I governi europei hanno risposto alla crisi in due modi:
camuffandone le cause (attribuite all'eccessivo debito degli Stati
anziché ad un sistema bancario fuori controllo) e imboccando la strada
dell’autoritarismo emergenziale. Ma qual era il loro obiettivo? Lo
spiega l'ultimo libro di Luciano Gallino “Il colpo di stato di banche e
governi” (Einaudi), un appassionano grido d'allarme contro l'"attacco
alla democrazia" in corso in Europa. Per gentile concessione
dell'editore ne anticipiamo un estratto.
di Luciano Gallino
Dal 2010 in poi, e intervenuto nei Paesi dell’Unione europea un paradosso: i milioni di vittime della crisi si sono visti richiedere perentoriamente dai loro governi di pagare i danni che essa ha provocato, dai quali proprio loro sono stati colpiti su larga scala. Il paradosso è una catena che comprende diversi anelli. (...)
Se ci si chiede come una simile paradossale concatenazione di decisioni e di eventi sia stata possibile, vien fatto di pensare sulle prime a una colossale serie di errori commessa dai governi Ue. In effetti bisogna essere piuttosto ottusi in tema di politiche economiche per credere di poter rimediare alla crisi ponendo in essere, nel pieno corso di questa, robusti interventi dagli effetti recessivi affatto certi. Ciò nonostante, sebbene l’ottusità economica di parecchi governanti Ue sia fuor di dubbio, sarebbe far torto ai loro stuoli di consiglieri e funzionari supporre che non siano riusciti a far comprendere a ministri e presidenti del Consiglio e capi di Stato che l’austerità, nella situazione data, era una ricetta suicida dal punto di vista economico, se non anche da quello politico.
In realtà i governanti europei sapevano e sanno benissimo che le loro politiche di austerità stanno generando recessioni di lunga durata. Ma il compito che e stato affidato loro dalla classe dominante, di cui sono una frazione rappresentativa, non e certo quello di risanare l’economia. E piuttosto quello di proseguire con ogni mezzo la redistribuzione del reddito, della ricchezza e del potere politico dal basso verso l’alto in corso da oltre trent’anni. Essa e stata messa in pericolo dal fallimento delle politiche economiche fondate sull’espansione senza limiti del debito e della creazione di denaro privato a opera delle banche, diventato palese con l’esplosione della crisi finanziaria nel 2007.
I cittadini della Ue, al pari di quelli Usa, hanno già sopportato pesanti oneri prima per il processo di espropriazione cui sono stati sottoposti, in seguito per le conseguenze dirette della crisi. I loro governi debbono aver pensato che difficilmente avrebbero sopportato senza opposizione alcuna altri costi sociali e personali, sotto forma di smantellamento dei sistemi di protezione sociale e di peggioramento delle condizioni di lavoro di cui hanno goduto per almeno due generazioni. Però questo è l’ultimo territorio da conquistare per poter proseguire nel drenaggio delle risorse dal basso in alto. Esso è formato dalle migliaia di miliardi spesi ogni anno per i suddetti sistemi – gran parte dei quali, a cominciare dalle pensioni, rappresenta salario differito, non elargizioni da parte dello Stato.
I governi Ue hanno quindi posto in opera, al fine di ottenere che la classe da essi rappresentata possa proseguire senza troppi ostacoli la distribuzione dal basso in alto, due strategie che si sono rivelate negli anni post-2010 assai efficaci.
La prima è consistita, come ricordato sopra, nel camuffare la crisi come se questa volta non avesse origini nel sistema bancario, bensì fosse dovuta al debito eccessivo degli Stati, provocato a loro dire dall’eccessiva spesa sociale. In secondo luogo, nella previsione che tale schema interpretativo non fosse sufficiente per tenere mogi i cittadini, hanno imboccato la strada dell’autoritarismo emergenziale. Cosi come in caso di guerra non si tengono elezioni per stabilire chi e come debba razionare i viveri, di fronte all’emergenza denominata "debito eccessivo dei bilanci pubblici" le misure da intraprendere per sopravvivere sono concepite da ristretti organi centrali: a partire dal Consiglio europeo, formato dai capi di Stato o di governo degli Stati membri. Ai suoi lavori collaborano la Commissione europea (il cui presidente fa parte del Consiglio) e la Bce. Inoltre godono dell’apporto esterno del Fondo monetario internazionale (Fmi). Le misure da prendere sono poi messe a punto dalla Troika costituita da Commissione, Bce e Fmi e inviate ai rispettivi Parlamenti per l’approvazione.
Cosi è avvenuto per molti documenti: il memorandum inviato alla Grecia; il pacchetto di misure – mirate espressamente a smantellare lo stato sociale – chiamato Euro Plus; il cosiddetto "patto fiscale" ovvero Trattato sulla stabilita ecc.; la creazione del Meccanismo europeo di stabilità. Essendo l’approvazione "chiesta dall’Europa", i Parlamenti obbediscono, come è costretto a fare un organo politico in situazione di emergenza. Sono i governi a comandare.
Mediante codesto processo che è guidato a livello Ue da poche dozzine di persone, la democrazia nell’Unione appare in corso di rapido svuotamento. Persino il Trattato della Ue, nel quale il concreto esercizio della democrazia riceve assai meno attenzione del libero mercato e della concorrenza, appare aggirato sotto il profilo legale e costituzionale dai dispositivi autoritari messi in atto di recente dai governi e dalla Troika.
Alle centinaia di milioni di cittadini della Ue, ciò che quel ristretto gruppo decide e presentato come alternativlos, cioè privo di qualsiasi alternativa: pena, minacciano i governi, il crollo dell’euro, dei bilanci sovrani, dell’intera economia europea.
Posti dinanzi a simili minacce, che i media ripropongono ogni giorno a tamburo battente, i cittadini degli Stati cardine della Ue hanno finora subito si può dire a capo chino gli interventi dell’autoritarismo emergenziale dei loro governi e della Troika di Bruxelles, sebbene esso stia assumendo sempre più il profilo di un colpo di Stato a rate.
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