Scompare la classe media bloccato l’ascensore sociale Community Media Research
fotografal’immobilismo dell’Italia: in cinque anni è raddoppiata –
specie al Sud – la quantità di persone che si percepiscono povere.
Daniele Marini Busiarda *
L’avvento della crisi nel 2008
costituisce uno spartiacque per i paradigmi dello sviluppo, i cui
effetti sono tuttora presenti. Fra le conseguenze, la più evidente è la
polarizzazione del sistema produttivo: le imprese si sono divise fra chi
ha ottenuto performance positive e chi ha manifestato difficoltà sempre
più marcate. Generalmente, le prime hanno investito nei processi di
innovazione e si sono aperte alle relazioni con l’estero. Le seconde,
invece, non hanno saputo/potuto innovare e hanno operato solo sul
mercato domestico. Fra questi due poli, lo spazio di manovra ispirato a
un’attesa passiva in vista di un miglioramento, ha prodotto solo esiti
negativi e fatto scivolare fuori dal mercato.
Ora
questo processo di divaricazione si sta spostando dal piano del sistema
produttivo a quello delle famiglie e degli individui. E tutto fa
pensare che avrà una velocità elevata, di cui già oggi avvertiamo i
segnali. È sufficiente consultare gli ultimi dati per verificare
l’accentuarsi di un fenomeno di recrudescenza della povertà e di
polarizzazione nelle condizioni economiche delle famiglie. . Questi dati
ci collocano ancora lontano dalla soglia individuata dalla strategia
Europea 2020 che ha indicato per il nostro paese una quota poco
inferiore ai 13 milioni di individui, quando oggi superiamo di molto i
17 milioni. E mentre in Europa mediamente si assiste a un calo della
povertà, noi scaliamo verso l’alto la classifica.
E non solo aumenta l’esclusione sociale,
ma anche la distanza fra ricchi e poveri. L’Istat evidenzia come fra il
2009 e il 2014 il reddito in termini reali cali in misura maggiore per
le famiglie appartenenti al 20% più povero, ampliando così la distanza
da quelle più ricche il cui reddito passa da 4,6 a 4,9 volte rispetto
alle più povere. La polarizzazione investe anche le famiglie italiane e,
come sottolinea l’ultimo rapporto Caritas, tale processo scardina le
tradizionali categorie sociali che – in precedenza – erano quelle più a
rischio di esclusione. Oggi i sistemi di disuguaglianza investono anche i
giovani, chi pur avendo un lavoro e con pochi figli però è precario o
ha una bassa remunerazione. Soprattutto tocca il ceto medio, erodendone
le tradizionali certezze. Non è un caso che dopo il voto in Gran
Bretagna (Brexit), l’elezione di Trump negli Usa e il diffondersi di
movimenti populisti che intercettano parti significative di ceto medio,
l’attenzione della politica verso i temi della coesione sociale stiano
rientrando nell’agenda.
La ricerca
Come sia modificata l’appartenenza ai
diversi gruppi sociali da parte della popolazione è l’oggetto
dell’ultima rilevazione di Community Media Research in collaborazione
con Intesa Sanpaolo, per La Stampa. L’esito complessivo rimarca la
polarizzazione nelle condizioni economiche percepite. Se nel 2011 poco
più della metà degli italiani (52,2%) si ascriveva al ceto medio-alto e
alto, oggi solo il 26,5% si colloca nei medesimi gruppi sociali.
Viceversa, se aumenta leggermente la quota di chi si identifica nel ceto
basso (9,5%, era il 4,5% nel 2011), accrescono significativamente
quanti vanno a ingrossare le fila del ceto medio-basso che dal 43,3%
(2011) passano al 64,1% (2016). Dunque, è soprattutto una parte
consistente del ceto medio a subire una divaricazione nelle condizioni
percepite, sospinte a una mobilità verso il basso, più che verso l’alto.
È un fenomeno che investe l’intero Paese, ma che conosce nel
Mezzogiorno un particolare deterioramento. Nel 2011 il 46,6% degli
interpellati si situava nei ceti medio-basso e basso, per salire a ben
il 78,8% nel 2016. Di qui, come ha recentemente sottolineato anche il
premier Gentiloni, l’attenzione che l’esecutivo vuole destinare ai
giovani e al Mezzogiorno. Confrontando le auto-collocazioni nei due
periodi è possibile definire la mobilità sociale percepita degli
italiani, ovvero come e se funziona l’ascensore sociale.
Un Paese bloccato
L’esito ci consegna un paese in gran
parte bloccato. Per i due terzi degli italiani (62,1%) l’ascensore
sociale rimane sempre allo stesso piano: nel periodo esaminato (2011-16)
non hanno conosciuto scostamenti significativi, al più hanno avuto una
mobilità orizzontale. Ciò è avvenuto, in particolare, per i più giovani
(68,2% fino a 34 anni), i laureati (69,4%), chi appartiene ai ceti
medio-alto e alto (86,6%) ed è residente al Nord (66,6%). Invece, per un
terzo (34,3%) l’ascensore sociale è sceso verso il basso. Tale discesa
coinvolge le persone al crescere dell’età (41,0% oltre 65 anni), chi ha
un titolo di studio medio-basso (35,8%) ed è disoccupato (49,6%).
Soprattutto, interessa chi risiede nel Mezzogiorno (43,2%) e chi
appartiene al ceto medio-basso (41,7%) e basso (67,4%). Sono molto pochi
(3,6%) coloro che hanno conosciuto una mobilità sociale ascendente e in
modo pressoché esclusivo chi apparteneva al ceto medio-alto (11,1%).
Così, non solo siamo di fronte a un
processo di polarizzazione delle condizioni economiche degli italiani,
ma è evidente come si palesi anche un «effetto spirale» che sospinge
verso una marginalità ulteriore chi già si trovava in difficoltà, da un
lato. E, dall’altro, risucchi verso l’alto solo quanti occupavano già
posizioni elevate. Parafrasando il compianto sociologo Bauman, più che
«liquido», l’Italia è un Paese «vischioso», dove l’ascensore sociale
funziona poco o, quando funziona, è altamente selettivo. Ripresa
economica lenta e mobilità sociale bloccata sono due ostacoli da
rimuovere velocemente per costruire il futuro del paese.
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