Gli studenti fuorisede che cercano casa vengono regolarmente spennati. Già dagli anni ’70 gli affittacamere di città universitarie come Milano, Bologna, Roma, facevano affari d’oro.
(Milena Gabanelli e Francesco Tortora – corriere.it)
Da almeno un decennio nei centri storici delle città d’arte anche per i residenti è diventato quasi impossibile trovare un appartamento in affitto, e vengono espulsi verso le periferie. Il motivo è soprattutto uno: i proprietari preferiscono affittare a breve ai turisti. Un fenomeno inizialmente marginale, ma che nel giro di pochi anni ha stravolto le nostre città.
Esplodono gli affitti brevi
Il mercato degli affitti brevi è tra i settori del turismo più in crescita: ogni turista/inquilino può prendere la casa in locazione al massimo per 30 giorni. Il vantaggio per i proprietari è evidente: un maggiore incasso su base mensile e senza i vincoli di un contratto tradizionale (per esempio l’affittuario moroso o che alla scadenza non vuole lasciare l’appartamento), pur restando a loro carico i costi delle utenze e la tassa sui rifiuti. Se nel 2011 gli annunci extra-alberghieri non superavano le 20 mila unità, nel 2023 sono saliti a 700 mila, per un fatturato che si aggira sui 10-11 miliardi di euro. In questo mercato l’Italia è la terza piazza, dopo Stati Uniti e Francia.
Piattaforme e gestori professionali
Le offerte di appartamenti con locazione a breve sono promosse su piattaforme digitali: il 75% gestite direttamente da privati, il 25% dagli operatori professionali. I contratti sono stipulati generalmente dalle stesse piattaforme (Airbnb, Booking, VRBO) che pubblicando gli annunci fanno incontrare domanda e offerta. Per la prestazione si trattengono una percentuale sull’affitto che oscilla tra il 14 e il 18%. La percentuale sale al 35% se si passa dalle agenzie (Italianway, CleanBnb, Halldis, Wonderful Italy) che amministrano le abitazioni per conto dei proprietari offrendo anche il servizio di pulizia, cambio della biancheria, assistenza su tutte le attività burocratiche e assicurative.
Tassa di soggiorno, cedolare secca ed evasione fiscale
Nelle città turistiche il gestore di appartamenti è tenuto a far pagare la tassa di soggiorno agli ospiti e deve comunicare alla questura competente i dati degli affittuari. I privati che amministrano fino a quattro appartamenti (dal quinto in poi l’attività diventa imprenditoriale e segue il regime d’impresa) possono usufruire del regime della cedolare secca e tutti, piattaforme e gestori professionali, devono applicare una ritenuta d’acconto del 21%. Fino ad oggi Airbnb, la principale piattaforma online con oltre 400 mila annunci per l’Italia, si è sempre rifiutata di trattenere l’imposta perché la società ha la residenza fiscale all’estero. Ora la questione è sul tavolo del Consiglio di Stato. Per quel che riguarda i privati a marzo scorso, durante un’audizione in Senato, Federalberghi, che da anni accusa le piattaforme digitali di concorrenza sleale, ha denunciato come lo Stato nel 2022 abbia recuperato dalla cedolare secca sugli affitti brevi appena 80 milioni di euro. Secondo Marco Celani, presidente del Centro Studi Aigab che raccoglie i principali gestori professionali del settore, già oggi le finanze pubbliche dovrebbero essere in grado di raccogliere circa 1 miliardo di euro dalla cedolare secca. La situazione potrebbe cambiare da quest’anno: il Parlamento a marzo ha recepito la direttiva europea «Dac 7» che obbliga le piattaforme web a comunicare all’Agenzia delle Entrate tutte le transazioni effettuate, i dati dei proprietari e il totale dei giorni di affitto durante l’anno.
La vivibilità delle città turistiche
Il movimento veneziano «Alta tensione abitativa» e lo studio del professor Filippo Celata dell’Università La Sapienza «Overtourism and online short-term rental platforms in Italian cities» hanno analizzato il fenomeno: l’aumento esponenziale degli affitti brevi ha snaturato il mercato immobiliare facendo lievitare i costi delle locazioni, riducendo la disponibilità di abitazioni affittate per i tradizionali 4 anni, spingendo verso le periferie residenti e studenti. Il caso più eclatante è quello di Roma che dal 2014 al 2019 ha visto la popolazione residente crollare nelle zone del centro storico (-35,8%) e di Trastevere (-43,1%), dove si concentra la maggioranza delle abitazioni in affitto breve, e crescere in periferia (Mezzocammino +19,6%, Ponte Galeria +16% e Castelluccia +10,1%).
