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Come i nostri lettori sanno bene, non siamo mai stati teneri con il cosiddetto Piano nazionale di ripresa e resilienza” (Pnrr, un maestoso e neanche nascosto modo di riscrivere il ruolo e la configurazione produttiva di questo paese dentro una generale ristrutturazione del “modello sociale europeo” mirante a far scomparire proprio gli ultimi residui del lato “sociale” a favore del profitto.
Il meccanismo fondamentale del Pnrr – prestiti contro “riforme” indicate una per una, dentro uno scadenzario molto rigido che lega l’erogazione di singole “rate” a realizzazioni effettuate – è infatti la modalità regina con cui l’Unione Europea ha fin qui costretto i singoli Paesi ad applicare politiche decise a prescindere – programmaticamente – dai diversi risultati elettorali.
Il paese che più di tutti ha pagato questo modo di superare la “sovranità popolare” a favore della “sovranità dei mercati” è stato, com’è noto, la Grecia nel 2015, senza peraltro mai superare la crisi che l’attanagliava, ma consegnandola infine all’estrema destra.
Stupisce – molto relativamente, sia chiaro – che questa stessa Unione Europea approvi benevolmente, dopo lunghe trattative, una riscrittura del Piano che modifica ben 144 “punti fermi” su 349. Non solo per il numero, quanto per i beneficiari di questa riscrittura. Che sono poi l’asse portante del “blocco a-sociale” della destra italiana.
Il punto più evidente è il dirottamente di almeno 16 miliardi dai pochi obiettivi tutto sommato aventi una logica non regressiva (opere per contrastare il dissesto idrogeologico, implementare la rigenerazione urbana o rivitalizzare almeno un po’ la sanità pubblica) per altri interventi definiti “infrastrutturali” dietro cui si intravede senza filtro il volto di cementificatori, vampiri della sanità privata e palazzinari d’assalto.
Il “via libera” dato infine da Ursula von der Leyen sta lì a dimostrare che la partecipazione entusiasta della destra italiana alle politiche euro-atlantiche – dopo tanti anni di “sovranismo recitato” a fini elettorali – val bene qualche deformazione dello schema disegnato tre anni fa.
Il “compromesso”, in fin dei conti, avviene sulla pelle di lavoratori, disoccupati, pensionati, studenti di oggi e di domani. Tutte figure che, per la UE come per il governo Meloni, “contano zero”.
P.s. A seguire l’articolo con cui il manifesto ha registrato “la svolta” illustrata dal ministro Fitto, due giorni fa.
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I comuni protestano perché il governo Meloni intende spostare 13 miliardi di euro di fondi Pnrr sul programma RePowerEu lasciando le uniche amministrazioni pubbliche che hanno un’idea di come impiegare i soldi del Sacro Graal dell’economia italiana finanziata dalla Commissione Europea.
I costruttori edili dell’Ance che si oppongono allo spostamento nel medesimo RePowerEu di circa 4,5 miliardi che sarebbero stati impiegati in teoria per la gestione del «rischio alluvione» e del «rischio idrogeologico» proprio nelle settimane dei disastri dell’acqua in Romagna e degli incendi in tutto il paese.
E poi la Sanità: gli interventi previsti per le «Case della Salute» (da 1.350 strutture ridotte a 936), la telemedicina o gli interventi antisismici negli ospedali saranno ridotti. E pensare che il Pnrr, nel lontanissimo passato recente, era nato retoricamente per rimediare agli sfasci della sanità pubblica durante la pandemia.
Infine 300 milioni di euro tolti alla valorizzazione dei beni confiscati alle mafie. Secondo Libera era già stata pubblicata la graduatoria definitiva di ammissione al finanziamento degli enti locali.
Sono alcune delle «modifiche» da 15,9 miliardi di euro al «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr) che il governo Meloni intende presentare alla Commissione Europea entro il 30 agosto (e al parlamento martedì prossimo).
Complessivamente sono 144 su 349, e sono contenute in una bozza di 150 pagine. In pratica, una mezza riscrittura.
L’ha annunciata in una conferenza stampa l’affaticato Raffaele Fitto, il ministro delegato al Pnrr messo degasparianamente «alla stanga» per tirare il peso del Sacro Graal dell’economia italiana.
A vedere il preoccupatissimo e affabulante Fitto, il calice da sorbire di questo piano malconcepito, di cui si iniziano a vedere gli effetti mancati, sembra decisamente amaro.
«Se il Pnrr ha una portata decisiva per l’avvenire dell’Italia», come ha detto il presidente della Repubblica Mattarella, allora sull’avvenire il mistero si è decisamente infittito.
Tra le sue ombre ieri si aggirava per esempio Antonio De Caro, sindaco di Bari e presidente dei comuni dell’Anci. De Caro ha detto che «la notizia ci ha colpito molto» perché vengono tolti ai comuni soldi che potrebbero spendere mentre ci sono i soggetti attuatori come in ministeri «che non hanno ancora elaborato i progetti».
De Caro ha chiesto al governo «garanzie immediate sul finanziamento delle opere che in molti casi sono state realizzate come quelle finanziate dal ministero dell’Interno».
Vista la sorpresa, ci si chiede cosa si siano detti, De Caro con il suo corregionale Fitto, nella cabina di regia. Non sempre l’accentramento dei poteri a Palazzo Chigi – tanto voluto dal governo Meloni – favorisce la comunicazione.
Un’altra persa nella nebbia del Pnrr sembra la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio: “Non condividiamo la scelta di stralciare dal Pnrr fondi destinati al dissesto idrogeologico e alla rigenerazione urbana – ha detto – I Comuni e le imprese sono fortemente impegnati su tutti i territori nel portare avanti questi interventi urgenti e non più procrastinabili visti anche i continui eventi calamitosi. Peraltro il monitoraggio della spesa sta premiando finora proprio i Comuni e gli interventi diffusi».
Davanti ai primi annunci online sulle modifiche («colpi di spugna» urlavano i titoli) Fitto ha pregato i giornalisti di non parlare di «definanziamento». Dato che si dà per certa l’incapacità di spendere i soldi del Pnrr nelle modalità fin’ora stabilite, si tratterebbe di una ‘riprogrammazione’. O di una partita di giro con il RePowerEu.
Agli ignari della sofisticatissima arte delle finanze resta però un dubbio: ma come si finanziano le opere di cui, per esempio, parla De Caro e sono partite?
Nel regno dell’approssimazione che è il Pnrr l’esecutivo ha promesso di «utilizzare anche il 7,5% delle risorse delle politiche di coesione 2021-2027, già destinate a obiettivi assimilabili a quelli del RePowerEu».
Dalle opposizioni sono volate ieri parole grosse. «Fallimento», «governo incapace», «disastro», «danno». Come se questa vicenda la cui storia va ancora scritta non rivelasse la straordinaria mancanza di un confronto politico mai avvenuto anche quando erano loro a governare, e ad avere concepito il piano neoliberale maestosamente farraginoso con il governo «Conte 2» e quello di Draghi.
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