(Andrea Lanzetta – tpi.it)
Ambasciatrice, il suo nuovo libro si intitola “L’Occidente e il nemico permanente”. Sin dal titolo Lei denuncia un bisogno “patologico” di trovare un antagonista che minaccerebbe la nostra sicurezza e le nostre libertà. Che cosa intende?
«Nel saggio sono analizzati i fattori geopolitici, economici e culturali che costringono oggi gli Stati Uniti e i loro vassalli a una politica dello struzzo, profondamente reazionaria in quanto incapace di fare i conti con la nuova realtà che si sta delineando: quella del mondo multipolare».
Un mondo che ci appare sempre più
rischioso: Lei parla di “affinità che spaventano” tra le guerre in
Ucraina e a Gaza. A cosa si riferisce?
«Per la prima volta le guerre
americane implicano un vero e concreto rischio nucleare. Durante la
Guerra fredda la deterrenza funzionava e la leadership statunitense
rispettava la leadership sovietica, evitava i conflitti diretti. Sarebbe
stata impensabile una guerra in Europa tra truppe Nato e quelle
dell’Urss».
Cos’è cambiato rispetto alla Guerra fredda?
«Le
fughe in avanti di Macron ci hanno rivelato che di fatto questa ipotesi
non è esclusa del tutto. È caldeggiata dalla Polonia e dai Paesi
Baltici. Molti editorialisti amano indugiare sulla possibilità che Putin
bleffi e che messo alle strette possa non sganciare la bomba nucleare
tattica sull’Ucraina. Vorremmo forse andare a scoprire il bluff?».
Come si inserisce Gaza in questo contesto?
«In
Medio Oriente, se veramente l’allargamento del conflitto porterà a un
attacco all’Iran, bisogna comprendere che nel nuovo mondo esistente nel
quale la Nato ha ormai contribuito alla creazione di due blocchi armati,
Teheran è fortemente legata a due potenze nucleari: Russia e Cina».
Finora però solo la Francia sembra disponibile a inviare truppe in Ucraina.
«Vede,
sono felice che il ministro (degli Esteri, ndr) Tajani, diversamente da
Macron, parli una lingua più prudente e consapevole. Esclude che
l’Italia possa inviare truppe in Ucraina. In molti siamo sollevati. C’è
ancora la possibilità di porre fine all’escalation. Eppure va osservato
che la posizione del presidente francese è più coerente dal punto di
vista politico e anche morale di quella del nostro governo di destra
guerrafondaio».
Perché?
«Non si può affermare che la
Russia si deve ritirare, che l’Ucraina deve vincere e che noi sosterremo
Kiev fino alla vittoria e poi non capire che per essere conseguenti con
queste affermazioni bisognerebbe inviare le truppe “boots on the
ground”. Inoltre se veramente, come affermano tanti politici ed
editorialisti, la Russia va fermata perché altrimenti, dopo Kiev,
marcerà verso Lisbona allora è immorale che i poveri ucraini combattano
da soli per la nostra libertà».
Nel suo libro, Lei se la prende spesso contro la narrativa dominante “di stampo etico” sui due conflitti. Cosa comporta?
«Una
caratteristica dell’amministrazione democratica Usa rispetto ai più
rozzi e realisti repubblicani è il rivestimento degli interessi
geopolitici di ideali etico-religiosi. Questa postura è molto più
pericolosa in quanto appella a guerre sante, che per antonomasia non
possono cedere a compromessi e mediazioni. Se in Ucraina combattiamo per
difendere il mondo libero contro un nuovo Hitler, allora la mediazione
va messa da parte».
«Come le persone oneste e consapevoli sanno, in Ucraina gli americani hanno cominciato una guerra di erosione del potere russo per provocare una caduta di Putin. Hanno trasformato Kiev in una anti-Russia mandando al macello tanti giovani per fare avanzare i loro interessi energetici e geopolitici, affossando economicamente l’Europa e rompendo la speciale relazione russo-tedesca».
Queste sono quelle che nel suo libro chiama le “cause storiche” del conflitto, per altri invece è propaganda di guerra.
«La
propaganda è sempre esistita. Nella Seconda guerra mondiale negavamo le
sconfitte contro i tedeschi, era una bella propaganda. Meno bella
quella sulla guerra in Vietnam, che ha convinto le mamme statunitensi a
immolare i loro figli contro il pericolo comunista. Eppure persino
durante la Guerra fredda c’era un pluralismo di posizioni che oggi non
ci possiamo permettere».
Oggi abbiamo molti più mezzi, soprattutto digitali, che dovrebbero assicurare maggior pluralismo.
«Recentemente
ho ascoltato un giornalista pronunciare una frase orribile, una
perifrasi di Goebbels, che riferiva la frase alla cultura: “Quando sento
parlare di mainstream metto mano alla pistola”. Secondo questo
giornalista, la distinzione tra i media mainstream e le tante
televisioni in rete che si arrabattano con pochi finanziamenti e nascono
in protesta contro la narrativa ufficiale strombazzata da giornali e
tv, non dovrebbe esistere».
