mercoledì 8 gennaio 2025

Fuga di un figlio del Wef

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Con una certa dose di ottimismo sulla natura umana potremmo pensare che il tiranno dei vaccini Justin Trudeau si sia dimesso di propria spontanea volontà, ma non è andata così: è stato costretto a dimettersi dal suo stesso partito. Questo indecoroso pagliaccio che la foto di apertura ritrae in una delle sue più celebri performance, ha tiranneggiato i canadesi e inaugurato il terrore bancario per i renitenti al vaccino – che poi ha fatto scuola anche in altri ambiti e in altri Paesi – e non ha resistito all’effetto Trump. Se ne è andato subito dopo che le elezioni di novembre in Usa sono state validate dal Congresso. Molti che speravano in un miracolo o magari in un proiettile o in qualche gabola legale dell’ultima ora, dopo questo passaggio hanno fatto mostra di conversioni politiche inattese come ad esempio Zuckenberg che adesso rinuncia alla censura sui suoi social. Il mondo che essi hanno incarnato per almeno un decennio e anche sotto la prima presidenza Trump, si è rivelato fragile una volta scalfita la superficie metallica. Così di conversioni dichiarate o silenziose ne vedremo parecchie nei prossimi mesi.

Fragile perché c’è una rivolta dal basso, non tanto perché sia comparso all’orizzonte un castigamatti. Quando Trump ha tirato fuori la boutade dei dazi del 25% contro le importazioni canadesi o addirittura ha parlato di fare del Canada il 51° stato degli Usa, sapeva (o almeno si spera che si sia trattato di una mossa consapevole) di compromettere la governance globalista dello Stato vicino e di provocare un terremoto. Trudeau dopo aver piegato con il terrorismo bancario i camionisti ribelli e dopo aver fatto votare leggi liberticide che impediscono di criticare qualsiasi cosa imponga il governo, come se si vivesse in una eterna emergenza, era ormai un personaggio odiato dai più. E di certo non avrebbe potuto guidare una resistenza alle richieste statunitensi. Quindi i cosiddetti liberali si sono disfatti del loro uomo di punta che oltretutto rischia di ridurre ai minimi termini il partito.

La fuga di Trudeau è tuttavia ancora più significativa perché colpisce direttamente il Word economic forum, una delle centrali del globalismo: l’ex primo ministro era infatti uno di quegli Young Global Leaders selezionati per essere lanciati nell’universo del potere politico, mediatico e artistico. Nel 2022 quando partì il convoglio della libertà e venne messo in atto ogni tipo di repressione e di ritorsione, il governo canadese era formato da parecchi membri del Wef: la vice premier e segretario al tesoro Chrystia Freeland che era addirittura tra i direttori del Forum (oltre ad essere nipote di un personaggio molto in vista del nazismo ucraino), Katrina Gold, ministro della Famiglia e degli Affari Sociali e Francois-Philippe Champagne, ministro dell’Innovazione, della Scienza, dell’Industria e dello Sviluppo Economico. Tanto che l’accanimento dimostrato verso chi si ribellava all’obbligatorietà dei vaccini contro il covid, quando essi avevano già rivelato la loro totale inefficacia, fa pensare che la dura reazione di Trudeau sia stata stimolata e suggerita dallo stesso Forum, perché una vittoria della protesta avrebbe potuto mettere in crisi la credibilità del Wef e indurre un effetto domino in Occidente.

Dunque non va via solo un triste pagliaccio del circo globalista, ma con esso si cominciano a spezzare i fili dei burattinai che stanno via via perdendo la capacità di imporre le loro direttive. Certo ora essi vengono via via sostituiti da altri miliardari, che hanno preso atto del fallimento e il cui principale scopo è di salvare se stessi, di cambiare tutto perché non cambi nulla, ma dentro questo passaggio si apre probabilmente uno spazio di azione politica che potrebbe anche saldarsi, quanto meno in Europa, con il processo di multipolarità in atto. Si tratta certamente di una tenue speranza, visto lo stato ipnotico delle persone, ma dovrebbe essere colta.

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