sabato 31 agosto 2024

Pepe Escobar - "Karbala è la strada per Al-Aqsa": un diario dall'Iraq

Il primo ministro iracheno ha ospitato una conferenza unica nel suo genere a Baghdad durante la marcia dell'Arba'in, che ha coinvolto 21 milioni di persone, collegando l'assassinio dell'Imam Hussain a Karbala, avvenuto nel VII secolo, all'attuale genocidio dei palestinesi da parte di Israele.

Pepe Escobar - "Karbala è la strada per Al-Aqsa": un diario dall'Iraq -  OP-ED - L'Antidiplomatico

lantidiplomatico.it Pepe Escobar The Cradle [Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

BAGHDAD e KARBALA – Arrivare a Baghdad oggi è una scossa elettrica per qualsiasi visitatore che ricordi la recente e cupa storia irachena.

Non ci sono praticamente posti di blocco, a parte le aree governative sensibili. Non ci sono quegli orribili blocchi di cemento dei tempi dell'occupazione americana, che costringono a un lento slalom ogni pochi minuti. Nessuna sensazione di pericolo imprevedibile che può colpire da un momento all'altro. Il verde rigoglioso prospera in tutta la capitale. Haifa Street è stata ricostruita praticamente da zero. Il commercio è in fermento, dall'azione non-stop di Karrada a un complesso di ristoranti in riva al Tigri chiamato (molto appropriatamente) Mille e una notte.

Dopo oltre tre decenni di orrori indicibili inflitti alla culla della civiltà, per la prima volta Baghdad emana un senso di normalità. Ciò ha molto a che fare con la nuova amministrazione, guidata dal Primo Ministro Mohammed Shia al-Sudani, al potere da poco più di due anni.

La scorsa settimana, l'Ufficio del Primo Ministro ha sponsorizzato una conferenza unica nel suo genere, intitolata “La strada per l'Alluvione di Al-Aqsa”, invitando blogger e influencer popolari dal mondo arabo – Palestina, Kuwait, Giordania, Sudan e Libano, tra gli altri – e solo pochi occidentali. I blogger erano tutti giovani; la maggior parte non era mai stata in Iraq e, quindi, non aveva ricordi di Shock and Awe e dell'occupazione – al massimo, qualche vago ricordo degli anni dell'ISIS. Sono rimasti tutti sbalorditi dall'ospitalità, dal dinamismo e, soprattutto, dalla speranza ormai radicata nella vita di Baghdad.

Il governo iracheno ha proposto un'idea allettante, legando una discussione seria su tutti gli aspetti dell'odierna tragedia palestinese non solo a Baghdad, ma anche all'Arba'in a Karbala.

L'Arba'in segna il 40° giorno dopo l'Ashura, il rito sciita che onora il martirio di Hussein Ibn Ali, nipote del Profeta Maometto, brutalmente assassinato insieme a tutta la sua famiglia dal califfo omayyade Yazid Ibn Muawiya. Per i musulmani sciiti, questo massacro disonorevole rappresenta l'ultima incarnazione dell'ingiustizia e del tradimento, considerati mali fondamentali dalla setta religiosa.

È tutta una questione di resistenza – senza menzionare esplicitamente l'Asse della Resistenza. Il martirio dell'Imam Hussein nella battaglia di Karbala è stato – a Baghdad oggi – direttamente collegato al genocidio israeliano in corso di decine di migliaia di palestinesi, in una “Karbala del XXI secolo”.


Ventuno milioni di pellegrini a piedi

Volare poco prima del tramonto su un elicottero sovietico da una base militare sul Tigri a Baghdad a una mini-base a Karbala, a circa 10 chilometri dal magnifico santuario di Hazrat Abbas, è un'esperienza sorprendente.

L'irrefrenabile comandante Tahsin, a Karbala, aveva ordinato al pilota di seguire la rotta dei pellegrini dell'Arba'in, uno dei molteplici assi che attraversano l'Iraq e che portano al santuario.

La sensazione è quella di una lunga carrellata cinematografica. File e file di pellegrini, per lo più vestiti di nero, con i loro zaini, che portano striscioni, camminano a passo sostenuto, attraversando un insieme di bancarelle, punti di ristoro e mini-ristoranti, mescolandosi con i volontari che offrono gratuitamente bottiglie d'acqua e bevande per dissetarsi in questo viaggio spirituale, ma arduo, durante la torrida estate irachena.

Man mano che ci avviciniamo a Karbala, la folla si infittisce. È una sorta di festa mobile dello spirito comunitario. Spuntano canti spontanei, scanditi da un ritmo contagioso, e soprattutto c'è questa spinta incessante a continuare a camminare, per cercare di avvicinarsi il più possibile al santuario.

