonimo articolista ha ragione a dire che la Spagna non c’entra.
Ma è altrettanto ingiusto buttare la croce addosso agli odiati crucchi. I primi casi, in primavera, non si sono registrati nelle trincee del Kaiser, ma proprio in America, per l’esattezza a Fort Riley nel Kansas, in un campo militare di quasi centomila metri quadri, dove più di mille reclute sono rimaste contagiate. Da quando, nell’aprile del 1917, gli Stati Uniti sono scesi in guerra, il loro esercito è salito di colpo da 190 mila uomini a più di due milioni. E in maggioranza sono ragazzi alle prime armi, come il soldatino Charlot di Shoulder Arms. Molti di loro vengono da zone rurali dove vivevano in stretto contatto con polli o maiali: niente di più facile che il virus sia arrivato da lì, e che abbia fatto il salto dagli animali all’uomo proprio in qualche fattoria del Kansas».
Non influenza spagnola, dunque, e nemmeno tedesca: semmai americana. Ma non contento di dare in pasto al pubblico questa fake news, il Washington Times ne lancia anche un’altra, e ben più colossale: “Che i germi dell’influenza siano stati segretamente disseminati in questo Paese da sommergibili tedeschi è un’accusa difficile da provare, ma i loro attacchi coi gas contro gli equipaggi dei nostri fari e navi-faro sono validi indizi contro di loro”. L’epidemia, insomma, non ha nulla di naturale. All’origine di tutto ci sarebbe un complotto criminale, la guerra biologica ordita dai servizi segreti di Guglielmo II ai danni degli Stati Uniti e dei loro alleati europei. È curioso che a propagare questa bufala sia una testata con lo stesso nome (The Washington Times) di quella che un secolo dopo, allo scoppio del Coronavirus Covid-19, ha messo in giro la leggenda del microrganismo ingegnerizzato uscito da un laboratorio militare di Wuhan. Ieri gli elmetti chiodati, oggi gli untori cinesi.
Nel 1918 non c’erano Facebook e Whatsapp, e neppure il TgCom24 di Paolo Liguori, pronto a dare per certa la notizia, «Confermata da fonte attendibilissima». In compenso c’era un conflitto mondiale, quel mostruoso mattatoio che abbiamo visto nel film di Sam Mendes, una corsa forsennata all’annientamento reciproco dove tutto sembra ammesso, compreso il cloro per gasare le trincee opposte, ma anche una macchina dell’odio che fabbrica a ciclo continuo le dicerie più assurde, ingigantite dalla cappa di censura sui mezzi di informazione.
Un mese prima dell’articolo sul Washington Times era stata un’autorità come il colonnello Philip Doane, responsabile della sezione sanitaria della marina mercantile Usa, ad accreditare le tesi cospirazioniste: “Sarebbe molto facile per uno di questi agenti del Kaiser rilasciare germi dell’influenza in un teatro o in qualche altro posto dove si radunano grandi assembramenti di persone. I tedeschi hanno iniziato le epidemie in Europa, e non c’è motivo per cui debbano essere particolarmente gentili con l’America”».
A volte la storia si ripete e a una vecchia tragedia se ne aggiunge una nuova, anche se accompagnata da menzogne abbastanza simili a quelle di un secolo fa.
[1] G.Santucci,”Covid la conferma delle autopsie: il virus circolava a Milano già da dicembre 2019″, 11 luglio 2022, in milano.corriere.it
[2] “Il coronavirus circolava in Italia già da settembre 2019, 5 regioni contagiati “15 novembre 2020, in lastampa.it
[3] “Covid-19 diffuso in Norvegia già nel dicembre 2019 – Akershus University Hospital”, 21 febbraio 2022, in http://www.lantidiplomatico.it
[4] “Esclusivo GT: primi casi Covid negli Usa già a luglio 2019?”, 2 agosto 2021, in http://www.lantidiplomatico.it
[5] “Graphika, una società finanziata dal Pentagono, ha iniziato a monitorare la “disinformazione” sul Covid il 16 dicembre 2019, due settimane prima che l’OMS sapesse dell’esistenza del Covid”, 25 aprile 2023, in giubberosse.news
[6] Niaid e Moderna avevano il vaccino covid già nel dicembre 2019”, 21 luglio 2021, in http://www.comedonchisciotte.org
[7] G.Inturri, “Covid-19 e mobilità: cause, effetti e soluzioni”, in archiviobollettino.unict.it
[8] “Militari Usa a Wuhan. La Cina esige chiarezza”, 11 agosto 2021, in http://www.lantidiplomatico.it
[9] “La prima ammissione “preoccupata” degli Usa sui laboratori biologici in Ucraina” 8 marzo 2022, in http://www.lantidiplomatico.it
[10] “L’origine del Covid-19: cosa vuole nascondere il governo americano?”, 24 giugno 2021, in italian.cri.cn
[11] “Jeffrey Sachs: Sono abbastanza sicuro che il Covid sia fuoriuscito da un laboratorio Usa”, 2 luglio 2022, in http://www.lantidiplomatico.it
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