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La Corte internazionale di giustizia (CIG) giovedì 28 marzo, oltre a confermare le misure per “prevenire il genocidio” ordinate a Israele lo scorso 26 gennaio nell’ambito della causa intentata dal Sudafrica contro Israele, ne ha aggiunte di nuove sempre dietro richiesta di Pretoria: considerate le condizioni di fame e carestia in cui versa la popolazione palestinese a Gaza, i giudici hanno innanzitutto stabilito che lo Stato di Israele, conformemente ai suoi obblighi derivanti dalla Convenzione sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio e considerate le condizioni di vita sempre peggiori che devono affrontare i palestinesi, deve agire tempestivamente per garantire la fornitura senza ostacoli di beni essenziali e assistenza umanitaria tra cui cibo, acqua ed elettricità, nonché forniture mediche e assistenza medica agli abitanti della Striscia di Gaza. Inoltre, hanno chiesto a Israele di “garantire con effetto immediato che i suoi militari non commettano atti che costituiscono una violazione di qualsiasi diritto dei palestinesi di Gaza in quanto gruppo protetto ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio”. La corte dell’Aja ha anche stabilito che Israele dovrà presentare un rapporto alla CIG su tutte le misure prese per dare effetto alle misure della Corte, entro un mese dall’emissione dell’Ordine.
La Corte ha osservato che dal 26 gennaio scorso “le catastrofiche condizioni di vita dei palestinesi sono ulteriormente peggiorate” soprattutto a causa della mancanza di cibo e altri beni primari e che “i palestinesi di Gaza non stanno solo correndo un rischio di carestia, come osservato nell’ordinanza del 26 gennaio 2024, ma che la carestia sta arrivando”. Per contrastare questa circostanza, i giudici hanno disposto che Israele dovrebbe “aumentare la capacità e il numero dei valichi di frontiera terrestri e mantenerli aperti per tutto il tempo necessario” per fare entrare gli aiuti umanitari. Si tratta di raccomandazioni che Israele ha finora completamente disatteso: secondo alcune testimonianze di operatori delle ONG presenti sul posto, infatti, migliaia di convogli umanitari sono bloccati in Egitto al valico di Rafah perché gli viene impedito di entrare a Gaza. L’Integrated Food-Security Phase Classification (IPC), sulle cui valutazioni fanno affidamento le agenzie delle Nazioni Unite, ha affermato che il 70% delle persone nel nord di Gaza soffre il livello più grave di carenza alimentare. Questa condizione ha portato anche gli alleati occidentale di Israele ad accusare Tel Aviv di affamare i residenti di Gaza: il capo della politica estera dell’UE Josep Borrell, ad esempio, in una conferenza a Bruxelles sugli aiuti per l’enclave palestinese, aveva affermato che «A Gaza non siamo più sull’orlo della carestia. Siamo in uno stato di carestia. La fame è usata come arma di guerra. Israele sta provocando la carestia».
Si tratta di una situazione che attesta come lo Stato ebraico non abbia fatto nulla per mettere in atto le misure della CIG raccomandate a gennaio: la corte, infatti, aveva dichiarato che esistono “prove sufficienti” per valutare l’accusa di genocidio nei confronti di Tel Aviv, ordinando che Israele adottasse tutte le misure in suo potere per “prevenire il genocidio” contro il popolo palestinese. La mancanza di attuazione da parte dello Stato ebraico delle ordinanze dei giudici ha spinto il Sudafrica agli inizi di marzo a chiedere alla Corte di ordinare ulteriori misure di emergenza contro Israele che, secondo Pretoria, starebbe violando quelle già in vigore. Nonostante le ordinanze e le sentenze della CIG siano giuridicamente vincolanti, esse sono spesso disattese in quanto non esiste un organo di natura esecutiva che sia in grado di farle applicare concretamente agli Stati. Tuttavia, le ordinanze e le sentenze della CIG sono importanti da un punto di vista mediatico e reputazionale, in quanto costringono gli Stati e l’opinione pubblica a considerare le decisioni della Corte e, in questo caso, a prendere le distanze dalle azioni di Israele, cosa che sta in parte già avvenendo come, ad esempio, nel caso del Canada che ha deciso di sospendere le forniture di armi a Tel Aviv.
Questo, del resto, non sarebbe l’unico caso in cui Israele ignora le decisioni di un organismo internazionale: la stessa cosa sta avvenendo per quanto riguarda la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU approvata lunedì 25 marzo – su cui per la prima volta gli Stati Uniti non hanno posto il veto – che chiede un immediato cessate il fuoco a Gaza. Nonostante la risoluzione sia stata approvata con 14 voti a favore e un astenuto (gli USA), Netanyahu ha dichiarato di avere intenzione di ignorare la risoluzione: proseguono, infatti, i bombardamenti sull’enclave costiera palestinese, mentre l’esercito israeliano ha fatto sapere di stare preparando l’operazione di terra a Rafah.
Dato che le decisioni degli organismi internazionali non risultano efficaci, l’unico modo per fermare la strage a Gaza è quello di non fornire più armi a Israele. Cosa che gli Stati Uniti – nonostante il loro cambio di atteggiamento nei confronti delle azioni di Tel Aviv – continuano a fare. Tra un mese Israele dovrà presentare un rapporto in cui attesta e spiega come ha messo in atto le misure richieste dai giudici del tribunale dell’Aja per prevenire il genocidio. Richiesta che, considerati i precedenti, con ogni probabilità non servirà a fermare le azioni dello Stato ebraico e a fare arrivare aiuti umanitari ai civili di Gaza, mentre la sentenza definitiva da parte della CIG potrebbe richiedere anni.
[di Giorgia Audiello]
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