domenica 14 aprile 2024

Dietro la strage di Suviana: il nodo delle concessioni in scadenza e le esternalizzazioni obbligate nelle montagne dove “Enel è una mamma”.

Cinque anni che fa il sindaco e mai un segnale di allarme. Qualche problema sì, invece. “Come quando ci confrontammo con Enel Green Power per la valorizzazione turistica dei laghi artificiali e il confronto non fu facile” dice Marco Masinara, sindaco di Camugnano, nemmeno duemila abitanti. 

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Uno che spiega subito che la produzione dell’oro bianco sulla montagna bolognese “assicura sostentamento a tante famiglie”. Non solo famiglie del suo paese, dove si trova – nella diga di Suviana – la centrale idroelettrica della frazione di Bargi, teatro dell’esplosione che il 9 aprile ha ucciso sette tra tecnici e operai e ne ha feriti altri cinque. In poche decine di chilometri Enel Green Power, in questa parte dell’Appennino emiliano, gestisce infatti altre due centrali. Quella delle Scalere, sul lago artificiale del Brasimone, sempre a Camugnano. E quella di Santa Maria, nel comune di Castiglione dei Pepoli. Tre impianti in cui turnano 18 lavoratori che si spingono fino a Pavana, pochi chilometri dopo il confine con la Toscana, dove presidiano un’altra centrale di cui sempre Enel Green Power è concessionaria.

Ma i dipendenti del gruppo, sparpagliati tra queste montagne, sono molti di più, tra quelli addetti all’attività di produzione di energia e quelli che operano nel settore della distribuzione. Più di un quinto del totale degli addetti che il gruppo Enel impiega in tutta la provincia bolognese: 180 su 680. E poi c’è l’indotto generato dagli appalti. “Almeno altri 90 lavoratori: qui Enel è una mamma”, dice Vittorio Rubini, della Filctem-Cgil, uno che conosce il comparto energia come le proprie tasche e sa che il senso di appartenenza all’azienda, tra i dipendenti, è molto forte. Non solo perché Enel dà lavoro. Ma anche perché le retribuzioni sono adeguate e soddisfacenti. “Del resto nel gruppo non ci sono mai stati problemi relativi alla compromissione dei diritti dei lavoratori o a stipendi incongrui”, precisa Stefania Pisani, segretaria provinciale della Filctem. E tutto ciò contribuisce a spiegare l’impenetrabile silenzio dei lavoratori: non uno, nei giorni successivi alla tragedia, ha alzato la voce per manifestare dubbi o perplessità sulla catena dei subappalti, dal contractor Voith alle altre sette aziende che stavano svolgendo i lavori di manutenzione straordinaria. Nessuno ha espresso il timore che in quella catena si fossero annidate insidie per la sicurezza. Non solo perché sono prevalsi il dolore e la commozione che accompagnano ogni lutto. O per il timore di esporsi troppo. Anche – e anzi: soprattutto – perché il problema, dicono i sindacati, sembra essere di tutt’altra natura.

Anni di esternalizzazioni – “Non siamo di fronte a una filiera dei subappalti al massimo ribasso che contrae progressivamente i diritti dei lavoratori comprimendo anche le remunerazioni – spiega Pisani – Le aziende appaltanti hanno un livello specialistico elevatissimo e tecnici di alto profilo. Il problema vero è che il gruppo non ha più al proprio interno le professionalità necessarie a portare avanti il processo produttivo, a causa delle continue esternalizzazioni: è da anni che va avanti così”. Un depauperamento graduale e costante delle competenze interne, dovuto anche al mancato trasferimento delle conoscenze ai lavoratori più giovani da parte di quelli prossimi alla pensione e molto più esperti. “Questo ha un inevitabile impatto negativo sugli interventi di manutenzione ordinaria e quindi sulla sicurezza e sul presidio degli impianti”, prosegue Pisani. Ecco perché – viene fatto notare – nella centrale di Bargi c’erano due ex dipendenti Enel oggi in pensione, Vincenzo Garzillo e Mario Pisani (quest’ultimo con i due operai della piccola azienda che aveva fondato, la Engineering Automation, morti insieme al loro datore di lavoro). Entrambi erano tecnici esperti richiamati in servizio da Enel Green Power. Che il vero vulnus sia questo secondo la Cgil è confermato anche dall’altissimo tasso di partecipazione allo sciopero dei dipendenti del gruppo dell’8 marzo scorso (l’adesione ha raggiunto il 90%), nell’ambito di una vertenza durissima che riguarda proprio anche le esternalizzazioni e che si protrae ormai da due mesi. “Il fatto che ci fossero due pensionati è anomalo, significa che non c’è più la volontà di sviluppare le competenze interne: al contrario c’è la pratica consolidata di delegare responsabilità all’esterno”, dice Rubini.

 Il nodo concessioni – Eppure la questione è ancora più complessa: è intrecciata alla partita delle concessioni per la gestione delle centrali idroelettriche, concessioni che scadranno nel 2029. È dal 2018 che Enel Green Power non rimpiazza i tecnici con le più alte competenze di progettazione e coordinamento che progressivamente vanno in pensione. E guarda caso il 2018 è anche l’anno dell’approvazione del decreto 153, la normativa che ha modificato la disciplina sulle concessioni, assegnandone la titolarità alle Regioni, che tra pochi anni dovranno metterle a gara. Con la conseguenza che l’incertezza nella quale si stanno muovendo gli attuali concessionari sta bloccando 15 miliardi di investimenti complessivi a livello nazionale. Così non solo viene bruscamente rallentata la tabella di marcia della transizione energetica: le ricadute sono pesanti anche sul livello di sicurezza degli impianti, con effetti prevalentemente sulla produzione di energia, quindi direttamente sulle centrali idroelettriche. Tutte le aziende concessionarie hanno tirato il freno a mano. Compresa Enel Green Power, che in un anno ha quasi dimezzato gli investimenti, portandoli dai 5 miliardi del 2023 ai 2,9 previsti con il nuovo piano industriale triennale 2024-2026. Risorse che dovrebbero essere impiegate per aumentare la capacità installata di 2,4 GW, suddivisa al 50% tra impianti rinnovabili e accumuli (batterie). Una quantità assolutamente insufficiente per raggiungere gli obiettivi fissati dal piano di transizione energetica. Ma anche per il riammodernamento degli impianti elettrici esistenti. Un rinnovamento che consentirebbe tra l’altro all’azienda di farsi prorogare le concessioni dalle Regioni di riferimento e di sostenere un piano di assunzioni per tramandare al proprio interno le competenze altamente specialistiche accumulate dai più anziani. Invece è tutto drammaticamente fermo.

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