Ma non mi dire: l’11 settembre, data particolarmente consona alle disgrazie, Mario Draghi (sempre sia lodato) ha incontrato Marina Berlusconi e Gianni Letta.
(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
Il 20 settembre 2013, poco prima dell’espulsione del neopregiudicato B. dal Senato che stava minando il governo Letta, Draghi fu visto uscire a tarda sera dalla casa di Eugenio Scalfari, in piazza della Minerva, insieme al capo dello Stato Giorgio Napolitano e al premier Enrico Letta (dove c’è Draghi, c’è sempre un Letta). Due giorni dopo Scalfari pubblicò su Rep un editoriale (“Napolitano-Letta-Draghi: lo scudo Italia-Europa”), molto ispirato sul pensiero dei suoi commensali, “i nostri tre punti di forza”. Ma non bastò: quattro mesi dopo Renzi pugnalò Letta con un sereno tweet. Nel dicembre 2020 Renzi voleva accoltellare pure Conte in piena pandemia, scrittura del Pnrr e vigilia della campagna vaccinale. Draghi chiamò Massimo D’Alema, non proprio un amico, che non vedeva da anni, e lo invitò nella sua casa ai Parioli. D’Alema andò e si sentì chiedere se non fosse ora di pensare a un’alternativa (indovinate chi) a Conte, che aveva appena portato i 209 miliardi di Pnrr. D’Alema rispose di no, parlando bene di Conte e malissimo di un governo di larghe intese con pezzi di destra. Draghi fece sapere che con Max aveva parlato di Cina. Un mese dopo Renzi rovesciò Conte e arrivò Draghi. Che, appena vede qualcuno, cade il governo. La Meloni non ha bisogno di consigli: ma una grattatina non ha mai fatto male a nessuno.
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