Però esistono fonti di informazione alternative.
«Non
si spiega però come mai (John, ndr) Mearsheimer, analista di relazioni
internazionali di fama mondiale, professore all’università di Chicago,
autore di innumerevoli libri, non venga mai invitato alla Nbc o alla
Cbs. Lo si trova su YouTube. Come lui tanti altri. Non è grave che un
giornalista neghi un elemento caratterizzante del mondo della
comunicazione odierno?».
Lei come se lo spiega?
«La verità è che
rispetto al passato, la concentrazione dei media, la loro dipendenza
dall’economia finanziaria e il potere degli algoritmi, hanno ucciso il
bel giornalismo che avevamo, il giornalismo di inchiesta, tranne le
poche eccezioni che non fanno la differenza».
Per la vicepresidente della Commissione
europea Vĕra Jourová, “siamo nel bel mezzo di una guerra
dell’informazione”. Cosa ne pensa?
«Sono allarmata. Testimoni di cui
mi fido mi assicurano che i media occidentali in Russia sono liberi. Con
una decisione inquietante e contraria ai principi della democrazia
liberale e della libertà di stampa, (l’Alto rappresentante dell’Unione
europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ndr) Borrell
ha cancellato le tv russe. L’Europa crea un ufficio contro la
disinformazione. Il Congresso statunitense vuole mettere al bando TikTok
con la scusa che rivelerebbe dati dei cittadini occidentali al governo
cinese. I nostri dati sono invece al sicuro con i GAFA (Google, Apple,
Facebook e Amazon, ndr)».
Non è una minaccia concreta?
«Di fatto
non è la minaccia dei dati a spaventarci ma la popolarità di un social
che, con una tecnica da intrattenimento, dà spazio ai dissidenti europei
e statunitensi e alle loro affermazioni contrarie alla propaganda
Nato».
È la strada sbagliata?
«Stiamo
abbandonando i principi basilari della nostra civiltà liberale e
andando verso un paternalismo autoritario in base al quale i cittadini
devono essere protetti. Non possono ascoltare versioni diverse e farsi
una loro opinione. Lo Stato, i Parlamenti, che purtroppo esprimono il
volere non dei cittadini ma di classi asservite alle oligarchie, devono
intervenire insieme all’intelligence per difendere con la censura le
libertà democratiche. Ci sarebbe da ridere se il momento non fosse
tragico».
Come scrive nel suo libro, è la “fine alla globalizzazione”?
«La
globalizzazione ha redistribuito il potere a vantaggio dei Paesi
emergenti e del Sud globale. Gli Usa temono che possa avvantaggiare il
loro rivale strategico: la Cina. Stanno quindi rinnegando il libero
commercio, i liberi investimenti, il libero accesso alle materie prime
per le tecnologie di punta. È la politica a decidere se possiamo avere
accesso al gas russo, o se Pechino può usufruire dei semiconduttori di
Taiwan. Naturalmente l’operazione non è semplice, date le
interdipendenze esistenti».
Che cosa dobbiamo aspettarci da questo nuovo mondo economico?
«La
de-dollarizzazione sarà lenta ma inesorabile. La confisca dei fondi
russi da parte dell’Occidente è stato un passo falso. La Cina e tanti
Paesi emergenti ormai in ascesa hanno capito di non poter investire nel
dollaro: la sicurezza non è garantita. Internet invece ha aiutato
Pechino ad avere le rendite della Silicon Valley senza passare per il
dollaro».
Che effetti avrà sulle guerre in corso?
«Il
sistema finanziario come sappiamo è basato sul debito impazzito e sulla
biforcazione tra ricchezza produttiva e ricchezza finanziaria. Le
guerre a bassa intensità – se riusciamo a mantenerle tali senza
escalation verso il nucleare – sono funzionali a questo sistema che ha
dimenticato la persona umana».
Su cosa si basa questo sistema?
«L’algoritmo
è al centro di tutto, non gli esseri umani con i loro bisogni. Agli
investimenti nei beni comuni, come sanità, istruzione, ricerca e
infrastrutture, BlackRock sostituisce potenti iniezioni di liquidità nel
sistema azionario della società dell’1 per cento».
Vede all’orizzonte un ordine internazionale alternativo a quello attuale?
«Nulla
è automatico ma la hybris occidentale non ha limiti come la cupidigia e
il nichilismo. Nonostante l’impero man mano declini, resta il nostro
sentimento di superiorità, l’ego ipertrofico che ci porta alla
universalizzazione dei nostri valori e alla distruzione».
Quanto ci costa la transizione?
«Come
afferma Gramsci, in questo intermezzo tra un mondo che muore e l’altro
che non è ancora nato, i mostri si aggirano. I bimbi uccisi, agonizzanti
sotto le macerie, amputati senza antidolorifici, i bimbi affamati di
Gaza li hanno già incontrati».
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