Il governo promette 4,3 mln di auto elettriche circolanti al 2030: adesso siamo sotto le 300mila e gli acquisti sono fermi.
(Marco Maroni – ilfattoquotidiano.it)
“Se va bene alla fine di quest’anno il totale delle vendite di auto elettriche potrebbe raggiungere le 80 mila unità, portando il parco circolante a un totale di meno di 300 mila vetture”, spiega Antonio Sileo, program director presso la Fondazione Eni Enrico Mattei e autore di uno studio sulla mobilità elettrica che sarà presentato a Bologna in ottobre nell’ambito della manifestazione sulla trasformazione energetica Fueling tomorrow. Per arrivare alla cifra fissata nel Piano se ne dovrebbero immatricolare (stima inevitabilmente approssimativa, che non tiene conto delle vetture che escono dalla circolazione) 660 mila ogni anno da qui al 2030. E questo in un mercato dell’auto che si sta dimostrando sempre meno entusiasta delle vetture a batteria: prezzi alti, autonomia ridotta, complessità e costi delle ricariche, ma anche una resistenza a cambiare abitudini in termini di mobilità, stanno infatti frenando la transizione all’elettrico
Il boom dopato di giugno.
Nei
primi sei mesi di quest’anno in Italia sono state vendute 34.700 mila
auto elettriche, il 6% in più dello stesso periodo 2023, risultato
ottenuto più che altro grazie agli incentivi. Dopo le tranche del 2022 e
del 2023, in gran parte inutilizzate, il governo ha infatti messo in
campo quest’anno bonus più generosi, dai 6 mila ai 13.750 euro a
vettura, a seconda della situazione economica Isee e della disponibilità
a rottamare una vecchia auto. Per i tassisti sconti da 12 a 22 mila
euro, senza vincoli Isee: quanto basta per comprare una Tesla al costo
di una Panda. Il 3 giugno, click day dell’incentivo, i 240 milioni disponibili sono finiti nel giro di 9 ore, con 25 mila auto full electric prenotate,
14 mila sono state immatricolate già nel mese. Ma l’exploit di giugno
non è bastato ad arrivare a neanche un terzo dell’obiettivo che fissa il
Piano nazionale.
Chimere.
Per raggiungere quelle cifre
bisognerebbe, infatti, immatricolare una media di 50 mila auto
elettriche ogni mese fino al dicembre 2030, quasi dieci volte quel che
accade nella realtà. Con l’attuale schema di incentivazione, secondo
un’analisi pubblicata dal sito economico lavoce.info,
andrebbero stanziati 400 milioni di euro al mese per i prossimi 80 mesi.
Tanto più, nota l’articolo, che solo il 40% delle auto elettriche
prenotate col bonus 2024 è stato legato alla rottamazione: per molti lo
sconto è stata l’occasione per comprare una seconda auto. Parte delle
vendite finanziate coi soldi pubblici non contribuiscono quindi alla
riduzione delle emissioni e aumentano il parco macchine in circolazione.
Diffidenze.
“Una transazione all’elettrico
richiede molto tempo”, dice ancora Sileo, “In Italia si vendono
soprattutto auto dei segmenti A e B, city car e utilitarie, la
più venduta dal 2012 è la Panda: costa poco e si può usare sia in città,
sia sulle le lunghe distanze, cosa che con un’elettrica, soprattutto se
non tratta dei modelli più potenti, è difficile. E comunque non si
possono spingere gli automobilisti a cambiare approccio velocemente”.
Concorda Roberto Vavassori, presidente Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica): “È una transizione lunga. In Italia abbiamo raggiunto un plafond coi cosiddetti early adopters, coloro che hanno creduto nella novità tecnologica e che, in buona parte, si potevano permettere una seconda auto. Ora servirebbe un cambiamento culturale. E, naturalmente, proseguire la transizione energetica: se per alimentare le batterie si usa energia da fonti fossili, l’elettrico dal punto di vista ambientale ha poco senso”.
Cultura?
Se ci sono resistenze “culturali”, è
anche evidente che l’elettrica, almeno oggi, non è per tutti,
soprattutto non per chi deve fare bene i conti di fine mese.
Oltre all’autonomia ridotta (fanno 500 chilometri con una ricarica solo i modelli di punta) e la necessaria pianificazione delle ricariche, a frenare gli acquirenti è il prezzo medio superiore a quello delle endotermiche, il veloce deprezzamento (per via della perdita di capacità della batteria) e costi di ricarica in alcuni casi superiori a quelli di un pieno.
Ricariche costose.L’associazione Altroconsumo ad aprile dell’anno scorso (prezzi dei carburanti e dell’energia simili agli attuali) ha pubblicato un dettagliato studio che confronta i costi per chilometro delle diverse opzioni: benzina, gasolio, elettricità. Ne viene fuori che, sia nel caso di un’utilitaria, sia nel caso di un’auto medio grande, l’alimentazione elettrica conviene solo se si ricarica a casa o alle colonnine a bassa potenza. In questi casi, però, i tempi medi di ricarica vanno dalle due (auto piccola alla colonnina) fino alle 30 e passa ore (auto grande nel box di casa). Se invece si vuole ricarica in un quarto d’ora, a un erogatore super fast, il costo è diverso, fino a 90 centesimi al kilowattora, e la musica cambia: per fare 20 mila chilometri l’anno con un auto medio grande alimentata a batteria si spendono 3.900 euro contro i 2.600 euro di un diesel.
Lo chiede l’Europa.
Considerato che i trasporti
generano circa un quarto delle emissioni di CO2 in Europa e che il 71%
viene dal trasporto su strada, si comprende l’enfasi sull’auto elettrica
nella politica di de carbonizzazione dell’Unione Europea. Anche a
Bruxelles, però, il regolamento che fissa al 2035 il termine per la
produzione di auto che emettono CO2 sembra ben poco coerente con le
dinamiche del settore. “Dopo lo scandalo dieselgate di Volkswagen (test
sulle emissioni taroccati, ndr) la lobby tedesca dell’auto ha
avuto le armi spuntate a Bruxelles, oltre a due esponenti dei verdi nel
governo federale, e non è riuscita a contrastare i piani della
Commissione a guida von der Leyen”, dice ancora Sileo. Una decisione
politica più che economica, che ha costretto i produttori a investire
molto nell’elettrico anche se il mercato non era pronto. Tanto che ora
in molti fanno marcia indietro (vedi l’articolo a fianco).
A convincere qualche automobilista in più potrebbero essere le economiche auto elettriche made in China, ma le politiche protezionistiche stanno facendo da argine. In questo contesto, la strategia del governo Meloni – ormai in rotta di collisione con Stellantis, che sull’elettrico in Italia non sta investendo – è quella di portare i cinesi a produrre direttamente in Italia. La condizione posta dal governo, che è in trattative con il colosso Dongfeng (felice di assemblare in Italia evitando i dazi europei), è che la componentistica sia almeno per il 45% italiana. Sempre che ci sia un mercato.
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