«La mia generazione è cresciuta con la convinzione che il nazismo fosse una storia conclusa per sempre, ma a un certo punto dovemmo renderci conto che ci eravamo illusi… Il nemico non sono più gli ebrei, ma l’onda montante della migrazione che minaccia il senso di identità di una popolazione bianca sempre più spaventata, infertile, senile… Un nuovo Olocausto di proporzioni non minori di quello degli anni ’40 si sta svolgendo alla frontiera tra il nord e il sud del mondo, dal confine bielorusso-polacco alle foreste tra Bosnia e Croazia, alla frontiera tra Spagna e Marocco, alla frontiera messicana, e soprattutto nel Mediterraneo… Nella generazione che si definisce ultima si diffonde un’onda di disperazione. Ma la disperazione non sempre è una cattiva consigliera. Essa può divenire disperanza cosciente, rifiuto radicale di credere negli obiettivi della nazione e dell’economia…»
comune-info.net Franco Berardi Bifo
Nell’ultimo numero di A/traverso, del giugno 1981, pubblicammo La traversata del deserto: iniziava allora il riflusso dei movimenti sociali emersi nel 1968, e cominciava a manifestarsi la lunga crisi della politica che poi si rivelò definitiva: le mega-mutazioni antropologiche prodotte dalla tecnologia apparivano troppo grandi per l’azione cosciente dei governi. E le micromutazioni psico-chimiche prodotte dalle droghe e dalla comunicazione di massa proliferavano fuori dall’ambito dell’azione politica. Iniziava il deserto: un generale nazista cileno aveva abbattuto l’esperimento socialista di Allende per instaurare il neoliberismo che poi una signora inglese trasformò in credo indiscutibile destinato a convertire tutto il pianeta con le buone o con le cattive. Cominciava l’aggressione dell’economia di profitto contro la vita dell’umanità. Quaranta anni dopo quell’aggressione continua e si autoalimenta: ogni frammento di vita è stato risucchiato dall’idrovora economicista. Tutto tende ad essere trasformato in deserto: la vita quotidiana, il linguaggio, l’ambiente. Ora il deserto rivela finalmente di avere creato le condizioni per l’estinzione della civiltà umana. Ma purtroppo l’estinzione prende tempo, e quello che ci aspetta nel frattempo è un’esplosione di orrori inenarrabili di cui il secolo di Hitler e di Stalin è stato solo l’anticipazione.
All’inizio del mese di giugno si è svolto a Parigi il secondo congresso dedicato al problema dell’inquinamento da plastica. Come al solito si è concluso con un nulla di fatto, salvo la promessa di riparlarne entro la fine del 2024. Nel frattempo la produzione di plastica esplode in tutto il pianeta, e ogni regolazione è respinta dai governi. Non tutto il male vien per nuocere, comunque. Le micro-plastiche, prodotto della degradazione delle plastiche industriali, sono entrate nella catena alimentare con il risultato che la fertilità è crollata del 58% in quaranta anni (dati tratti da Count Down, di Shanna Swan), e continua a ridursi. Anche se dobbiamo aspettarci tecnologie di riproduzione artificiale sempre più avanzate, come preconizza Margaret Atwood nei suoi romanzi dispotici, è possibile sperare che grazie alle microplastiche l’umanità scomparirà presto dalla faccia della terra. Questioni di pochi decenni, se dipendesse solo dalle microplastiche. Ma altri fattori creano le condizioni ideali per il prossimo collasso della civiltà.
