“La società futura sarà organizzata da un nuovo elemento, l’industria, e gli industriels assumeranno la direzione della vita pubblica, in virtù del potere fondato non sulla costrizione ma sul consenso.
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Per sua stessa costituzione, la scienza è universale e pacifica, perciò anche la nuova società scientifico-industriale avrà carattere di universalità: essa si estenderà all’umanità intera e sarà contrassegnata dalla coesistenza di ordine e progresso, senza violente fratture rivoluzionarie.
La scienza e l’industria sono destinate a diventare depositarie del potere temporale e spirituale”[1].
In un testo del 1825, intitolato Nuovo Cristianesimo, il filosofo francese Saint-Simon esprimeva queste idee a mio avviso profetiche. