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di Pino Arlacchi - Il Fatto Quotidiano,
26 ottobre 2024
26 ottobre 2024
La misura è colma. Lo stato di Israele non può più stare
nelle Nazioni Unite. E’ diventato uno stato fuorilegge che infrange uno
dopo l’altro i capisaldi del diritto internazionale e che fa sfoggio
della propria impunità potendo contare sulla protezione politica e sul
sostegno militare senza limiti degli Stati Uniti.
Se così non fosse, Netanyahu non avrebbe mai osato
insultare l’ONU, in piena Assemblea Generale, definendola “una palude di
bile antisemita”, e non avrebbe fatto uccidere, durante il solo 2023,
230 dipendenti dell’UNRWA nel corso di bombardamenti, incendi ed assalti
a scuole, depositi di viveri, convogli di aiuti umanitari marcati ONU.
L’ UNRWA è l’agenzia creata nel 1949 dall’ Assemblea Generale per
assistere i rifugiati palestinesi creati dalla “Nabka”, la catastrofe
del 1948 che vide 700mila palestinesi cacciati con la violenza dalle
loro case e dalla loro terra dalla milizia sionista che divenne
l’esercito di Israele. Tutto ciò facendosi beffa dei piani di
insediamento stabiliti dall’ ONU, ed inaugurando una lunga serie di
crimini e di illegalità che arriva fino ai nostri giorni. E che sta alla
radice della fondazione dello stato di Israele nonchè di Al Fatah,
Hamas, Hezbollah e simili.
LEGGI: Il Secondo Olocausto e le Nazioni Unite - Pino Arlacchi
LEGGI: Il Secondo Olocausto e le Nazioni Unite - Pino Arlacchi
Accanto all’ UNRWA, la seconda maggiore vittima
dell’ostilità israeliana verso le Nazioni Unite è l’UNIFIL, una missione
composta da 50 paesi, creata nel 1978 dal Consiglio di Sicurezza per
promuovere la pace in Libano. L’ UNIFIL ha pagato finora con 337 vite
umane l’attuazione del suo mandato. Non tutte le sue perdite sono dovute
ad attacchi israeliani, ma è proprio in queste settimane che è esplosa
tutta l’insofferenza di Tel Aviv contro possibili testimoni di atrocità
pianificate e sul punto di essere attuate.
Dal 1948 fino ad oggi, sono oltre 24 le risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza che criticano o condannano l’occupazione illegale
di territori e le crudeltà di Israele contro i palestinesi. Alcune di
queste risoluzioni sono diventate famose per essere richiamate di
frequente durane le crisi scatenate da Israele.
La risoluzione 242 del 1967 stabilisce il ritiro di
Israele dai territori occupati dopo la guerra dei 6 giorni allo scopo di
favorire una pace duratura nel Medio Oriente. Le risoluzioni 446 del
1979, 904 del 1994, 1073 del 1996 e 1394 del 2002 si uniscono alle 155
risoluzioni approvate dall’ Assemblea generale dal 2015 ad oggi e che
riguardano i tre interventi militari in Libano precedenti quello in
corso, gli insediamenti illeciti in Cisgiordania, il ritiro da territori
occupati, le stragi e le deportazioni di civili palestinesi.
Queste deliberazioni della maggioranza globale sono
altrettante tappe del solco che si è scavato tra i governi di Israele da
un lato, e le Nazioni Unite e il resto del mondo dall’ altro. I 41mila
morti di Gaza, i 100mila feriti, i milioni di sfollati del Libano e di
Gaza, i ripetuti attacchi all’Iran, allo Yemen e alla Siria, gli
assassini mirati di singole personalità straniere avvenuti nel corso
dell’ultimo anno non sono giustificabili in alcun modo. Non sono eccessi
di legittima difesa causati dal massacro di 1200 civili israeliani.
Ci troviamo di fronte ad uno stato membro dell’ONU
colpito da un processo degenerativo. Diventato un aggressore seriale che
non riesce ad astenersi dal commettere crimini contro l’umanità,
crimini di guerra, tentati genocidi e stragi a ripetizione per poi fare
la parte della vittima e rifugiarsi dietro lo scudo degli Stati Uniti.
Nessuno Stato membro è mai stato espulso dalle Nazioni
Unite. Tuttavia, l'organizzazione ci è andata molto vicino, nel 1974,
nel caso del Sudafrica, un caso che presenta evidenti analogie con
quello odierno di Israele. Il dibattito all' ONU sull'espulsione del
Sudafrica non fu scatenato solo dalla crescente avversione
internazionale nei confronti dell'apartheid, ma anche dalla continua
occupazione Sudafricana della Namibia, definita illegale dalla Corte
internazionale di giustizia, come nel caso dell'attuale occupazione
israeliana del Libano e della Cisgiordania.
Tutto iniziò nel 1969, con la risoluzione 269, in cui si
affermava che, qualora il Sudafrica non si fosse ritirato dalla
Namibia, il Consiglio di Sicurezza si sarebbe “riunito immediatamente
per stabilire le misure efficaci” da adottare.
Fu sollevato il tema dell’applicazione dell’articolo 6
della Carta delle Nazioni Unite, che riguarda la procedura di espulsione
di uno stato membro, da votare in Assemblea Generale su proposta del
Consiglio di Sicurezza.
Il Sudafrica non fu espulso dall’ ONU solo perché tre su
cinque membri del Consiglio di Sicurezza – USA, Francia e Regno Unito -
posero il veto sulla proposta. Si trattava pur sempre di un bastione
anticomunista da proteggere. Ma l’Assemblea Generale aggirò l’ostacolo
nel 1974 rifiutandosi di accettare, a stragrande maggioranza, le
credenziali della delegazione sudafricana. Il Sudafrica restò così
escluso dalla partecipazione all’Assemblea Generale per ben venti anni,
fino al 1994, rientrandovi solo dopo la fine dell’apartheid.
La situazione attuale di Israele è molto più grave di
quella Sudafricana degli anni ‘70. In entrambi i casi siamo di fronte a
regimi “rogue”, delinquenti, ai margini della comunità internazionale.
Ma lo stato razzista bianco - posto di fronte agli attentati commessi
dall’ ala terroristica del movimento di liberazione guidata dal giovane
Mandela ed alle enormi manifestazioni di piazza - non tentò il genocidio
o la deportazione della popolazione nera. Gli anni della transizione
alla democrazia, perciò, costarono ai neri sudafricani “solo” 14mila
morti. Negli ultimi decenni della sua vita, il regime di Joannesburg non
mosse guerra né all’ONU nè alle missioni ONU. Il suo tramonto è
avvenuto con un accordo tra le parti e con la promessa di una futura
riconciliazione.
Mandare via Israele dall’ONU è una misura drastica, ma
necessaria. Occorre rompere la bolla di isteria ed onnipotenza dentro
cui vive un regime di psicopatici che non si rendono conto di essere in
guerra non contro i palestinesi e il Medioriente, ma contro il mondo
intero. Lo shock può essere salutare anche per il suo protettore, una
superpotenza in declino tentata di andare nella stessa pericolosa
direzione.
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