martedì 22 ottobre 2013

Così svendiamo le nostre spiagge .

Così svendiamo le nostre spiagge Litorali assegnati senza asta, concessioni rilasciate per pochi euro con enormi guadagni per i gestori e scarse entrate per lo Stato. E adesso che l'Europa ha fatto la voce grossa, il Demanio progetta una gara su misura per i soliti noti. In modo che nulla cambi.

L'Espresso di Gianfrancesco Turano












Gli ombrelloni sono in magazzino. Ora possono uscire i lobbisti. Sono tanti, al governo, in parlamento, negli enti locali, a darsi da fare per conto dei 32 mila concessionari di stabilimenti balneari. Il loro autunno si annuncia molto più caldo dell’estate: è in gioco il futuro di uno dei mestieri più protetti della Repubblica. La minaccia liberista ha due nomi olandesi: Frits Bolkestein e Neelie Kores. La seconda, come commissario Ue alla concorrenza, nel gennaio 2009 ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia. Motivo? Le concessioni ai lidi sono contrarie ai principi della concorrenza e della libertà di stabilimento, disciplinata dalla celebre direttiva Bolkestein, perché non vengono assegnate attraverso gara e, di fatto, vengono rinnovate in automatico di sei anni in sei anni.

Oltretutto rendono pochissimo. Nel 2012 l’agenzia del Demanio ha incassato 102,6 milioni di euro dagli oltre 30 mila imprenditori delle spiagge. In media, poco più di 3 mila euro a testa per stabilimenti che possono superare i 10 mila metri quadri e i 10 mila euro a testa di abbonamento stagionale. Questi avamposti del turismo d’élite offrono servizi di spa, attività sportive, discoteche, ristorazione, kinderheim, imbarcazioni da diporto, animazione. I loro canoni crescono di pochi euro all’anno con gli adeguamenti Istat. In quanto ai ricavi del settore, la cifra ufficiale si aggira sui 2 miliardi di euro per un milione di addetti (2 mila euro di ricavi all’anno per ogni lavoratore). Ma gli spazi per l’evasione sono ampi, come dimostrano i blitz ferragostani della Guardia di Finanza, e c’è chi calcola un valore effettivo degli incassi circa quintuplo (10 miliardi di euro).

L’introduzione delle gare sui lidi, soprattutto nelle zone di maggior pregio, equivale a una colossale rivalutazione fondiaria che potrebbe contenere il prelievo fiscale. È vero che c’è chi tira la cinghia. Che c’è la recessione e il turismo arranca. Ma se un moderato come il premier Enrico Letta ha messo la valorizzazione delle concessioni balneari fra gli obiettivi del suo programma “Destinazione Italia”, forse esiste un margine di recupero rispetto a lidi che fatturano milioni di euro all’anno. Il versiliese Twiga, fondato dal quartetto Flavio Briatore-Daniela Santanchè-Marcello Lippi-Paolo Brosio, potrebbe sborsare qualcosa in più dei 14 mila euro annuali che paga adesso per occupare 4.484 metri quadri di suolo demaniale. E il Twiga paga tanto in confronto allo stabilimento Saporetti di Sabaudia, meta estiva di Francesco Totti e signora (meno di 10 mila euro per 6.500 metri quadri), o rispetto all’Incanto, il lido monopolista della spiaggia grande di Positano, che occupa oltre 5 mila metri quadri al prezzo di un monolocale (9.200 euro).

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Ma il motto dei lobbisti balneari è: l’asta non s’ha da fare. Sul fronte della proroga delle concessioni attuali fino al 2020 c’è un folto schieramento bipartisan. Per il Pdl, il sottosegretario allo Sviluppo Simona Vicari e l’ex ministro berlusconiano agli Affari regionali, Raffaele Fitto. Per il Pd, il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico, con la collega viareggina Manuela Granaiola, da sempre al fianco dei balneari versiliesi, il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta e lo stesso responsabile democrat del Turismo, Armando Cirillo. Prima hanno tentato di sdemanializzare la fascia occupata dagli stabilimenti e venderla ai proprietari. Dopo che l’ipotesi è tramontata per palese impercorribilità giuridica, la lobby lettino&ombrellone ha subito trovato un’alternativa.