Il Nazismo è divenuto senso comune
Dopo la seconda guerra mondiale, dopo la sconfitta dell’etno-nazionalismo hitleriano, iniziò il progetto di unità europea che mirava a superare il modello dello stato fondato sulla razza e sulla nazione. La mia generazione è cresciuta con la convinzione che il nazismo fosse una storia conclusa per sempre, ma a un certo punto dovemmo renderci conto che ci eravamo illusi. Lungi dall’essere un cattivo ricordo della storia passata, Hitler, lo sconfitto del ventesimo secolo appare oggi come il trionfatore del ventunesimo. Intendiamoci: come ogni sperimentatore, Hitler aveva fatto il passo più lungo della gamba, ma la sua sperimentazione esprimeva un bisogno profondo che oggi riemerge incontenibilmente: difesa aggressiva della razza bianca, il cui nemico veniva allora identificato negli ebrei e nei sinti-rom. Negli anni successivi alla Brexit e alla vittoria di Trump l’etno-nazionalismo è progressivamente divenuto senso comune della popolazione dominante giudeo-cristiana: il nemico non sono più gli ebrei, ma l’onda montante della migrazione che minaccia il senso di identità di una popolazione bianca sempre più spaventata, infertile, senile, e sempre più minata dal montare di un’onda di sofferenza psichica giovanile e di demenza senile. Il progetto di unione europea era il superamento della forma nazionale dello stato, ma ora la guerra ucraina accelera il processo di formazione dell’Europa nazione. Con il senno del poi oggi appaiono ingenue e quasi ridicole quelle teorizzazioni che solo un decennio fa vedevano nell’Europa il centro della riscossa democratica e sociale di un pianeta che va verso l’autodistruzione. Mentre la destra trionfa alle elezioni in Italia, Grecia e Spagna, fanno ridere i proclami di chi vorrebbe restaurare la democrazia in Europa per il 2025. Fanno ridere i patetici teoremi con cui Toni Negri immaginava che l’Europa potesse salvare la democrazia sociale. L’Europa non è la patria della civiltà e del diritto, ma il cuore del colonialismo e del razzismo, condizioni che resero possibile la formazione dell’economia capitalistica globale. Il comunismo novecentesco tentò di superare il capitalismo, ma non seppe distruggere il nucleo razzista del colonialismo, che del capitalismo è stato la premessa.
Evoluzioni del senso di colpa
Il nazismo hitleriano lungi dall’essere un’eccezione, come ci è stato fatto credere a lungo, mostra ora di essere la verità profonda della storia europea, e oggi ritorna. Per comprendere la genesi dell’attuale ri-nazificazione d’Europa dobbiamo tenere conto di una deformazione della memoria che trae la sua origine dalle diverse declinazioni del senso di colpa bianco. Il senso di colpa del popolo tedesco per il genocidio degli ebrei si è trasformato paradossalmente nel rifiuto di riconoscere che un altro popolo è minacciato di sterminio dagli eredi delle vittime dell’Olocausto. In Germania si vietano manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese, e si accusa di antisemitismo chiunque si azzardi a denunciare la natura etno-nazionalista dello stato che definisce se stesso “lo stato degli ebrei”. La complicità con il colonialismo di Israele, la cui missione dichiarata è lo sterminio dei non ebrei che vivono in quel territorio, è insieme un effetto del senso di colpa e una ripetizione della colpa. Francia e Germania insieme sono gravati dal senso di colpa verso i paesi dell’Europa orientale, che dopo il 1945 furono lasciati in ostaggio di Stalin. Questo impedisce all’Unione europea di fare i conti con l’onda maleodorante di razzismo anti-migranti e di autoritarismo politico che monta in Polonia, Lettonia, Lituania, per non parlare dell’Ungheria. Questo senso di colpa ha spinto l’Europa nel baratro della guerra nazionalista d’Ucraina, che ha fatto della Polonia di Kaczynski il reparto avanzato dell’Europa militarizzata e nazificata.
