Mi è difficile leggere i
commenti di ex diplomatici sulle testate a maggiore tiratura.
(Elena Basile – ilfattoquotidiano.it)
Dietro lo stile sobrio, neutro con cui raccontano le tragedie mediorientali, come se stessero spiegando la tecnica di un videogioco di guerra, appare evidente il pregiudizio, la narrativa di parte a cui strizzano l’occhio. Non potrebbero scrivere sui giornali più letti se non sposassero le tesi propagandistiche in voga, pur camuffandole con dotte citazioni. Del resto si sono allenati in decenni di servizio alla Farnesina in quanto in molte strutture gerarchizzate dello Stato, come è noto a tutti, si fa carriera non tanto in base al merito quanto in virtù di conoscenze e della ripetizione acritica del verbo. Naturalmente ci sono eccezioni che tuttavia non fanno la differenza.
Israele ha osservato in modo coerente una strategia mirata all’escalation e all’allargamento della guerra da Gaza all’intera regione. L’esigenza di coinvolgere gli Stati Uniti in un conflitto contro l’Iran è considerata essenziale dalla attuale leadership di Tel Aviv ed è sottolineata da molti noti membri del Congresso, soprattutto repubblicani. Questioni di carattere contingente, quali la sopravvivenza politica di Netanyahu, si uniscono a elementi di lungo periodo che caratterizzano la visione neo-conservatrice americana intesa a utilizzare la pedina atlantica, Israele, e l’alleato sunnita, Riad, in funzione anti-iraniana e anti-sciita. Gli accordi di Abramo, abominevoli perché in grado di svendere la questione palestinese a interessi di carattere economico base dell’alleanza politica tra Tel Aiv, Riad e le monarchie del Golfo, sono stati emblematici della cieca hybris neoconservatrice, assecondata dalle diplomazie europee e dagli stessi ex colleghi chiamati oggi a spiegarci l’orrore mediorientale. Il 7 ottobre, rivolta brutale di Hamas, è stato il bel risultato raggiunto da questa politica di divide et impera sulla pelle dei deboli.
L’Iran è riuscito a non farsi trascinare in una guerra suicida avendo come complice l’amministrazione statunitense che è compatta nel rifiutare che si apra, prima delle elezioni, un nuovo fronte in Medio Oriente. Se Trump arriverà nuovamente alla Casa Bianca sarà anche grazie all’aiuto della lobby di Israele, che vede nel politico repubblicano un più fedele esecutore della volontà, nient’affatto segreta, di colpire i siti militari, petroliferi e nucleari iraniani. Teheran ha naturalmente un solo interesse in una situazione in cui la sua stessa sopravvivenza è messa in pericolo: procurarsi l’arma nucleare con l’aiuto dei suoi alleati.
Il Blob americano, complesso militare-industriale, agenzie di sicurezza, Pentagono e Dipartimento di Stato, ha eletto la tattica a unica dimensione possibile. L’isolamento dell’asse della resistenza, la scelta sistematica della supremazia militare contro ogni possibile mediazione, presenta vantaggi oggettivi nel breve periodo per le oligarchie delle armi con ricadute importanti sull’economia. È tuttavia inquietante che questo Occidente in declino e arroccato, stia costituendo un blocco di nemici, Cina, Russia, Iran, Corea del Nord, supportato come si è visto nella riunione di Kazan dei Brics, dal Sud globale, restio ad accettare l’ondivago potere unipolare statunitense. Non ci si stanca di ripetere che la Cina, la Russia, l’Iran ma anche l’Arabia Saudita, tutti gli emergenti, non perché siano buoni, ma per il loro sviluppo economico hanno bisogno di stabilità, di mediazioni e di apertura dei commerci. Come afferma Luciano Canfora viviamo ormai in Occidente in oligarchie liberali. Lo Stato di diritto e la divisione dei poteri sono ogni giorno più deboli. Gli interessi delle oligarchie basati sul dollaro sono minacciati dal multipolarismo, dall’ascesa del rivale strategico, la Cina, e dalla rivendicazione di autonomia degli emergenti.
La difesa del dollaro, la sua militarizzazione sarà spinta fino a che limite? Il sacrificio del popolo palestinese, sotto i nostri occhi, non fa ben sperare. Mentre la Harris ride, Trump balla, e il centrosinistra, intellighentia compresa, si svaga combattendo il potere ruspante e fascistoide della destra impresentabile al governo, mentre i pochi rappresentanti del dissenso fanno a gara a presenziare i talk show, raccogliendo le briciole a essi elargite e si rendono complici di ostracismi alternati, ben guardandosi dall’esprimere solidarietà ai malcapitati, radiati dal circuito mediatico, mentre la maggioranza progressista combatte con la Von der Leyen una immaginaria battaglia contro le dittature, un ben più inquietante potere si radica e resta invisibile.
Ed eccoci tra un consumo e l’altro, alla soglia del disastro nucleare, osservatori impotenti del ritorno del bellicismo, del suprematismo bianco, dello sterminio del popolo palestinese e ucraino.
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