L’uovo di Colombo sta in un documento riservato spedito dall’Agenzia del Demanio al ministero di riferimento, l’Economia, guidato da Fabrizio Saccomanni, il 9 ottobre scorso ossia il giorno prima che Saccomanni deliberasse la cessione alla Cassa depositi e prestiti degli immobili pubblici affittati a uffici e ministeri. Il documento cambia in profondità le linee guida in materia di concessioni demaniali marittime. Oggi funziona così. Lo Stato affida la gestione delle concessioni balneari alle Regioni che la trasferiscono ai Comuni per la definizione del canone. Ma i Comuni non beccano un euro perché tutti i soldi vanno a Roma. Quindi, nella migliore delle ipotesi i sindaci non hanno interesse a tirare sul prezzo. Nella peggiore, vanno d’amore e d’accordo con i balneari che portano voti, benessere e spesso siedono nelle giunte comunali.

La prima rivoluzione del 9 ottobre è che i proventi di ombrelloni e lettini vanno alle Regioni e non più allo Stato. Ma questa cifra sarà compensata da una pari decurtazione dei trasferimenti dallo Stato. Le Regioni perciò non guadagnano nulla ad alzare il prezzo delle concessioni e a litigare con i balneari, che si sono dotati di una schiera di sindacati battaglieri (Federbalneari Confindustria, Assobalneari Confimprese, Cna-Balneatori, Fiba Confesercenti, Sib-Fipe Confcommercio). In quanto alla procedura di gara, l’articolo 4 del progetto avanzato dall’Agenzia di Stefano Scalera, uomo di Vittorio Grilli nominato nell’ottobre 2011, è una chiara occasione da gol per chi ha già una licenza. Intanto, non si fa menzione di aumentare il canone. L’offerta più vantaggiosa è valutata “sulla base di un piano economico-finanziario di copertura degli investimenti”, come per le concessionarie autostradali. Insomma, chi più investe in nuove strutture fisse o amovibili ha più possibilità di aggiudicarsi la concessione. Non è una buona notizia per chi pensa che le spiagge italiane siano già fin troppo costruite.

Per avvantaggiare i concessionari esistenti il comma j dell’articolo 4 è quello decisivo. Il 40 per cento del punteggio complessivo si basa sulla “professionalità acquisita dall’offerente nell’esercizio di concessioni di beni demaniali marittimi per finalità turistico-ricreative e la professionalità acquisita relativamente all’area alla quale si riferisce la procedura”. Insomma, chi ha già in gestione l’area messa a gara parte con un bel vantaggio. E se proprio dovesse riuscire a perdere, ha diritto a un indennizzo dal concessionario subentrante.

A questo punto, dovrà dire la sua Enzo Moavero Milanesi, ministro degli Affari europei. Moavero ha contrastato finora i tentativi di eludere la direttiva Bolkestein. Sull’argomento lidi la Commissione ha il dente avvelenato. Un anno dopo l’apertura della procedura di infrazione (gennaio 2010) il governo Berlusconi ha dovuto emettere un decreto che eliminava la preferenza in favore del concessionario uscente e prorogava le concessioni fino a fine 2015. Impegno mancato. Nel dicembre 2012 l’esecutivo Monti ha spostato la proroga al 2020 impegnandosi ad approvare una legge nuova entro l’aprile 2013. Anche quel termine è passato. In questo momento, c’è una procedura di infrazione con recidiva che potrebbe costare una multa molto salata. E la proposta del Demanio non sembra il miglior modo per rabbonire l’Ue.

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