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Da ragazzino di una decina d’anni mi capitò di vedere una serie di film di guerra giapponesi, realizzati dopo il 1945, che mi rimase impressa per la chiave narrativa paradossale e assurda: durante quasi tutto il film le truppe nipponiche passavano di vittoria in vittoria, poi negli ultimi 5 minuti subivano, per ragioni impenetrabili, una disfatta totale. Allora non mi rendevo conto che si trattava da una parte di esaltare l’eroismo del Sol Levante e dall’altra di compiacere il nuovo padrone americano. Gli avvenimenti di ieri mi hanno ricordato questo modulo di racconto leggendo che ora Zelensky, non essendo riuscito a far scoppiare la terza guerra mondiale ottenendo dagli Stati Uniti i missili Tomahawk che hanno una gittata di circa 2000 chilometri, dice alle sue truppe che si stanno ammutinando in numero sempre maggiore di ritirarsi e salvare la propria vita: “Quando ricevo l’informazione che in una direzione il numero di truppe va da 1 a 8, quando la scelta diventa: restare e morire, allora, ovviamente, ritiratevi, ragazzi, salvate i soldati”.
Com’è umano questo comico divenuto, grazie ai buoni uffici dell’oligarchia occidentale, prima presidente e poi dittatore. Peccato che questo consiglio arrivi dopo un’orrenda strage di centinaia di migliaia di persone, dopo gli arruolamenti attuati con la violenza, dopo le stragi di civili per addossare la colpa ai russi, dopo aver messo le truppe più fanatiche e quelle della Nato dietro i reparti in attacco perché sparassero in caso di ritirata, dopo aver mandato a morte 30 mila uomini nell’insensata avventura di Kursk. Non voglio dilungarmi, ma vi propongo questa tabella in cui sono riassunte (per difetto) le perdite ucraine in uomini e mezzi nelle varie fasi della guerra:
In un certo senso la vicenda dei Tomahawk riporta la guerra ucraina ai suoi inizi: la Russia prima di cominciare l’operazione speciale, aveva chiesto agli Usa un impegno a non piazzare missili a lungo raggio come il Tomahawk all’interno dell’Ucraina. Biden inizialmente disse di essere disponibile a discuterne, ma poi fece marcia indietro. Invece di negoziare con Mosca, Biden scelse di creare le condizioni per la guerra. Ma adesso sembra essere tutto cambiato: il vecchio Joe è fuori dai giochi ammesso che ci sia mai realmente stato, viste le sue condizioni, e anche la sua successora, nominata grazie a una sorta di golpe politico, naviga in cattive acque tanto da non essere più sostenuta nemmeno dal Washington Post che notoriamente funge da bollettino ufficiale del partito democratico. L’editore, Jeff Bezos, lo ha annunciato in un lungo articolo sullo stesso giornale. Si tratta di un vero e proprio cambiamento di paradigma: l’intero complesso neoliberista militare-mediatico-industriale ha rivelato il suo stato di crisi.
Zelensky ha fatto due più due e intuendo che con Trump la questione ucraina verrà trattata da un’angolazione diversa, comincia ad attuare una tattica estrema, del tutto contrapposta a quella utilizzata finora e che consisteva nell’illusione di una possibile vittoria di Kiev: minacciare tra le righe un collasso dell’apparato militare ucraino per spingere gli Usa ad intervenire per evitare il rischio di perdere l’intero territorio del Paese, cosa che sarebbe uno smacco epocale per gli Stati Uniti. Anche Trump che apparentemente vuole fermare il conflitto non potrebbe permetterselo. Ma forse si tratta di una tattica intervenuta troppo tardi: è possibile, sperabile, per non dire probabile, che fra il futuro presidente Usa e Putin esista già un accordo di massima per mettere fine al conflitto. Del resto come evidenzia tragicamente la tabella pubblicata in precedenza, l’Ucraina da sola non ha più le risorse non solo materiali, ma anche umane per continuare ancora a lungo il conflitto. Ora evocare la possibilità di un tracollo totale invece che una difesa a oltranza, è l’unica strada rimasta per ottenere un nuovo sostegno che non porterebbe altro se non un intervento diretto della Nato.
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