domenica 15 settembre 2024

Innocente a sua insaputa.

Quando in Italia vigeva il Codice penale, chi voleva dimostrare la sua innocenza puntava all’assoluzione.

 

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)

Ora invece patteggia, poi si fa intervistare da giornalisti compiacenti (quasi tutti, se è un politico non 5Stelle), dice che concordare una “pena detentiva” significa essere innocenti e quelli ci credono. Ci è appena riuscito Giovanni Toti, agevolato dal fatto che per quattro mesi stuoli di scudi umani hanno spacciato lui per un martire e le sue tangenti per atti dovuti in quanto regolarmente fatturate. Come se uno che assolda un killer per ammazzare qualcuno, al posto dell’alibi, estraesse la ricevuta. Il giorno dell’arresto, Sallusti giurò sull’“onestà di Toti”, certo che “il tempo sarà galantuomo”; poi il suo Giornale denunciò la “giustizia medievale”, i “giudici ricattatori” che “sovvertono il voto” e chiese che “la politica possa spiare la magistratura”. Ora, poveretto, titola: “Toti esce dal processo” (nel senso che la pena se la dà lui da solo) e commenta: “Lo ammette anche la Procura: Toti non ha mai intascato personalmente un solo euro” (no: la Procura dice l’opposto, e ora pure Toti), a parte un “modesto patteggiamento sull’ipotesi di ‘corruzione impropria’, specie di reato che riguarda atti legittimi nella forma ma per l’accusa dubbi nella sostanza” (nessuna specie di reato: è quando il pubblico ufficiale si vende gli atti del suo ufficio in cambio di tangenti). 

Insomma “Toti e la Procura fanno pari e patta” (no: ammesso che sia un derby, Procura batte Toti 25 mesi a zero).

Libero tuonava al “trappolone” e alla “democrazia sospesa” da una gip la cui madre – non a caso – un tempo stava nella Margherita e da un’opposizione “Forca e martello” (magari). Capezzone lanciava strazianti appelli: “Caro Giovanni, se puoi resisti”; ora che il fellone non ha resistito, Capezzone lacrima come una vite tagliata: “Che dolore, vince il processo mediatico”, “politica ancora sconfitta dalla forca dei giustizialisti”. E pazienza, è andata così. Sansonetti, sulla fu Unità, paragonava Toti a Moro e i giudici liguri alle Br: “Un gruppetto di magistrati ha sequestrato una persona e chiede come riscatto per liberarlo le sue dimissioni”. Ora rosica amaro: “Toti si arrende ai pm, la Procura stravince, batosta per lo Stato di diritto”. L’hanno rimasto solo, ’sti quattro cornuti. Anche il Foglio del rag. Cerasa strillava al “sequestro di Toti” nella prigione del popolo (casa sua), al “golpe giudiziario”, all’“allarme democratico”, al “ricatto”, alla “vergogna” e incitava l’ostaggio a “resistere resistere resistere”. Ora, tutto mogio, scrive che Toti cade nella “trappola dei reati evanescenti” e “si accorda coi pm per chiudere un processo da incubo”, tipico della “giustizia pazza”: quella in cui gli innocenti non sanno di esserlo e si condannano da soli.

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