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di Marco Pondrelli
Stefania Limiti è una brava giornalista investigativa che si è occupata delle tante drammatiche pagine della storia italiana. Con questo libro pubblicato da Chiarelettere racconta il fallito attentato a Mariano Rumor del 1973, una strage di cui poco si parla. Questo attentato avvenne in occasione del primo anniversario della morte del commissario Calabresi, a eseguirlo fu Gianfranco Bertoli, il quale rivendicò il suo gesto dichiarandosi anarchico e sostenendo di aver voluto vendicare la morte di Pinelli.
Come sempre dopo un attentato è già pronta una ricostruzione ufficiale con lo scopo di sviare l’attenzione non solo per coprire il vero colpevole e i suoi mandanti, ma anche per rafforzare un disegno politico.
Il nome di Bertoli uscirà nelle liste di Gladio anni dopo ma sono tante le cose che fin dall’inizio misero in crisi la versione ufficiale. Bertoli attenta alla vita del Ministro degli Interni (lui si salva ma moriranno altre quattro persone) con un'arma di fabbricazione israeliana, racconta di averla portata proprio da questo Stato dove si era recato per lavorare nel Kibbutz di Karmia.
È un anarchico un po’ strano, viene da un ambiente di destra, legato ai servizi segreti italiani e conosciuto da quelli israeliani. Non deve stupire il rapporto fra destra neofascista e Israele, come scrive l’Autrice ‘il capo di Ordine nuovo in Veneto, Carlo Maria Maggi, aveva buoni rapporti con le comunità ebraiche veneziane’ [pag. 63].
Scorrendo le pagine del libro la figura di Bertoli inizia ad assumere contorni molto interessanti, questo personaggio è al centro di una articolata trama di interessi, scrive Stefania Limiti ‘quando Bertoli prova ad ammazzare Mariano Rumor le forze reazionarie sono già in fermento da qualche tempo’ [pag. 75], non c’è solo il MSI di Almirante che, lungi dal rappresentare come vorrebbe Violante un tentativo di democratizzare la destra italiana, continua a tenere aperta una forte interlocuzione con formazioni neofasciste terroriste. In quel periodo la contiguità fra gruppi neofascisti, o neonazisti, è apparati militari è sovente molto stretta. La destra spinge per una soluzione greca, il comunismo si può fermare solo con i colonnelli e quindi con un colpo di Stato, Rumor da questo punto di vista è un obiettivo non solo simbolico. La strage di Piazza Fontana, come gli attentati precedenti, erano funzionali alla strategia della tensione e tutti erano stati attribuiti, con abile azione di depistaggio, agli anarchici. Nel 1969 la bomba doveva costringere Rumor, allora Presidente del Consiglio, a dichiarare lo stato d’emergenza, non avere avvallato il disegno eversivo mise il politico democristiano nel mirino dei neofascisti. L’allora Presidente della Repubblica Saragat era probabilmente parte di questo disegno e, scrive l’Autrice, quando Aldo Moro salì al Colle il 23 dicembre 1969 fu per siglare un patto che ‘avrebbe impedito la torsione autoritaria dell’ordine pubblico e dell’assetto istituzionale auspicata dal fronte reazionario e filogolpista in cambio dell’impunità nei confronti degli stragisti e del loro protettori o mandanti’ [pag. 209].
La lista dei mandanti è come sempre la più interessante. Non è un mistero che Bertoli fosse organico a Gladio, su questa organizzazione è interessante notare il cambiamento di opinione di Taviani che in Italia ne fu il padre. L’ex Ministro democristiano dichiarò anni dopo ‘che agenti della Cia si siano immischiati nella preparazione degli eventi di piazza Fontana e quelli successivi è possibile, anzi sembra proprio ormai certo; erano di principio antiaperturisti e anticentrosinistra’ [pag. 174]. Taviani ha capito tardi che la Nato e le sue strutture non dovevano garantire solo la sicurezza da un nemico esterno ma dovevano anche, o forse soprattutto, garantire la ‘stabilità’ interna, ovverosia impedire l’ingresso al governo delle istanze progressiste. La forza della destra fascista era non solo elettorale (nel 1972 il MSI raccolse oltre l’8% dei voti anche grazie ai finanziamenti di importanti industriali, di Confindustria e di ambienti nixoniani) ma anche militare e organizzativa grazie alla fedeltà di molti uomini degli apparati dello Stato. Emblematico quello che scrive l’Autrice riportando le dichiarazioni di un anonimo dirigente democristiano ‘l’attentato contro Rumor fu scioccante. Rumor era un uomo molto importante anche per i suoi consolidati ruoli istituzionali, eppure sfiorò la morte: ci convincemmo tutti, dico tutti, che esisteva un deep State, diremmo oggi, del tutto indipendente, che il partito, la Dc, cioè la Stato, non era in grado di controllare. Capimmo che la situazione poteva sfuggirci di mano, che il Sid e l’Arma di muovevano come fossero due articolazioni autonome’ [pag. 245].
Se la situazione interna era quella di un Paese ancora pervaso da pulsioni autoritarie preoccupate dalla forza del PCI, anche all’estero qualcosa si muoveva. La storia che va da piazza Fontana fino al fallito attentato si svolge mentre negli USA Nixon è Presidente. Gli Stati Uniti non vogliono un colpo di Stato fascista ma usano la destra per forzare la Dc ad assumere un ruolo centrista e, nella loro visione, stabilizzatore. In questa politica è compreso il sostegno dato ai terroristi neri, va ricordato, come scrupolosamente fa l’Autrice, che ‘nel periodo tra il 1969 e il 1974 «i rari studi statistici sulla violenza politica negli anni Settanta registrano un maggior peso dell’estrema destra» al punto da rappresentare il 95 per cento sul totale’ [pag. 81].
Oltre agli Stati Uniti nell’attentato ebbe un ruolo anche Israele ‘Rumor era una personalità di grande spessore politico e va notato che in quei mesi si era distinto, non pubblicamente ma dentro le sedi istituzionali e della sicurezza, per aver preso parte alla ben nota operazione che aveva l’obiettivo di approdare a un accorso con la Resistenza palestinese’ [pag. 136].
Di questa strage i diretti testimoni, a partire da Rumor, parleranno poco o per nulla e il bel lavoro di Stefania Limiti spiega cosa c’era dietro a questi silenzi, è questo il motivo per cui questo libro va letto, perché non è solo un’opera storica ma parla della democrazia italiana che è rimasta incompleta proprio perché non è mai riuscita a fare i conti con il proprio passato.
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