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Continuano a moltiplicarsi in Italia e nel mondo le iniziative promosse da chi cerca di colpire l’economia e gli interessi israeliani dopo lo scoppio del conflitto in Palestina e il perpetuarsi dei massacri nella Striscia di Gaza ad opera delle forze armate dello Stato Ebraico. Rete Campagna GD per la Palestina, formata da oltre 160 associazioni riunite in un network interregionale, ha infatti lanciato una petizione contro quelle catene della grande distribuzione che vendono al proprio interno prodotti israeliani, molti dei quali vengono peraltro erroneamente etichettati come “Made in Israel” ma, in realtà, provengono da terre palestinesi occupate. L’operazione si inserisce nella vasta campagna di boicottaggio promossa dal movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) contro i marchi israeliani, che negli ultimi mesi sta ottenendo importanti risultati in diversi Paesi del mondo.
Nello specifico, attraverso la petizione i promotori chiedono alla Grande Distribuzione (Coop, Conad, Esselunga, PAM, MD, Eurospin, LIDL, NaturaSì e altre) di interrompere la vendita di prodotti israeliani finché Israele non rispetterà i diritti umani e il diritto internazionale. I firmatari evidenziano che, per la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, «è obbligo di tutti gli Stati prevenire il genocidio: l’Italia, come l’Unione Europea e gli Stati Uniti, tace ed è complice». Nella petizione si legge che «la responsabilità ricade anche sulle imprese, che dovranno rispondere delle loro eventuali complicità. E su tutte e tutti noi, cittadine e cittadini: noi non vogliamo essere complici!».
I sostenitori dell’iniziativa chiedono dunque il ritiro dei prodotti israeliani dai banchi dei supermercati della Penisola, affermando che, così come «non è accettabile che siano presenti sugli scaffali dei supermercati prodotti che provengano dal lavoro infantile o da sfruttamento come il caporalato», è a maggior ragione «inaccettabile che siano venduti i prodotti del sistema genocidario di Israele». L’azione è infatti nata ad aprile 2024 da un gruppo di socie e soci COOP che avevano segnalato alle loro associazioni che nei punti vendita COOP erano esposti prodotti israeliani (ad esempio avocado e arachidi) e coinvolge ora 3 Cooperative (Alleanza 3.0, Unicoop Firenze, Unicoop Tirreno), che sono le maggiori del sistema COOP. «In questi mesi di lavoro abbiamo preso in esame i Codici Etici di molte imprese della Grande Distribuzione secondo cui le catene di supermercati si impegnano a garantire che i fornitori dei prodotti presenti sui loro scaffali non violino i diritti umani e il diritto internazionale – concludono i promotori –. Richiamiamo tutte le imprese della Grande Distribuzione a rispettare il proprio Codice Etico!».La petizione segue la scia inaugurata dalla campagna di boicottaggio verso Israele, coordinata dalla rete BDS e ufficialmente nata nel 2005, che si sostanzia nell’invito lanciato ai consumatori a non acquistare prodotti di una precisa lista di marchi. La finalità è quella di rendere l’occupazione economicamente insostenibile e contribuire in maniera attiva alla sua fine, potendo così ambire al riconoscimento dei diritti fondamentali del popolo e dei profughi palestinesi in nome del principio di uguaglianza. Le iniziative del boicottaggio hanno portato a risultati importanti. Negli USA, ad esempio, la scorsa estate la multinazionale dell’elettronica Intel ha deciso di sospendere un mega progetto da 15 miliardi di dollari in Israele per la costruzione di un nuovo centro per la produzione di chip. A novembre, invece, da un lato il gruppo Majid Al Futtaim, affiliato di Carrefour in Medio Oriente, ha annunciato la chiusura definitiva delle sue attività con Carrefour (considerata legata a Israele) in Giordania, mentre l’azienda tedesca PUMA, attiva nel settore dell’abbigliamento e dell’equipaggiamento sportivo, ha riferito che porrà fine al suo contratto di sponsorizzazione con la Federazione Calcistica di Israele (IFA), l’equivalente della nostra FIGC.
[di Stefano Baudino]
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