Ci viene detto che è assolutamente fuori questione avvicinarsi al santuario – la strada è stracolma di gente, corpo addosso a corpo. L'opzione migliore è quindi un posto a cinque chilometri di distanza: una sorta di mini-complesso palestinese con una mostra di gesta militari di Gaza, uno spazio per conferenze, una mini-moschea, una piccola replica di Al-Aqsa e persino un cartello stradale: “Moschea di Al-Aqsa, 833 km”.

Il collegamento Karbala-Al-Aqsa, nel cuore di Arba'in, non potrebbe essere più grafico. È come se lo spirito dell'Imam Hussein si velasse su ogni anima lungo questi 833 chilometri.

Questo complesso è stato uno dei punti focali della commemorazione di quest'anno. Il flusso di pellegrini provenienti da tutto il mondo musulmano è incessante – e molti si fermano a rendere omaggio. Nelle vicinanze, il comandante Tahsin ci presenta un combattente coriaceo anti-ISIS dalla provincia di Anbar, che ora supervisiona un chiosco di kebab iracheno, preparando cibo squisito gratuitamente, “nello spirito dell'Imam Hussein”.

Tornando a Baghdad di notte, il pilota gira intorno alle luci abbaglianti del santuario di Hazrat Abbas, uno spettacolo degno di un remix delle Mille e una notte. Più tardi, la direzione del santuario avrebbe confermato che ben 21,4 milioni di pellegrini erano giunti a Karbala per l'Arba'in.


Incontro con al-Sudani

Il Primo Ministro Sudani riceve gli ospiti stranieri per un incontro speciale in uno di quei proverbialmente monumentali palazzi pieni di marmo dell'epoca di Saddam all'interno della Zona Verde protetta di Baghdad.

Tranquillo, calmo, raccolto, parla con autorevolezza non solo della situazione palestinese, ma anche della sua visione di una nazione stabile, illustrando la sua politica “Iraq First”. Si tratta di sviluppo sostenibile, investimenti nell'istruzione e nelle nuove tecnologie, affermazione della sovranità e, in politica estera, di un'accurata opera di bilanciamento tra Stati Uniti, UE, Russia, Cina e partner arabi/musulmani.

Si suggerisce all'Iraq di passare al livello successivo e di considerare la possibilità di aderire ai BRICS. Il premier Sudani prende nota.

Il messaggio è chiaro: l'Iraq è finalmente sulla strada della stabilità e della normalità. In precedenza, un funzionario governativo aveva osservato: “Daesh [ISIS] ci ha fatto tornare indietro di molti anni. Altrimenti, avremmo fatto ancora più progressi.”

Secondo il dottor Hussein Allawi, uno dei principali consiglieri del Primo Ministro, l'ISIS è stato ridotto, nella migliore delle ipotesi, a poche centinaia di combattenti ai margini del deserto siro-iracheno, protetti dalle tribù locali. La minaccia sembra essere finalmente contenuta, nonostante gli sforzi degli Stati Uniti per ingigantirla.

Ma ciò che rende Allawi davvero entusiasta sono le ramificazioni della politica “Iraq First” – e una serie di possibilità di investimento. Per quanto riguarda l'energia, ad esempio, la Cina acquista quasi la metà della produzione petrolifera irachena; è uno dei principali operatori in diversi giacimenti petroliferi; e si diversifica anche in progetti come il petrolio in cambio di scuole, aiutando Baghdad sul fronte dell'istruzione.

L'Iraq è in prima linea nell'ambiziosa e multimiliardaria Belt and Road Initiative (BRI) della Cina in Asia occidentale. L'attenzione principale è rivolta alla Strada di sviluppo strategico da 17 miliardi di dollari: un corridoio di trasporto da Bassora all'Europa occidentale, che dovrà essere completato entro il 2028, per poi essere collegato alla BRI – un percorso che alla fine si rivelerà molto più economico e veloce di quello esistente di Suez.

Una visita alla Moschea di Abu Hanifa suggella l'Avvento della Nuova Baghdad. È qui che è iniziata la prima marcia di massa contro l'occupazione, sunnita e sciita, nel 2003, solo nove giorni dopo la caduta della statua di Saddam Hussein in piazza Tahrir, provocata dagli Stati Uniti. Il minareto bombardato è stato ricostruito, la moschea è ora in condizioni impeccabili e un annesso con preziosi oggetti sufi è stato sponsorizzato da una fondazione culturale turca.

La culla della civiltà sta lentamente ma inesorabilmente rinascendo.

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