L’Olocausto alla frontiera sud
Diversa però è l’elaborazione del senso di colpa verso i popoli sottomessi e rapinati da cinque secoli di colonialismo. Il senso di colpa per quei massacri, per le deportazioni di milioni di schiavi, per lo sfruttamento e la devastazione di intere aree del mondo è oggetto di una rimozione che permette di ignorare il genocidio razzista che si sta svolgendo alle nostre frontiere. Un nuovo Olocausto di proporzioni non minori di quello degli anni ’40 si sta svolgendo alla frontiera tra il nord e il sud del mondo, dal confine bielorusso-polacco alle foreste tra Bosnia e Croazia, alla frontiera tra Spagna e Marocco, alla frontiera messicana, e soprattutto nel Mediterraneo dove il sale marino ha sostituito il ZykonB, mentre lungo le coste meridionali e settentrionali del mediterraneo, dalla Libia alla Turchia da Lesbo alla Puglia Auschwitz è riproposta in un arcipelago atroce di centri di detenzione e di tortura. I ministri del governo italiano sono culturalmente predisposti allo sterminio dalla loro stessa ignoranza e dal loro ineguagliabile cinismo, ma non sono peggiori dei loro colleghi francesi, inglesi e anche tedeschi, nonostante il generoso ma fallimentare tentativo di Angela Merkel nel 2015.
Il nazismo a colori
È difficile vedere Auschwitz dietro i resort turistici delle coste greche turche e italiane. Ma il ritorno dell’etno-nazionalismo bianco ha un’estetica diversa da quella del Terzo Reich. Il nazismo a colori non assomiglia a quello che la nostra memoria ha registrato in bianco e nero. La mutazione estetica che ha generato il nazismo a colori è stata concepita e realizzata dal sorridente e mostruoso ghigno di Silvio Berlusconi, la mummia ridens. Gli asini che governano oggi il paese Italia si pavoneggiano con parole apprese forse sul manuale Bignami. Parlano di egemonia culturale ma non sanno quel che stanno dicendo. La verità è che l’espressione “egemonia culturale” era già vecchia quando, negli anni ’60 i tardo-gramsciani del Partito comunista non compresero che stava emergendo una macchina mediatica capace di sostituire la pervasione alla persuasione, l’omologazione all’egemonia. Sarebbe strano se Marcello Veneziani fosse in grado di capire che il suo potere non si fonda sull’ideologia e sulla connessa (decrepita) egemonia, ma sull’accelerazione del rumore a-significante, sulla decerebralizzazione di massa, sulla diffusione di un barocco camorristico che ha radici profonde nell’estetica della subalternità italiana, e dal quale l’Italia non ha alcuna possibilità di uscire viva. La profondità della sconfitta che il genere umano ha subito negli ultimi quattro decenni non si misura in termini politici, ma in termini antropologici, cognitivi, e psichici. Per questo l’abisso è incolmabile.
Disperanza/cospiranza
Si tratta allora di prepararsi a ciò che accadrà perché sta già accadendo: l’Europa è diventata nazione facendo dell’etno-nazionalismo la sua politica ufficiale. La spesa militare aumenta in tutto il mondo provocando un disinvestimento dalla scuola, dalla sanità e azzerando la possibilità di investire sull’ambiente. In nome dell’economia e del nazionalismo il mondo diviene un inferno. L’emergenza ambientale diviene la normalità, e il cambio climatico è un fattore decisivo di spostamento di masse migratorie, e quindi di fascistizzazione della popolazione senescente del nord del mondo. Le difese immunitarie del corpo sociale sono esaurite: il lavoro precario tendenzialmente schiavistico rende impraticabile la solidarietà di classe. La subalternità è psichica, ancor prima che politica. La generazione ’68 sta scomparendo. La generazione che è cresciuta negli anni del liberismo è corrosa dalla depressione e dal cinismo. Nella generazione che si definisce ultima si diffonde un’onda di disperazione. Ma la disperazione non sempre è una cattiva consigliera. Essa può divenire disperanza cosciente, rifiuto radicale di credere negli obiettivi della nazione e dell’economia. Essa può aprire la strada alla cospiranza attiva della passività, del disfattismo, del sabotaggio culturale ed economico. La disperanza può trasformarsi in movimento di autonomia dal destino del genere umano.
Testo di Franco “Bifo” Berardi, pubblicato su celestekunst.it in occasione della mostra Let’s Destroy The Earth But Keep Humans! di Keith Farquhar presso LAVAPIU, Teramo, Luglio 2023.
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