Paolo
Volponi, scrittore, poeta e politico, nacque nel 1924, il 6 febbraio, a
Urbino. Si celebra dunque quest’anno il centenario della sua nascita.
…mi piace chiamarmi Volponi e penso all’eroismo della volpe che, presa in
trappola, si morde la zampa pur di scappare.
Io sono così, non riesco a rimanere chiuso in trappola
e mi strappo la gamba pur di scappare.
In effetti, parlando di Volponi, è difficile separare la figura dello scrittore da quella del poeta, ma sarebbe anche difficile comprenderne la scrittura senza avere come riferimento la sua progressiva maturazione politica che lo portò a essere prima deputato indipendente del PCI e in seguito senatore del PRC, sino a raccogliere 51 voti (in Parlamento…) come candidato alla presidenza della Repubblica nel maggio del 1992.
Volponi conosceva molto bene l’industria italiana per essere stato prima collaboratore culturale poi dirigente con Adriano Olivetti e in seguito segretario generale della Fondazione Agnelli, incarichi da cui, per ragioni diverse ma sempre legate alla politica, fu cacciato. In particolare, a far decidere alla Fondazione Agnelli di richiedergli le dimissioni fu la sua pubblica scelta di votare PCI alle elezioni amministrative del 1975.
Della profonda conoscenza dell’industria Volponi fece tesoro in almeno due suoi libri, diversi tra loro perché scritti in momenti storici differenti: Memoriale, del 1962 e Le mosche del capitale, 1989.
Memoriale è un testo legato allo sviluppo industriale dei primi anni Sessanta, al moto migratorio città-campagna, al sogno di omologazione nel benessere a cui Albino Saluggia, ex prigioniero di guerra, tormentato da mille malattie anche se non soprattutto psicologiche, crede di poter accedere, finendo invece in un percorso di follia e nella persecuzione del dott. Tortora, medico di fabbrica.
Le mosche del capitale è invece il “memoriale di un dirigente” in cui si combinano esperienze personali e coscienza dei rapporti di classe, narrazione autobiografica traslata dei progetti di Volponi tra il 1971 e il 1975, in cui i protagonisti sono però fantocci nevrotici e grotteschi. Ciò che unisce i due romanzi è la coscienza della “modernizzazione” che pur in condizioni storiche diverse si tramuta in darwinismo sociale.
L’opera di Volponi alterna romanzi compatti e decisamente narrativi a testi sperimentali, ma spesso le tematiche che vi emergono sono simili e connesse. Scrivendo proprio di una delle opere del secondo tipo, Il pianeta irritabile (1978) e ponendola a confronto con Le Mosche del capitale, Emanuele Zinato, oggi il massimo studioso del lavoro volponiano ha scritto “il ‘contenuto’ tanto del Pianeta irritabile che delle Mosche del capitale è la controffensiva del capitalismo trasfigurata in superbi apologhi epico-cavallereschi, fantascientifici o fantasociali: è la ‘mitologia’ della società italiana che si ripiega su se stessa e accetta il primato del mercato, dell’impresa che riconquista il dominio sulla forza lavoro, della politica che guarda fissamente al firmamento della borsa” 1
Anche se Volponi raggiunse la notorietà con Memoriale, quindi con un romanzo, lo scrittore marchigiano nacque come poeta. La prima raccolta di liriche, Il ramarro, è del 1946-48, a cui fa seguito L’antica moneta che gli valse il premio Carducci del 1954, ex aequo con Pier Paolo Pasolini. Quest’ultimo si lamentò di dover condividere il premio con il “modesto” Volponi e, per testimonianza di quest’ultimo, ne sortì anche una litigata che fu però premessa di una grande e lunga amicizia, testimoniata oggi dalla raccolta epistolare Scrivo a te come guardandomi allo specchio, uscita nel 2009 per Polistampa di Firenze a cura di Daniele Fioretti.
Fu proprio Volponi a denunciare l’omicidio dell’amico Pierpaolo come un “delitto politico, disegnato e organizzato dalla frazione più buia della nostra società dominante, assunto e consumato poi da apostoli fanatici e da sicari senza testa”2 e a denunciare l’ignavia dell’allora presidente Giovanni Leone che non espresse nemmeno un cenno di cordoglio alla madre dello scrittore, poeta e regista assassinato.
La produzione poetica di Volponi inizia dunque nel 1946 e continua per tutta la vita, intrecciandosi con l’attività di romanziere. Esiste una profonda corrispondenza di temi e di suggestioni tra i romanzi e le poesie di Volponi; in queste ultime hanno predominanza il mondo naturale e quello femminile, ma il tema lunare e cosmico sono presenti sia nell’ Antica moneta che in Corporale e nel Pianeta irritabile, (ma anche nella Macchina mondiale, 1965) così come non si può non rilevare un’influenza di carattere surrealista in diverse scritture volponiane.
Ancora, si notano i forti contatti tra le poesie che evocano l’ambiente dell’Appennino marchigiano con il romanzo La strada per Roma, scrittura tanto sofferta da rimanere sulla scrivania per quasi trent’anni in cui si narra l’infanzia e poi la formazione di un giovane che da Urbino imbocca la via dell’adultità rappresentata da Roma, nel salto tra povertà provinciale e illusione del miracolo economico. Un romanzo in cui sono evidenti evocazioni autobiografiche e forse proprio per questo tanto complicato da portare a termine.
