I. “Cito qualcuno per non stare zitto”
Cos’ha
detto? Ho capito / Chi l’ha detto? Condivido / Leggo poco, guardo i
video / Non mi vanto, sono un mito / E se non so cosa dire, cito
qualcuno per non stare zitto.
(Selton, Pasolini)
(charta sporca pensare inattuale) sinistrainrete.info Sara Nocent
Ai ventenni di oggi. Nati dagli eterni figli della “Generazione X” ed
eredi di rivoluzioni fallite, di una depressione romanzata dissoltasi
ormai in una diffusa, indefinibile ansia. Siamo i post-figli, cresciuti
senza conoscere la differenza tra le realtà sociali e lavorative stabili
di più di quarant’anni fa e la disgregazione, l’accelerazione applicata
a ogni campo, il desiderio autoimprenditoriale. Non abbiamo avuto
neanche la delusione di una promessa mancata, quella di un’occupazione a
tempo indeterminato, con ritmi e paghe decenti, e della possibilità di
farsi una casa e una famiglia. Il verbo della flessibilità e del
perfezionismo ci è stato infatti impartito fin dall’infanzia, già ai
tempi delle maestre che elogiavano chi poteva permettersi di fare più
attività extrascolastiche e riusciva a essere bravissimo in tutti i
campi. Non che all’università le cose migliorino: dire “sono anche uno
studente universitario” è quasi diventata un’abitudine per campioni di
varia sorta, come se impegnarsi nello studio non fosse sufficiente di
fronte al bisogno di eccellere il prima possibile. Professori e
professoresse ci hanno insegnato che è necessario competere, ma manca un
dettaglio: competere per cosa? Per quel fantomatico “mercato del
lavoro” spesso rappresentato come un brutale stato di natura, quello
stesso contesto che poi ti chiede, fra le varie soft skills, di essere
empatico, causativo, creativo. Devi insomma essere quello che fai,
mentre la qualità con cui lo fai e le tue risorse mentali sono oggetto
di valutazione performativa e morale, capacità che possono essere
addestrate.
Devi andare al macello sì, ma con il sorriso.