Sono stati 49 i paesi africani i cui leader si sono recati a Mosca il 27 e 28 luglio per il forum Russia-Africa. 49 su 54 paesi del Continente, a testimonianza di quanto “successo” abbia avuto il “pieno isolamento diplomatico” (di cui solo Rampini & co. sembrano essere convinti) decretato da Washington e Bruxelles nei confronti di Mosca, dopo il 24 febbraio 2022.
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Il punto che più balza agli occhi, dando uno sguardo ai resoconti delle due giornate, è il rimando abbastanza frequente ai passati legami di Mosca con l’Africa: ovviamente i legami della Mosca capitale dell’Unione Sovietica.
Anche in varie dichiarazioni di Vladimir Putin – nella prima giornata, il presidente russo si è soffermato principalmente sulla questione del Black Sea Grain Initiative – si avverte una discreta dose di “appropriazione” del passato sovietico, da lui in molte altre occasioni apertamente disprezzato, a proposito dell’epoca in cui – davvero – l’URSS sosteneva con aiuti, quadri e armi le lotte di liberazione anti-coloniale di molti paesi africani.
Oggi, ciò che accomuna e Mosca e molte capitale africane è la tensione verso un mondo multipolare, per «una architettura più giusta dell’ordine mondiale» e la difesa costante della sovranità nazionale, ha detto Putin.
Mosca, ha continuato Vladimir Vladimirovic, sostiene l’idea di dare all’Unione Africana un posto nel G20; è a favore dell’estensione delle strutture africane alle Nazioni Unite, e in particolare per la riforma del Consiglio di sicurezza, che ne veda l’allargamento alle nuove realtà nazionali in espansione.
Putin ha annunciato la riapertura dell’ambasciata in Burkina Faso (chiusa nel 1992, ufficialmente per problemi economici) e Guinea Equatoriale, e l’aumento di personale in altre rappresentanze diplomatiche in Africa.
A proposito dei cereali, Putin ha ricordato che Mosca, nei primi 6 mesi del 2023, ha esportato 10 milioni di tonnellate di grano, contro i sei milioni dello stesso periodo del 2022. Per la questione del debito ha detto che, a oggi, la Russia ha cancellato 23 miliardi di dollari e, in base alle ultime richieste dei paesi africani, verranno stanziati oltre 90 milioni da destinare ai paesi africani più bisognosi.
Ma, in sostanza, “come mai la Russia ha bisogno dell’amicizia con l’Africa?“, si chiede Natal’ja Varsegova su Komsomol’skaja Pravda.
Dopo il lungo intervallo susseguente la fine dell’URSS e, poi, con l’intensificarsi delle sanzioni occidentali, Mosca si è orientata non solo verso l’Asia, ma anche a sudovest, e l’Africa offre prospettive molto promettenti, con il 17% di popolazione mondiale che va crescendo (si parla di un balzo da 1,4 miliardi di persone a 2,5 entro il 2050) e un PIL complessivo del continente che nel 2021 è cresciuto di circa il 7%.
La “TopTen” dei maggiori partner africani di Mosca include Marocco, Algeria, Tunisia, Senegal, Egitto, Ghana, Etiopia, Nigeria, Rep. Sudafricana, Kenya.
Per quanto riguarda gli scambi, gli ultimi tempi hanno registrato solo un 3% di export russo verso l’Africa (14,7 miliardi di dollari nel 2021) e 1% di import; ma tutto lascia prevedere un discreto sviluppo a tempi brevi.
Le due principali voci di scambi Russia-Africa, dice l’economista Georgij Ostapkovic, sono tradizionalmente date da prodotti alimentari, diretti principalmente verso paesi sub-sahariani, e derivati petroliferi.
Rispetto alle due voci più tradizionali, afferma l’analista Dmitrij Prokhorenko, cresce oggi la richiesta per attrezzature industriali, energetiche e prodotti metallurgici. Nel 2022 sono aumentate le consegne al continente di prodotti prima indirizzati verso altri mercati: acciaio e tubi, rame e filo di rame.
Ma il momento caratteristico del “periodo delle sanzioni” è il fatto che, se prima prodotti africani come caffè, tè, cacao, fiori, arance, limoni, minerali, tabacco arrivavano in Russia tramite società europee, oggi gli importatori russi operano direttamente con le aziende africane.
E anche per le transazioni, dicono gli economisti russi, si procede come da tradizione: voi fornite «merci a credito ai paesi poveri e quelli, “in segno di gratitudine”, concludono grossi contratti con aziende del tuo paese. È così che sta lavorando oggi la Cina: costruisce aeroporti, fabbriche, strade e molto altro in Africa.
La Russia cerca di non rimanere indietro: LUKOJL, Rosneft, VTB Bank, Fosagro, Jandeks, Kasperskij e altre nostre aziende leader operano con successo in Africa da molto tempo. I paesi africani aspettano il nostro aiuto per energia, sviluppo dei porti, costruzione di strade e ferrovie».
Al dunque, Mosca ha bisogno dell’Africa «per gli investimenti. Perché? Oltre alla missione umanitaria (risolvere i problemi della fame e della povertà), l’Africa è un mercato in crescita. È necessario crearvi impianti agricoli e industriali: con quelli, verranno i posti di lavoro; e allora comincerà a funzionare anche il mercato delle nostre esportazioni», dice senza mezzi termini l’analista finanziario Mikhail Beljaev.
Ma non sempre i paesi africani sono in grado di restituire i crediti, che vanno dunque cancellati: «una quindicina di anni fa abbiamo loro “condonato” 15 miliardi di dollari», dice Ostapkovic; «per il nostro paese, con un PIL di quasi 2 trilioni di $ annui, si tratta di una somma modesta. Ma è grazie a tale “beneficienza” che riusciamo a sviluppare la nostra influenza politica: in occasione di voti alle Nazioni Unite, su varie questioni, sono molti i paesi africani che prendono posizione con la Russia».
Il business per la politica; e viceversa.
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