Il
disegno di legge 1660, approvato il 18 settembre alla Camera dei
Deputati e in discussione al Senato, pur collocandosi nel solco del
panpenalismo repressivo che connota da molti anni e trasversalmente la
risposta delle istituzioni alla protesta, al dissenso e al disagio (i
“pacchetti sicurezza” si sono succeduti nel corso degli ultimi vent’anni
in modo del tutto trasversale, adottati da varie maggioranze),
costituisce un deciso arretramento giuridico e culturale, in senso
antidemocratico, nel rapporto tra le istituzioni, e i loro apparati
repressivi in particolare, e i cittadini (intesi qui non come cittadini
italiani ma come individui soggetti all’autorità statale, siano essi
italiani o di altra cittadinanza).
contropiano.org Gianluca Vitale *
Il
DDL 1660, infatti, oltre a costituire un notevole “salto in avanti”
nella stretta repressiva e nella costruzione di quello che potremmo
definire un vero e proprio “diritto penale (e non solo, utilizzando in tal senso anche strumenti amministrativi) del nemico”, aspira a ridisegnare alcuni istituti mutandone profondamente la natura e ponendoli al di fuori del quadro costituzionale.
Una delle norme che svelano la natura profondamente iniqua e, in ultima analisi, classista
del disegno di legge è la disposizione in tema di occupazione abusiva:
oltre ad inasprire le pene (la pena massima è di sette anni) la riforma
vuole introdurre il reato di detenzione senza titolo e mancato rilascio
dell’immobile: viene innalzata a materia di repressione penale ciò che è
sempre stata una questione civilistica attinente al rapporto tra
proprietario e affittuario; grazie a questa norma potrebbe essere punito
con una pena sino a sette anni chi opponga resistenza allo sfratto (la
medesima pena può essere comminata a chi lo aiuti).