lunedì 31 luglio 2023

L'”ingestibile” talento di Sinéad

Si rimane sorpresi e commossi a leggere i numerosissimi tributi per la povera Sinéad da parte di colleghi musicisti. 


Anche da colleghi musicisti che non ci sono più (bellissimo, ad esempio, il post sul profilo di Lou Reed). Annie Lennox, Massive Attack, Peter Gabriel hanno scritto cose bellissime. Sincere. Emozionanti.

Un’ondata di commozione senza precedenti, almeno che io ricordi, da quando esistono i social. Ognuno, a suo modo, ha voluto rendere omaggio a questa minuta irlandese, dalla voce unica, che toccava con naturalezza vette aspre e soave dolcezza.

Noi che la incontrammo quando avevamo già più di vent’anni, al suo esordio, ne venimmo attratti e poi intrappolati in quella sua maniera di cantare il pop (o se vogliamo il “pop rock” come si diceva in era preistorica) a tratti spigolosa, futuribile. Nella quale si alternavano nubi nere cariche di fulmini e ampie schiarite dal blu di certi cieli spazzati dal vento.

Tanti, tantissimi omaggi. Fino a quando Morrissey decide di scrivere anche lui qualcosa. Lo fa alla sua maniera, come sempre. Ma stavolta, a differenza di altre sue opinioni spiattellate senza girarci intorno, il suo j’accuse trova unanime consenso.

Naturalmente il dito è puntato contro l’industria discografica multinazionale, rea di averla scaricata anche dopo un congruo numero di milioni di copie perché “artista di difficile gestione“.

Molti giornalisti stanno rilanciando il suo post, ma gli strali del Moz sono anche per i media. Oserei dire soprattutto per loro. Che di Sinéad si sono recentemente occupati solo per evidenziarne la sua “follia”, spesso con commenti tranchant, o per il suicidio del giovane figlio diciassettenne.

Non ricordo invece recensioni dei suoi album più recenti, servizi sui TG o sui numerosi web magazine, legati ai dischi che ha pubblicato anche quando era ai margini della scena. Non ricordo nessuna menzione per le sue interpretazioni degli ultimi anni.

Nemmeno per la sua intima e struggente cover di All Apologise di un altro artista scomparso prematuramente in modo tragico.

Ricordo invece le peripezie per procurarmi un link decente dello straziante documentario dedicato alla sua vita, che in Italia nessuno ha mai trasmesso (ma vedrete che la lacuna sarà presto colmata post mortem).

Sinéad ha iniziato immediatamente nel “giro grosso”. Ha immediatamente macinato grandi numeri. Una cosa che è il sogno di tutti o quasi coloro che scrivono ed interpretano canzoni, ma che può trasformarsi in un incubo. Che devasta sensibilità estreme, personalità fragili.

Penso ai tanti, tantissimi artisti che come lei hanno conosciuto il successo mondiale e poi sono stati messi da parte. Emarginati dallo show biz come dai media. A volte derisi.

Non saprei se questa ondata di omaggi alla figura di Sinéad siano anche legati a qualche senso di colpa per ciò che una comunità, quella artistica, avrebbe potuto fare per lei. Per aiutarla a sentirsi meno sola. Meno abbandonata, specie dopo la tragica scomparsa del giovane figlio. Un colpo troppo pesante per essere superato.

Del resto non sappiamo se anche lei avesse voglia di farsi aiutare. O se chi ha provato ad aiutarla si sia poi ritirato di fronte alla difficoltà di ottenere la sua fiducia.

Mi viene da pensare a come sarebbe potuta essere la sua carriera se invece di essere stata messa sotto contratto da una major fosse stata in una etichetta indipendente. Una di quelle label “artist friendly“. Che non hanno timore degli artisti “problematici” (mi viene in mente il lungo sodalizio di uno come Nick Cave con la Mute Records).

Ma poi penso che se così fosse stato magari non avrei trovato il suo Lion and The Cobra in quello scaffale di Sound City (un negozio di dischi sulla Tuscolana) dopo aver visto il videoclip di Mandinka.

Non avrei magari mai ascoltato Nothing Compares 2 U. Non sarei mai stato travolto dalla bellezza cristallina e sanguinante del suo duetto con Peter in Blood of Eden e chissà quante altre gemme ancora.

Il puntare il dito di Morrissey non è solo rivolto ai media e all’industria discografica e dei concerti, rei di averla abbandonata e bollata come caso umano.

Non ci rendiamo conto di come le nostre azioni e le nostre parole, o i nostri silenzi e la nostra indifferenza, possano a volte ferire profondamente coloro che hanno una sensibilità spiccata.

Gli strali del Moz, irish blood pure lui, sono anche un atto d’amore e possono rappresentare uno spunto di riflessione per tutti.

* da Facebook

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