martedì 20 agosto 2024

WOKE E TABÙ

 Sarebbe un vero peccato non corrispondere alla gentilezza che l’editore Petite Plaisance di Pistoia ha mostrato per i lettori mettendo loro a disposizione tutti questi “piccoli Preve”.

Mi riferisco a quella serie di volumetti di prezzo e foliazione ridotta (molto meno di cento pagine e di dieci euro) spesso tratti da volumi collettanei o da opere maggiori di Costanzo Preve e centrati su temi quanto mai attuali e puntuali: il Sessantotto, il ruolo degli intellettuali, le differenze tra destra e sinistra o, come nel caso del libro di cui qui parliamo, il politicamente corretto. Un’occasione dunque per scoprire o riscoprire o approfondire un autore che ha pochi eguali per parresia (a volte ai limiti di una, per me deliziosa, brutalità), coraggio intellettuale, preparazione, sistematicità. Preve riesce come pochi a congiungere l’analisi del minuto, dell’attuale, del singolare con un solidissimo incardinamento teoretico, con una rapida e sicura risalita alla matrice del suo pensiero, con il suo sistema, con quel corpo a corpo che svolge con l’intera tradizione occidentale e soprattutto con Hegel e Marx.

Il titolo oggetto di queste brevi righe è il serio Elementi di politicamente corretto doppiato da un ancor più serio sottotitolo: Studio preliminare su un fenomeno ideologico sempre più invasivo. Entrambi rivelano la natura sistematica e fondata di questo autore che mai però, ennesimo peccato dell’accademia italiana, ha insegnato in una università. Il volume inizia con una breve perlustrazione del rapporto tra struttura e sovrastruttura risolto olisticamente, in un reciso rifiuto della abituale meccanicità topografica del sotto/sopra, attraverso il concetto di “totalità unica espressiva” segnalando “al lettore la centralità del concetto di ideologia per la riproduzione del sistema capitalistico” (p. 8).

Il Politicamente corretto rappresenta per Preve non un errore di sistema, non una esagerazione di alcuni elementi da parte di soggetti ipersensibili, non qualcosa di laterale ed episodico, ma la principale Formazione Ideologica unificata “di una nuova fase del modo di produzione capitalistica postborghese e postproletario” (p. 9). Questa centralità è del resto dimostrata dalla recente e sempre più approfondita riflessione, in pensatori interessati ai destini della cultura e della convivenza umana, sulle conseguenze concettuali e sui concetti soggiacenti della correttezza politica. Penso tra i tanti testi (di cui una parte significativa si limita a resocontare le vette di stupidità della correttezza politica o proporre una sacrosanta ma insufficiente difesa della libertà di pensiero) al necessario e recente Ždanov. Sul politicamente corretto di Alberto Biuso per i tipi di Algra che indaga l’ontologia implicita di queste proposte o, andando indietro di qualche anno e concentrandosi sul piano della teoria politica, a Il lupo nell’ovile di Jean Claude Michea per i tipi di Meltemi.     

Il politicamente corretto, come “forma di totalitarismo ideologico flessibile”, svolge per Preve una funzione dissuasiva nei confronti della filosofia come tentativo di “salvare la polis dalla dissoluzione” (p. 13). Una continua perimetrazione di ciò che si può dire e pensare può far vacillare i pensatori meno indipendenti e meno coraggiosi nonché la gran parte degli ascoltatori/lettori che dovrebbero avventurarsi, proprio per poter capire e pensare, fuori dalla zona di conforto abituale. Di passaggio segnaliamo, nel libretto, alcune importanti pagine di Preve sulle antiche e attuali forme di riproduzione sociale della filosofia e sul suo miserevole attuale stato.

Ma la proposta di Preve si riferisce non alle funzioni quanto all’essenza del politicamente corretto che viene letta con lenti politiche, riguardo alla sua genesi storica, come un “episodio interno alla cultura radicale di estrema sinistra (…) sconfitta al livello della struttura, e che cerca una rivincita al livello del costume, dei modi di pensare e della sovrastruttura” (p. 21). Insomma, dopo aver fallito nel trasformare il mondo la sinistra americana, rifugiatasi nei college, si sarebbe allocata ad un livello meramente linguistico. Ovviamente questa genesi non spiega il suo attuale grande peso culturale e il suo servire un’elite non più identificabile con la sola sinistra. Una situazione, questa, meglio illustrata dalla seconda lettura, questa “antropologica”, che è il cuore della proposta teorica di Preve e che vede il politicamente corretto come una “tarda elaborazione razionalizzata del sistema dei tabù che regge tutte le società primitive, che al di là delle radicali differenze dei marxiani modi di produzione hanno regole che si sono riprodotte fino ad oggi”. (p. 18) “Nessuna civiltà umana può esistere o riprodursi senza un sistema di interdizioni” annota Preve e “nelle nostre civiltà monoteistiche, il Politicamente corretto è una secolarizzazione dell’interdetto alla bestemmia” (p. 19). Se si pensa come alcune parole ritenute politicamente scorrettissime non le si pronunci neppure per dire che non vanno pronunciate, allora è proprio l’interdetto alla bestemmia divina l’unica analogia che venga in mente.

Ma, al di là degli utilizzi attuali, questa suggestione antropologica fa pensare che se non la nascita perlomeno l’espansione enorme del fenomeno, qualcosa abbia a che vedere con la religione. Potremmo pensare che la secolarizzazione, la perdita di vigenza delle regole diffuse dalla religione abbiano creato un vuoto, per dir così, di “catechismo”. Una incertezza su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è lecito e ciò che non lo è. Tramontata ormai l’idea di una emancipazione dalla minorità forse il sistema, da sé, aborre il vuoto creando il proprio personale catechismo della bontà e comminando pene sociali a chi non si conforma. 

L’impostazione di Preve rende così più chiara la questione e potremmo vedere il momento attuale (Preve ci ha lasciato nel 2013 e la prima edizione di questo testo è del 2010) come quello in cui le elite, per “calmierare” le idee che le inquietano e per serrare i ranghi degli ormai pochi sostenitori, procedono ad una progressiva tabuizzazione di tutte le questioni in modo da toglierle dal dibattito e da un’eventuale presa di coscienza collettiva. Un “blocco” di sicurezza alla pensabilità del mondo che ben si coadiuva con l’oblio della storia e più in generale con l’indebolimento culturale indotto.

La tabuizzazione antropologica e la deviazione linguistica del tentativo di cambiare la realtà sociale e politica da parte della sinistra americana danno un quadro chiaro della vicenda sicuramente influenzata, secondo Preve, da una mancata rilettura del dogma del progresso, “ultima religione popolare della sinistra europea” (p. 31) e da un ceto medio “del tutto privo di ambizioni di guida politica (…) pronto ad accettare il politicamente corretto come suo nuovo profilo identitario di appartenenza” (p. 33). Questa ideologia viene analizzata da Preve nella sua derivazione europea con i suoi principali elementi, dall’americanismo a quella che lui chiama teologia dei diritti umani, alla dicotomia destra/sinistra eccetera.

Un mondo concettuale bloccato, pieno di sicurezze ormai finte, che pone se stessi implicitamente all’apice di un progresso; lontano da brutte parole e pensieri brutti che non vanno detti, di bocche da pulire con il sapone e di adulti sottoposti che non vanno, come i bambini, scandalizzati.

Purtroppo a questi bambini andrebbe il compito, in una democrazia, di indagare liberamente ciò che sarebbe meglio per tutti noi. Ma si può lasciare decidere dei bambini? Il prosieguo della storia lo state vedendo in questi anni.

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