domenica 13 ottobre 2013

Libro. “Storia delle terre e dei luoghi leggendari” Umberto Eco (Bompiani).

A casa di Harry potter. Sappiamo bene che certi luoghi sono un’invenzione romanzesca. Ma la prendiamo per verità. Ecco come e perché. 

L'Espresso di Umberto Eco







A casa di Harry potter Infiniti sono i luoghi, in realtà mai esistiti, in cui si svolgono tante vicende romanzesche. Molti di questi luoghi fanno ormai parte del nostro immaginario, per cui fantastichiamo sul Paese dei Balocchi di Pinocchio, sull’isola dove Sinbad incontra l’Uccello Roc, sull’Isola Sonante di Rabelais, per non dire della capanna dei sette nani, del castello della Bella Addormentata, sulla casa della nonna di Cappuccetto Rosso, o sul Monte della Calamita che appare in molti racconti orientali e occidentali. Alcuni sono diventati materia romanzesca anche se sono davvero esistiti, come l’Isola di Robinson, dove era naufragato un personaggio reale, Alexander Selkirk, a cui Defoe si era ispirato, e che è nell’arcipelago delle isole Juan Fernandez nell’oceano Pacifico di fronte al Cile. Così, un personaggio reale, poi romanzato da Bram Stoker, era stato nel XV secolo il voivoda Vlad Tepes (noto per il patronimico Dracula), certamente non un vampiro ma comunque famoso per il suo vizio di impalare gli avversari. E ancora oggi i devoti di Arsène Lupin, il ladro gentiluomo creato da Maurice Leblanc, vanno a visitare la guglia di Etretat in Normandia, immaginando che sia cava e che al suo interno, ricco di tutti i tesori dei Re di Francia, il ladro gentiluomo, folle di energia, pianificasse il dominio del mondo. E infine esistono le fogne di Parigi (che si possono persino visitare oggi, anche se in minima parte) e le fogne di Vienna, eppure le prime sono diventate mitiche per il tormentato percorso di Jean Valjan ne “I miserabili”, e per le trame di “Fantômas”, così come le seconde sono divenute proverbiali per l’ultima fuga di Harry Lime ne “Il terzo uomo”.

Quando non sono esistiti, alcuni di questi luoghi, spesso per ragioni di interesse commerciale, sono stati ricostruiti. Ecco per esempio la cella del conte di Montecristo (pretesa) nel Castello d’If (reale) visitata da devoti di Dumas, la casa di Sherlock Holmes in Baker Street a Londra, o la casa di Nero Wolfe a New York. Di difficile identificazione, quest’ultima, perché Rex Stout ha sempre parlato di una casa di arenaria (brownstone) situata a un certo numero della 35a Street West, ma nel corso dei suoi romanzi ha menzionato via via almeno dieci numeri civici diversi - e tra l’altro sulla 35a Street West non esistono case di arenaria. Tuttavia i devoti del grande (e grosso) detective, nel cercare di avere un punto di riferimento per i loro pellegrinaggi, si sono decisi a eleggere come casa “autentica” quella del numero 454, così che il 22 giugno del 1996, la città di New York e il Wolfe Pack hanno posto a quel numero una placca di bronzo, e da allora i fedeli, se proprio vogliono, possono compiervi un pellegrinaggio. Talché la Vandenberg Inc., The Townhouse Experts, pubblicizza ancor oggi su Internet: «Vorreste vivere in una Brownstone come quella di Nero Wolfe? La Vandenberg Real Estate ha molte case in vendita nell’Upper West Side».

Non sappiamo dove fossero i giardini di Armida del Tasso, l’isola di Calibano, né Lilliput, Brobdingag, Laputa, Balnibarbi, Glubbdubdrib, Luggnagg e il Paese degli Houyhnhnms dei “Viaggi di Gulliver”, l’Isola misteriosa di Verne, lo Xanadu di Coleridge (anche se una Xanadu fittizia aveva ricostruito Orson Welles in “Citizen Kane”), le miniere di Re Salomone, in quale punto sia naufragato Gordon Pym, dove fossero l’Isola dei mostri del dottor Moreau, il Paese delle meraviglie di Alice, e tutti i principati delle operette, da Ruritania a Parador, Freedonia, Sylvania, Vulgaria, Tomania, Bacteria, Osterlich, Slovetzia, Euphrania, al ducato di Strackenz e ai regni di Taronia, Carpania, Lugash, Klopstokia Moronica, Syldavia, Valeska, Zamunda, Marshovia e alle repubbliche di Valverde, Hatay, Zangaro, Hidalgo, Borduria, Estrovia, alla Pottsylvania, a Genovia e Krakozhia, sino al regno di Ottokar nei fumetti di Tintin.

