domenica 23 febbraio 2014

Un (brutto) governo democristiano

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Un governo a tra­zione cen­tri­sta, dove la gio­vane età è inver­sa­mente pro­por­zio­nale all’esperienza e il fiore all’occhiello di una forte pre­senza fem­mi­nile si esprime nei mini­steri senza por­ta­fo­glio, o in quelli pesanti con una pre­va­lenza di orien­ta­mento con­fin­du­striale (Squinzi docet). Chi ancora cre­deva che la sini­stra avrebbe gua­da­gnato qual­che chance con il gio­vane sin­daco, ora dovrà riporre altrove le pro­prie spe­ranze di cam­bia­mento. Magari comin­ciando a cam­biare partito.
Il governo appena nato si affranca dalla tutela svolta dal capo dello stato nella sta­gione dei governi tec­nici. Sta qui la vistosa discon­ti­nuità della squa­dra mini­ste­riale che ieri pome­rig­gio il presidente-segretario è andato a sot­to­porre al giu­di­zio del pre­si­dente Napo­li­tano. Nei nomi dei mini­stri è pal­pa­bile un pas­sag­gio del testi­mone che allenta la respon­sa­bi­lità del Quirinale.
Lo ha voluto rimar­care lo stesso Napo­li­tano ai gior­na­li­sti, da più di tre ore in attesa del labo­rioso parto. Nel sot­to­li­neare che era stato rispet­tato l’articolo 92 della Costi­tu­zione, Napo­li­tano ha evi­den­ziato come «l’impronta del pre­si­dente Mat­teo Renzi risulti evi­dente nei molti volti nuovi», e a giu­sti­fi­ca­zione del tempo impie­gato per la com­po­si­zione della lista mini­ste­riale, ha anche aggiunto che lui, il pre­si­dente, sbri­gava lavoro di rou­tine men­tre Renzi cer­cava di venire a capo delle ultime fati­cose trat­ta­tive. Come si deduce dalla sosti­tu­zione della mini­stro Bonino, una «tec­nica» napolitaniana.
La seconda evi­denza di ordine gene­rale dice quanto sia facile alzare la ban­diera della rot­ta­ma­zione quando si tratta del pro­prio par­tito e quanto, al con­tra­rio, sia dif­fi­cile pra­ti­carla con il governo. Lo dimo­stra la reli­giosa osser­va­zione del manuale Cen­celli, con la spar­ti­zione dei posti secondo il peso delle cor­renti interne al Pd e secondo le per­cen­tuali delle altre com­po­nenti di una mag­gio­ranza foto­co­pia di quella del governo Letta.

A voler essere pignoli, se si guarda alla pro­ve­nienza, alle radici politico-culturali dei mini­stri, se ne con­tano 7 su 17 di matrice demo­cri­stiana (a comin­ciare natu­ral­mente dal pre­si­dente del con­si­glio e dal suo brac­cio destro Del­rio, scelto come sot­to­se­gre­ta­rio). Il nuovo cen­tro­de­stra di Alfano può essere più che sod­di­sfatto, obiet­ti­va­mente non poteva andar­gli meglio. Soprat­tutto se si tiene conto dell’affidamento della scuola (la grande scom­messa man­cata) a una mon­tiana, con­vinta pri­va­tiz­za­trice (la segre­ta­ria di Scelta Civica), e dello Svi­luppo eco­no­mico a una pasda­ran di Con­fin­du­stria. Oltre natu­ral­mente al man­te­ni­mento del mini­stero della salute a una diver­sa­mente ber­lu­sco­niana come Loren­zin. Su que­sto impianto si inca­stra per­fet­ta­mente la desi­gna­zione di Padoan nel ruolo-chiave di mini­stro dell’economia attento alle richie­ste dell’establishment europeo.
L’unica lente per leg­gere la verità del governo è nella seconda mag­gio­ranza, quella vera, tra Renzi e Ber­lu­sconi, capace di tenere insieme que­sto rim­pa­stone fin­ché non saranno mature le ele­zioni anticipate.

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