mercoledì 27 marzo 2024

Putin, Xi Jinping e Bin Salman. I miliardi dei dittatori nel calcio europeo. Così funziona lo sportwashing

Ai dittatori non piace essere degli osservati speciali che violano i diritti umani

 

(di Milena Gabanelli e Francesco Tortora – corriere.it)

Per accrescere la propria reputazione sui palcoscenici internazionali e pulire l’immagine dei loro Paesi investono cifre astronomiche nello sport. Il fenomeno si chiama sportwashingIl termine è stato coniato nel 2015 da «Reporter senza frontiere» per denunciare gli sfarzosi «Giochi Europei», organizzati dall’autocrate azero Ilham Aliyev. Sono almeno 20 anni che gli autocrati puntano soprattutto sullo sport più popolare: il calcio. La strategia è sempre la stessa: acquistare o sponsorizzare squadre europee per allontanare la loro immagine repressiva conquistando la benevolenza di tifosi e federazioni sportive. A suon di milioni di dollari.

Putin, il precursore

Il primo ad intuire le potenzialità dello sportwashing è Vladimir Putin. All’inizio degli anni 2000 manda in avanscoperta gli oligarchi russi alla conquista del calcio europeo e punta soprattutto su Londra. Nel 2003 Roman Abramovich acquista per 150 milioni di sterline la squadra del Chelsea. In 18 anni l’allora magnate del petrolio investe più di un miliardo di sterline, compra calciatori di fama mondiale che permettono alla squadra londinese di vincere, tra l’altro, 5 Premier e due Champions League. Dal 2007 al 2018 scende in campo anche il miliardario uzbeko Ališer Usmanov che è uno dei principali azionisti dell’Arsenal. Poi dal luglio 2019 il suo gruppo USM holdings è lo sponsor ufficiale dell’Everton in cui investe oltre 400 milioni di sterline: «Il Cremlino – racconta Catherine Belton ne Gli uomini di Putin – aveva calcolato accuratamente che il modo per essere accettato dalla società britannica passava attraverso il grande amore del Paese, il suo sport nazionale». Le mire degli oligarchi russi non si fermano a Londra. Nel 2011 l’imprenditore Dmitrij Rybolovlev acquista prima il Monaco e poi il team belga Cercle BruggeMaxim Victorovich Demin mette le mani sul britannico Bournemouth (poi ceduto nel 2022), gli affaristi Alexander Chigirinsky Valeriy Oyf si scambiano la proprietà dell’olandese Vitesse e Ivan Savvidis, eletto per due mandati nel Parlamento di Mosca con Russia Unita, il partito di Putin, diventa il patron del Paok Salonicco in Grecia.

Scende in campo il colosso del gas

La compagnia statale Gazprom è per anni sponsor delle due organizzazioni che controllano il calcio internazionale, Uefa Fifa. Quest’ultima, nonostante i ripetuti delitti del Cremlino contro i dissidenti, assegna a Mosca l’organizzazione del mondiale del 2018 con una votazione molto discussa. Solo con l’invasione dell’Ucraina il velo dell’ipocrisia cade: gli oligarchi Abramovich Usmanov sono sanzionati sia dalla Ue che dal Regno Unito il patron del Chelsea è costretto a vendere la squadra e a lasciare la capitale. La Fifa, dopo aver condannato l’invasione, sospende le squadre russe dalle competizioni internazionali e cancella tutti i contratti di sponsorizzazione.

La Cina è più vicina

Lo scorso decennio la Cina prova a riabilitare la propria immagine, screditata dalla feroce repressione nei confronti delle minoranze tibetana e uigura. Per far breccia in Europa il presidente Xi Jinping, appena diventato segretario del Partito Comunista cinese, vara un piano decennale per trasformare il calcio nello sport nazionale: imprenditori e fondi statali investono oltre 2,5 miliardi di dollari nelle squadre europee, e tra il 2015 e il 2017, finiscono in mani cinesi MilanInterParma, Aston VillaAuxerreBirmingham CityEspanyolGranadaSlavia PragaSochauxSouthamptonWest Bromwich Albion Wolverhampton Wanderers. A completare l’opera ci sono le partecipazioni di minoranza in altre squadre blasonate come Manchester City Atletico Madrid, gli investimenti negli stadi e le sponsorizzazioni di team europei. Pechino prova a rendere competitivo anche il campionato nazionale facendo sbarcare in Oriente campionissimi come Carlos Tevez Oscar e offrendo loro cifre stellari (il primo incassa 800 mila euro a settimana, il secondo si accontenta di 430 mila euro). Durante la stagione 2016/17 la Chinese Super League diventa la lega più attiva nel calciomercato, spendendo la bellezza di 388 milioni di euro in solo due mesi. L’investimento in soft power non dà i frutti sperati e il Partito Comunista cinese fa marcia indietro: il regime ordina lo stop della fuga dei capitali in Paesi stranieri e impone una gigantesca tassa sui trasferimenti dei calciatori. Oggi le spese nella Super League cinese sono una frazione rispetto alle cifre raggiunte pochi anni fa, e solo quattro squadre europee sono rimaste in mani orientali: InterWolverhamptonEspanyol Granada.