Non sappiamo dove fossero l’Isola di King Kong o la Terra di Mezzo di Tolkien, la caverna del teschio dei fumetti di Phantom (l’Uomo Mascherato) nell’improbabile giungla di Bengali, il pianeta Mongo e il mondo sottomarino dove Flash Gordon vien catturato dalla regina Undina, le città dove vivevano e vivono ancora Topolino e Paperino, Narnia, Brigadoon, lo Hogwarts di Harry Potter, la fortezza Bastiani del “Deserto dei Tartari” di Buzzati, Jurassic Park, l’Escondida di Corto Maltese. Se la Gotham City di Batman è presumibilmente una New York tenebrosamente trasfigurata, rimangono introvabili Smallville, Metropolis e Kandor, che nelle storie di Superman il malvagio Brainiac ha catturato e miniaturizzato in un contenitore di cristallo. E certamente non esistono le splendide “Città Invisibili” di Calvino e, ahimè, benché ne sia stata tentata una ricostruzione commerciale notevolmente deludente, non vedremo mai più il Café Americain di Rick, a Casablanca. D’altra parte nessuno ha mai immaginato che esistessero realmente i luoghi raffigurati nella Carte du Tendre, mappa di un Paese immaginario di cui aveva raccontato nel XVII secolo Madeleine de Scudéry, nel suo “Clélie”. Così come possiamo soltanto sognare il luogo più vasto e indicibile tra tutti, quello che Borges racconta di avere visto da un pertugio posto sui gradini di una scala, l’Aleph, il punto da cui egli ha contemplato e tentato di descrivere l’universo infinito.

Tra i luoghi romanzeschi potremmo elencare anche quelli che non esistono ancora, e cioè tutti i luoghi della fantascienza, a partire da quelli classici, come la Parigi del Duemila immaginata da Robida nell’Ottocento. Ma forse queste fantasie sono classificabili tra le utopie, positive o negative che volessero o vogliano essere. In ogni caso tutti questi, di cui ci stiamo occupando non sono i luoghi dell’illusione leggendaria bensì della verità romanzesca. Qual è la differenza? È che ci siamo convinti che essi non esistano e non siano mai esistiti, tanto quanto l’“Isola Che Non C’è” di Peter Pan o l’“Isola del Tesoro” di Stevenson. E nessuno tenta di andare a riscoprirli, così come invece molti hanno fatto con l’Isola di San Brandano - a cui per secoli si è creduto davvero. Questi luoghi non eccitano la nostra credulità perché, per il contratto finzionale che ci lega alle parole dell’autore, pur sapendo che non esistono, facciamo finta che siano esistiti - e partecipiamo da complici al gioco che ci viene proposto.

Sappiamo benissimo che esiste un mondo reale, in cui è avvenuta la seconda guerra mondiale o gli uomini sono andati sulla Luna, e che esistono poi i mondi possibili della nostra immaginazione, in cui sono esistiti ed esistono Biancaneve e Harry Potter, il commissario Maigret e Madame Bovary. Una volta che, aderendo al contratto finzionale, abbiamo deciso di prendere sul serio un mondo possibile narrativo, dobbiamo ammettere che Biancaneve è stata risvegliata dal suo letargo da un Principe Azzurro, che Maigret abita a Parigi in Boulevard Richard-Lenoir, che Harry Potter ha studiato da mago a Hogwarts, che Madame Bovary si è avvelenata. E chi affermasse che Biancaneve non si è mai più risvegliata dal suo sonno, Maigret abita in Boulevard de la Poissonnière, Harry Potter ha studiato a Cambridge e Madame Bovary è stata salvata in extremis con un contravveleno dal marito, susciterebbe il nostro dissenso.

Naturalmente la finzione narrativa richiede che vengano emessi segnali di finzionalità che vanno dalla parola “romanzo” sulla copertina, a inizi come “c’era una volta...” Ma spesso s’incomincia con un falso segnale di veridicità. Ecco un esempio: «Il signor Lemuel Gulliver (...) tre anni fa, ormai stanco delle continue visite di curiosi alla sua casa di Redriff, comprò un piccolo appezzamento di terra nei pressi di Newark (...) Prima di lasciare Redriff, mi ha affidato questi fogli (...) Li ho letti con attenzione tre volte e devo dire che (...) la verità soffia su ogni pagina e infatti l’autore stesso era talmente noto come persona veritiera, che era diventato proverbiale fra i suoi vicini di Redriff, i quali, per suffragare una loro affermazione, erano soliti aggiungere che era vera come se l’avesse detta Gulliver». Si veda il frontespizio della prima edizione dei “Viaggi di Gulliver”: non vi appare il nome di Swift come autore di finzione ma quello di Gulliver come autobiografo veritiero. Eppure i lettori non si fanno ingannare perché, dalla Storia vera di Luciano in avanti, le esagerate affermazioni di veridicità suonano come segnale di finzione. 

-------------------------------20 pagine in A N T E P R I M A --------------------------------------------------

Nessun commento:

Posta un commento