martedì 7 gennaio 2025

Frammentata, ingiusta e in peggioramento: Lancet analizza la sanità italiana

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La rivista internazionale di medicina The Lancet, nel suo ultimo numero, ha tracciato un quadro impietoso del sistema sanitario italiano, evidenziandone la grande frammentarietà e inefficienza. Un editoriale firmato da Pooja Jha, direttrice di Lancet Regional Health-Europe, ha infatti denunciato l’assenza di un sistema unificato per la gestione e la condivisione dei dati sanitari, inquadrando tale lacuna come uno dei maggiori ostacoli alla modernizzazione e all’equità del Servizio Sanitario Nazionale. Nell’articolo si attesta che il mancato coordinamento tra le Regioni costa più di 3 miliardi ogni anno, evidenziando inoltre come il fascicolo sanitario elettronico, potenziale strumento di unificazione, resti inapplicato. Secondo la rivista, poi, la riforma dell’autonomia differenziata rischia di aggravare le disparità tra Regioni del Centro-Nord, che garantiscono livelli essenziali di assistenza, e quelle del Sud, già in grande difficoltà.

The Lancet sottolinea che l’Italia sconta la forte autonomia delle sue 20 regioni, che operano in modo indipendente, adottando tecnologie e politiche differenti. Ha così origine una frammentazione che ostacola la condivisione di referti medici, obbligando i pazienti a ripetere esami quando si spostano tra strutture o regioni, con un costo stimato di 3,3 miliardi di euro annui. La rivista evidenzia come l’emergenza Covid abbia reso evidenti queste falle: molte strutture sanitarie, specialmente nel Sud, si affidavano a sistemi obsoleti o addirittura alla raccolta manuale dei dati, compromettendo una risposta coordinata alla pandemia. Esempi emblematici sono i tempi biblici per l’implementazione del fascicolo sanitario elettronico in Calabria o l’assenza di registri tumori aggiornati. Nel complesso, solo il 42% delle strutture italiane dispone di un sistema informatico integrato per tutti i dipartimenti. Il divario tra Nord e Sud è un altro tema centrale nell’analisi della rivista. Le sette regioni attualmente in piano di rientro sanitario – Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia – si trovano tutte al Centro-Sud, segno di una sanità in difficoltà cronica. Questo quadro porta molti pazienti meridionali a migrare verso le strutture del Nord, fenomeno noto come “viaggi della speranza”. Tuttavia, l’assenza di strumenti per trasferire i dati sanitari rende ancora più complessa la gestione di questi pazienti, che spesso vengono presi in carico senza una storia clinica completa, con inevitabili ritardi nei trattamenti e duplicazioni di esami.

La rivista considera inoltre l’autonomia differenziata un potenziale detonatore per ulteriori disuguaglianze. La riforma, se approvata, decentralizzerebbe infatti ulteriormente la governance sanitaria, aggravando la frammentazione e le disparità tra le regioni. «Invece di promuovere la raccolta e la condivisione armonizzata dei dati, questa legge rischia di approfondire le disuguaglianze, ritardare i trattamenti e ostacolare i progressi», avverte l’articolo. L’armonizzazione legislativa a livello nazionale è considerata essenziale per creare una rete unificata di dati sanitari, capace di supportare l’interoperabilità, la telemedicina e la digitalizzazione del SSN. La rivista mette in luce che le inefficienze del sistema sanitario del nostro Paese si ripercuotono anche sulla ricerca scientifica. La mancanza di una piattaforma centralizzata costringe i ricercatori a richiedere autorizzazioni ai comitati etici e di privacy di ogni singola istituzione, con un processo lungo e spesso arbitrario. Dal 2009, la percentuale di studi autorizzati sul totale è scesa al 15%, una tendenza che mette a rischio il ruolo dell’Italia nella ricerca medica internazionale.

Recentemente, a lanciare l’allarme sul pessimo stato di salute del Servizio Sanitario Nazionale era stato un report della Ragioneria generale dello Stato, in cui è stato reso noto che, nel 2023, la spesa sanitaria privata in Italia ha superato i 43 miliardi di euro, con un incremento del 7% rispetto al 2022 e del 24% rispetto al 2019 Parallelamente, la spesa sanitaria pubblica è cresciuta solo del 2% rispetto al 2022 e del 13,6% rispetto al 2019, raggiungendo i 132,8 miliardi di euro. La prova plastica di come, nonostante le rassicurazioni dei tanti governi che si sono succeduti negli ultimi anni, gli investimenti nella sanità pubblica non siano affatto sufficienti a garantire il mantenimento degli standard di assistenza, costringendo sempre più spesso i cittadini ad aprire il portafogli per ottenere visite e cure.

[di Stefano Baudino]

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