I petrodollari degli sceicchi

Negli anni più recenti gli Stati autoritari che hanno meglio utilizzato lo sportwashing sono Emirati ArabiQatar e soprattutto Arabia Saudita. Gli sceicchi dei primi due Paesi possiedono due delle squadre più forti al mondo, il Manchester City e il Paris Saint-Germain. Il Qatar nel 2022 ha organizzato il Mondiale di calcio registrando numeri record di partecipanti e un pubblico televisivo globale che ha superato 1,5 miliardi per la finale. Quel «mondiale» è stato definito «il più grande scandalo di corruzione nella storia dello sport», e nel 2023 la magistratura francese ha emesso un mandato di cattura internazionale per il qatariota Mohamed bin Hammam, ex vicepresidente della Fifa, condannato per aver versato tangenti ai funzionari dell’organizzazione.

L’Arabia Saudita del principe Mohammed bin Salman, accusato di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, rappresenta la vera avanguardia. Secondo un recente report della Ong «Grant Liberty» il PIF, il fondo d’investimento pubblico del Paese, ha investito negli ultimi tre anni 50,7 miliardi di dollari in sportwashing, di cui quasi 5,1 solo nel calcio. Tra le spese più strabilianti l’acquisto della squadra inglese del Newcastle (415 milioni di dollari), le sponsorizzazioni di club (2,3 miliardi) e i contratti per i trasferimenti in squadre arabe di campioni come Cristiano Ronaldo (213 milioni di dollari all’anno), Karim Benzema (107 milioni) e N’Golo Kanté (107 milioni). L’Arabia ha anche assoldato Lionel Messi per attrarre turismo nel Paese (66 milioni) e sta facendo incetta di grandi eventi. Non solo l’organizzazione di 4 edizioni di Supercoppa italiana fino al 2029 (costo 114 milioni) e di quella spagnola (145 milioni di dollari), ma anche l’ultimo campionato mondiale per club vinto dal Manchester City. Nel 2027 il Paese ospiterà la Coppa d’Asia, nel 2034 l’evento più atteso: i Mondiali. Sullo sfondo resta la situazione interna del Paese: un regime dove nel solo 2023 sono state giustiziate 170 persone, oltre 300 oppositori politici sono rinchiusi nelle carceri. Le dure condanne nei confronti di alcune attiviste come Nourah Al-Qahtani Fatima Al-Shawarbi dimostrano che le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno.

Calcio, affari e valori

I club italiani ed europei, sempre più a corto di denaro, scelgono di sottoscrivere accordi con le nuove potenze calcistiche e sono disposti a trasferire in Medio Oriente anche partite molto importanti. I tifosi in trasferta se non vogliono noie devono seguire regole imperative: coprirsi completamente il corpo, divieto di esporre striscioni con slogan politici o messaggi di sostegno alle minoranze oppresse. A gennaio il Barcellona, impegnato nella Supercoppa spagnola a Riad, ha pubblicato una guida online in cui raccomandava ai propri connazionali «massima cautela» perché in Arabia Saudita i rapporti omosessuali «possono costituire motivo di sanzione». Solo in rare occasioni c’è chi ha il coraggio di ribellarsi in difesa di valori non negoziabili. Durante i Mondiali in Qatar i calciatori della Germania, nella foto ufficiale del pre-partita con il Giappone, hanno posato con la mano sulla bocca, per protestare contro la decisione della Fifa di vietare la fascia arcobaleno con la scritta «One love». Un ago nel grande pagliaio dell’indifferenza.

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