A Milano 180 euro a notte, Venezia la più costosa
Secondo i dati di Aridna, sito che monitora questo tipo di mercato, nel mese di aprile 2023 le abitazioni disponibili a Milano erano 17.319, il 63% affittate ad un prezzo medio di 180 euro a notte. A Roma erano 19.777, di cui l’88% a un prezzo medio di 190 euro. A Firenze l’87% degli appartamenti viaggia a 192 euro a notte; a Napoli il 77% a 120 euro; a Torino il 65% a 98 euro; a Bologna il 75% a 128 euro: a Verona il 67% a 163 euro. Venezia resta la città più costosa: con 7.203 abitazioni disponibili, occupate l’83%, mediamente 212 euro a notte. In tutte le città i prezzi sono aumentati almeno del 30% rispetto al 2019 con punte del 50% a Venezia e Roma e del 60% a Firenze e a Napoli.
L’appello dei sindaci
I sindaci di 13 città (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Parma, Bergamo, Lodi, Verona, Padova, Trieste e Rimini) chiedono una legge nazionale che regolamenti il mercato. Nell’elenco non figura il sindaco di Venezia, eppure proprio Venezia è l’unica città italiana che potrebbe già oggi limitare il numero di immobili in affitto attraverso le piattaforme digitali grazie a una norma approvata nel 2022 dal governo Draghi. La giunta veneziana però non ha ancora deciso nulla, nonostante il numero di residenti del centro storico sia passato in 10 anni da 60 mila a meno di 50 mila, quasi superato ormai dal numero di posti letto per turisti: 48 mila.
Cosa accade in Europa
Da tempo i sindaci di molte città europee hanno imposto regole e limiti:
1) «time cap», il tetto massimo di giorni di affitto all’anno. La più restrittiva è Amsterdam, i giorni di affitto breve vanno da un minimo di 7 ad un massimo di 30, che diventano 70 a Copenaghen, 90 a Londra e Berlino, 120 a Bruxelles. Per chi supera la soglia ci vuole una licenza e si applica un aumento delle tasse.
2) autorizzazione dei condomini ad Amsterdam, Barcellona, Parigi, Vienna, Bruxelles, Madrid.
3) «zonizzazione»: in alcuni quartieri è completamente vietato l’affitto breve, per esempio a Vienna. Per chi sgarra ci sono multe severe. A Parigi Airbnb è stata condannata nel 2021 a pagare 8 milioni di euro al Comune per
aver pubblicato sulla piattaforma mille annunci di locazioni non
registrate. «La regolamentazione nelle città europee – spiega a Dataroom il professor Celata – ha ridotto il numero di annunci per appartamenti del 28,8% rispetto alle metropoli che non hanno introdotto alcun limite».
L’intervento del governo italiano
La responsabile del Turismo Daniela Santanché ha annunciato che nei prossimi giorni presenterà al Consiglio dei ministri un disegno di legge per regolamentare questo settore. La bozza del Ddl va incontro alle principali richieste di Federalberghi e prevede un minimo di 2 notti di permanenza nei Comuni turistici. Non è previsto né un tetto massimo di giorni di affitto all’anno né una limitazione di posti letto in rapporto al numero dei residenti nei vari quartieri come chiedono i sindaci. Verrà introdotto però un codice identificativo nazionale per ogni abitazione (esisteva già, ma era su base regionale e non c’erano controlli). Questo per evitare il nero. In caso di non applicazione che multe rischiano i proprietari? Da 500 a 5 mila euro. È evidente che affittando a 200 euro a notte, una sanzione massima da 5 mila euro non disincentiva nulla, mentre regolamentare questo settore è cruciale per trovare un punto di equilibrio fra i vantaggi del turismo, che vale il 6% del Pil e arriva al 13,4% con l’indotto, e la vivibilità dei centri storici. Spingendo fuori i residenti si uccide l’identità stessa di questi luoghi, che via via si trasformano in colonie turistiche affollate solo di pizzerie, ristoranti e negozi di souvenir.
dataroom@corriere.it
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