martedì 21 maggio 2024

ELENA BASILE. Un occidente rinsavito medierebbe con la Cina.

La visita di Putin in Cina costituisce un’ulteriore tappa del percorso a cui la visione patologica del mondo dell’Occidente ha costretto la Russia che per decenni aveva bussato alla porta dell’Europa.

 

(ELENA BASILE – ilfattoquotidiano.it)

Putin nel 2000, quando prende il potere, ha due obiettivi strategici: l’inserimento della Russia nelle strutture della governance economica euroatlantica e la ricostruzione della sovranità dello Stato. Fino al 2014 riesce a riconciliare l’indipendenza strategica di Mosca con l’esigenza di stabili rapporti economici con l’Occidente. Il colpo militare di piazza Maidan, ampiamente documentato, del 2014, lascia il Cremlino esterrefatto.

La scelta tormentata dell’annessione della Crimea per proteggere la base sul mar Nero di Sebastopoli avrebbe potuto dare inizio a uno sviluppo autarchico e togliere al presidente russo il consenso di quel blocco sociale ed economico che si era arricchito nei commerci e investimenti con l’Europa. La salvaguardia della sovranità russa non sembra più conciliabile con gli interessi dell’economia di Mosca. Del resto nel 2014 anche in Occidente la disintermediazione tra capitale e interessi della politica è avvenuta. L’Occidente rinnega la globalizzazione che aveva portato a una distribuzione del potere economico a vantaggio della Cina e degli emergenti. 

Si arrocca in una strategia che sarebbe giunta al friendshoring: si commercia e si investe solo con gli amici.

Nel 2014 l’annessione russa della Crimea è attuata da una leadership sgomenta ma ponderata. La rivolta alla pax americana che vuole desovranizzare Mosca è possibile perché all’ombra della Cina un nuovo mondo sta nascendo. La nuova Via della Seta, che avrebbe potuto implicare sviluppo e prosperità per l’area euroasiatica con ricadute importanti per i Paesi europei, era stata lanciata nel 2013. Nel 2014 la Russia firma con la Cina un accordo per 400 miliardi di dollari per la fornitura di energia e la costruzione di infrastrutture energetiche. Inizia una cooperazione economica senza precedenti che fortifica l’unione economica eurasiatica. Dal 2008 in poi, il mondo multipolare si delineava all’orizzonte. I Brics nascono nel 2020, si ingrandiscono e hanno nella contestazione dell’egemonia statunitense, che trova conforto solo nella supremazia militare, un cemento importante. È grazie alla Cina e al sud globale che Mosca vince contro la rischiosa scommessa iniziata nel 2014 e sopravvive alle sanzioni occidentali. Oggi è molto più forte di prima.

A Pechino, Xi e Putin rafforzano la collaborazione. Aumentano le importazioni russe di automobili elettriche cinesi e di componenti per l’industria della difesa come le esportazioni verso la Cina energetiche e del settore agroalimentare. Le stigmatizzate autarchie in geopolitica dichiarano comuni intenti di pace e di stabilizzazione del mondo. Il cessate il fuoco a Gaza con il rilascio immediato degli ostaggi e una conferenza di pace per pervenire alla soluzione dei due Stati. Putin appoggia la mediazione cinese, i 12 punti che continuano a rappresentare gli unici parametri di una diplomazia razionale e strategica. Con lo strabismo rituale, ex colleghi che ricevono prebende e posti al sole collaborando con think tank finanziati dagli statunitensi, mettono a tacere l’onestà intellettuale (saremmo noi i filoputiniani a tradire i valori della Repubblica?), ci spiegano che la Cina è dominante, che ha bisogno dell’Occidente restando lo scambio commerciale con l’Europa quasi il doppio di quello realizzato con Mosca. Sottolineano la subalternità russa. Non vedono tuttavia quella europea nei confronti di Washington.

In realtà, la Russia e i Brics si stanno allineando alla Cina che di fronte alle azioni illegali della finanza occidentale, estromissione di Mosca dallo Swift, sanzioni economiche e sequestro di 300 miliardi di fondi russi in euro), ha accelerato il processo di dedollarizzazione. I Brics crescono in numero, sostengono globalizzazione e riforma del multilateralismo, Onu e Osce, fine dei doppi standard occidentali, applicazione di regole chiare e non à la carte secondo gli interessi Usa, riforma della governance economica Fmi e Bm. Se l’Occidente fosse sano e lo spazio politico mediatico non corrotto, su questi temi si centrerebbe la riflessione. Si dovrebbe mettere a punto una strategia diplomatica di mediazione con Cina, Brics e Sud globale per le riforme richieste e per la stabilizzazione delle aree di crisi. Ma tronfie e arroganti, come i miei ex colleghi che venivano un tempo cooptati per la loro fedeltà nelle stanze dei bottoni e ora sputano il verbo sui giornali più letti, le classi dirigenti occidentali disprezzano l’altro, lo disumanizzano, lasciano alle generazioni future il debito impazzito, il fallimento della transizione verde, il sistema di sorveglianza digitale e i conflitti.

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