Il Caimano cambia idea all'ultimo secondo e vota la fiducia all'esecutivo, provando così a evitare la scissione del partito. Ma non basta: alla Camera si forma un gruppo di dissidenti. E il governo incassa la fiducia piena.
L'Espresso di Susanna Turco
In fondo è successo meno di
quel che si immaginasse: il governo è in piedi, e il Pdl gli ha votato
la fiducia senza spaccarsi. Al Senato fotografia più esatta è nel
labiale di Enrico Letta che, riferendosi al Cavaliere in procinto di
rivotargli la fiducia, dice “è un grande”, ma col volto amaro, scuotendo
il capo e passandosi la mano sulla testa. E’ un grande, ci ha fregato. In tanti, negli anni, l’hanno spiegato:
l’ultima risorsa del Cavaliere è sempre la stessa. Fare Zelig. Fare il
suo avversario del momento. Raccontò all’epoca Bruno Tabacci (da
uddicino spina nel fianco della Cdl, tra il 2001 e il 2006): “Berlusconi
mi ha invitato nel suo studio, mi si è messo davanti, e dopo pochi
minuti Tabacci era lui. Improvvisamente, diceva le stesse cose,
distinguersi pareva diventato impossibile, assurdo”. Un illusionismo da
David Copperfield , certo, ma accurato.
E così oggi, al Senato, di fronte alla notevole e inedita difficoltà di trovarsi il partito davvero spaccato, con una frattura così profonda che a occhio pare impossibile da ricucire, Silvio Berlusconi è diventato Angelino Alfano: cioè alla fine, dopo tanti cambi di fronte da far perdere il conto (povero Bondi, ancora una volta messo in mezzo ad annunciare la cosa sbagliata), ha mollato il colpo e si è adeguato alla volontà di quel pezzo di Pdl (gli alfaniani) che altrimenti se ne sarebbe andato per conto suo in diretta d’Aula.
Prima di tutti l’aveva capito il centrista Pier Ferdinando Casini, che conosce bene l’uomo e le sue risorse: “Sono convinto che ci sarà un amplissimo consenso al governo Letta, mi auguro però che l'ampiezza non penalizzi la chiarezza. Questa è una vicenda che rischia di finire in farsa”, aveva detto nel suo intervento di prima mattina – azzeccandoci in pieno.
Mossa astuta dunque quella del Cavaliere, di certo necessitata. L’alternativa sarebbe stata la sconfitta politica: s’era visto anche nella riunione convocata in extremis, in tarda mattinata, nella sala Koch del Senato. Assenti i 23 senatori pidiellini che avevano firmato un documento per la fiducia a Letta, il resto del gruppo si era spaccato tra chi voleva votare la sfiducia e chi (ben 34) voleva uscire dall’Aula al momento del voto per lasciare aperta una strada. Troppe differenze interne, nessuna possibilità di vincere: insomma roba nella quale il Cavaliere non si avventurerebbe mai.
Aggrappandosi alla caviglia dell’Alfano in fuga, invece, ha ottenuto subito di mettere in crisi l’unità dei dissidenti. Uniti fino a un momento prima, i “diversamente berlusconiani” hanno cominciato infatti coi distinguo: Maurizio Sacconi si augura che non nasca la nuova formazione di responsabili, Gaetano Quagliariello la ritiene necessaria perché “ormai nel Pdl ci sono due classi dirigenti incompatibili”, irriducibile insieme con Roberto Formigoni e il sottosegretario all’agricoltura Giuseppe Castiglione; mentre Maurizio Lupi e Nunzia De Girolamo fanno sapere che l’ipotesi di un gruppo autonomo non sta in piedi. Si vedrà. Molto più determinato, alla Camera, il gruppo guidato da Fabrizio Cicchitto, che ha annunciato la costituzione del gruppo autonomo alle quattro del pomeriggio, subito prima che a Montecitorio cominciasse l’informativa di Letta.
Mossa astuta, quella del Cavaliere, ma improntata all’attendismo e priva di qualsiasi respiro lungo. Per sé e gli altri: mancando la svolta, Letta continuerà a vivacchiare tra un sabotaggio e l’altro, mentre lui dovrà a breve affrontare il drago della decadenza e delle condanne, oltreché quello della successione alla guida del suo partito: un problema che oggi è riuscito a spostare più avanti, ma che è assai più vero e vivo di quanto non fosse fino a tre giorni fa.
E così oggi, al Senato, di fronte alla notevole e inedita difficoltà di trovarsi il partito davvero spaccato, con una frattura così profonda che a occhio pare impossibile da ricucire, Silvio Berlusconi è diventato Angelino Alfano: cioè alla fine, dopo tanti cambi di fronte da far perdere il conto (povero Bondi, ancora una volta messo in mezzo ad annunciare la cosa sbagliata), ha mollato il colpo e si è adeguato alla volontà di quel pezzo di Pdl (gli alfaniani) che altrimenti se ne sarebbe andato per conto suo in diretta d’Aula.
Prima di tutti l’aveva capito il centrista Pier Ferdinando Casini, che conosce bene l’uomo e le sue risorse: “Sono convinto che ci sarà un amplissimo consenso al governo Letta, mi auguro però che l'ampiezza non penalizzi la chiarezza. Questa è una vicenda che rischia di finire in farsa”, aveva detto nel suo intervento di prima mattina – azzeccandoci in pieno.
Mossa astuta dunque quella del Cavaliere, di certo necessitata. L’alternativa sarebbe stata la sconfitta politica: s’era visto anche nella riunione convocata in extremis, in tarda mattinata, nella sala Koch del Senato. Assenti i 23 senatori pidiellini che avevano firmato un documento per la fiducia a Letta, il resto del gruppo si era spaccato tra chi voleva votare la sfiducia e chi (ben 34) voleva uscire dall’Aula al momento del voto per lasciare aperta una strada. Troppe differenze interne, nessuna possibilità di vincere: insomma roba nella quale il Cavaliere non si avventurerebbe mai.
Aggrappandosi alla caviglia dell’Alfano in fuga, invece, ha ottenuto subito di mettere in crisi l’unità dei dissidenti. Uniti fino a un momento prima, i “diversamente berlusconiani” hanno cominciato infatti coi distinguo: Maurizio Sacconi si augura che non nasca la nuova formazione di responsabili, Gaetano Quagliariello la ritiene necessaria perché “ormai nel Pdl ci sono due classi dirigenti incompatibili”, irriducibile insieme con Roberto Formigoni e il sottosegretario all’agricoltura Giuseppe Castiglione; mentre Maurizio Lupi e Nunzia De Girolamo fanno sapere che l’ipotesi di un gruppo autonomo non sta in piedi. Si vedrà. Molto più determinato, alla Camera, il gruppo guidato da Fabrizio Cicchitto, che ha annunciato la costituzione del gruppo autonomo alle quattro del pomeriggio, subito prima che a Montecitorio cominciasse l’informativa di Letta.
Mossa astuta, quella del Cavaliere, ma improntata all’attendismo e priva di qualsiasi respiro lungo. Per sé e gli altri: mancando la svolta, Letta continuerà a vivacchiare tra un sabotaggio e l’altro, mentre lui dovrà a breve affrontare il drago della decadenza e delle condanne, oltreché quello della successione alla guida del suo partito: un problema che oggi è riuscito a spostare più avanti, ma che è assai più vero e vivo di quanto non fosse fino a tre giorni fa.
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