Il già citato Emanuele Zinato ha peraltro suggerito che sia possibile, entro certi limiti, utilizzare le vicende biografiche di Volponi per interpretarne la scrittura.
Analogie e punti di contatto tra poesie e romanzi emergono chiaramente anche dalla lettura del volume che raccoglie finalmente tutte le poesie di Volponi, pubblicato da Einaudi a cura di Emanuele Zinato in occasione del centenario della nascita dello scrittore.
Proprio una delle liriche raccolte in tale libro (È per un’impudente vanteria) fu scritta in occasione dell’ultimo congresso del PCI ed è anche un messaggio politico interessante, in cui Volponi denuncia in modo originale le visioni marxiste meccaniciste per cui il comunismo arriverà di per sé, senza l’intervento della volontà umana e di massa, semplicemente per il crollo del capitalismo. Un meccanicismo ingenuo che, secondo i versi di Volponi, ha sempre condotto al riformismo e all’integrazione teorica e politica del socialismo nel capitalismo.
Volponi ebbe una breve esperienza nella Resistenza e nel dopoguerra fece a lungo parte di gruppi intellettuali progressisti, partecipò a diverse riviste letterarie d’impegno, fu amico di Pasolini e di Elsa Morante, con la quale coltivò una particolare vicinanza ideale.
Il suo impegno politico diretto iniziò negli anni Settanta, giungendo a concretarsi, come ho già scritto, nel 1983, nella sua elezione a senatore indipendente nel gruppo PCI. Si iscrisse al Partito solo nel 1991, proprio per partecipare alla battaglia per impedire il suo scioglimento nel PDS e quindi fu tra i fondatori del PRC per il quale fu deputato dal 1992 al 1994. I suoi numerosi interventi parlamentari, tra i quali particolarmente significativo fu quello contro la prima guerra all’Iraq, sono raccolti sia nel volume Parlamenti (a cura di E. Zinato, Ediesse, Roma, 2011), sia in Discorsi parlamentari (a cura di P. Giannotti e M.L. Ercolani, Manni, San Cesareo, 2013).
Negli anni successivi al crollo dei regimi dell’Europa occidentale e dell’URSS, in cui tanti partiti comunisti esitavano o svoltavano verso posizioni riformiste o capitolazioniste la posizione di Volponi fu chiara e senza equivoci: il crollo di esperienze nominalmente “comuniste”, ma che hanno intrapreso strade economicamente, politicamente e umanamente sbagliate, non mette in discussione i fondamenti del socialismo visto come prospettiva storica di liberazione. Il comunismo non è una “tavola delle leggi” ed è una grande teoria ma insieme una grande pratica di lavoro che va sviluppata e sostenuta sempre.
Queste convinzioni Volponi le espresse anche il 12 dicembre 1991, quando gli fu affidato l’intervento d’apertura del Congresso Fondativo del PRC Congresso Nazionale fondativo del Partito della Rifondazione Comunista (12.12.1991).
Qualche anno dopo, nel gelo politico più che climatico dell’inverno 1994, quando molti s’interrogavano sul senso di essere ancora comunisti e su cosa tale definizione potesse significare, Volponi pubblicò un lungo libro-dialogo con Francesco Leonetti, in cui il “Leone e la Volpe” si chiedevano le ragioni del loro fare politica. In quel libro Volponi affermò: “Essere comunista significa credere ancora nella giustizia, nella libertà, nella necessità di criticare ancora il capitalismo. Essere comunista vuol dire inoltre far sì che la scienza e la cultura non diventino domini di nessuno, ma appartengano agli uomini e ai loro gruppi, alle loro scuole, alla loro voglia di progettare e di fare ancora. Avere dunque fiducia nella vita, speranza nel mondo, credere che gli uomini abbiano il dovere di stare sulla terra con la testa alta, gli occhi aperti, cercando una strada sempre migliore, cercando l’intesa tra di loro.
Socialismo o barbarie era una scelta, anni fa, in Francia, che oggi possiamo fare nostra: infatti siamo già di fronte a tanti casi di barbarie ‘vera’, reale: il modo in cui viene trattato l’ambiente; il modo in cui vengono discriminati interi gruppi sociali, interi popoli, e il modo in cui vengono sprecate, deformate, rivoltate contro l’utilità generale molte delle risorse economiche.” 3
Volponi morì pochi mesi dopo, nell’agosto del 1994 e fece dono alla Galleria nazionale delle Marche della sua collezione privata di quadri del Seicento, messa insieme durante l’intera vita, dedicandola alla memoria del figlio Roberto, vittima di un incidente aereo a L’Avana nel 1989.
1 E. Zinato: “Introduzione” in Volponi P.: Romanzi e Prose, Einaudi, Torino, 2002, vol. I, p. XLII
2 Volponi P.: Scritti dal margine, Lupetti e Manni, Milano, 1995, p. 20.
3 Volponi P., Leonetti F.,: Il leone e la volpe. Dialogo nell’inverno 1994, Einaudi, Torino, 1995, p. 59-60.
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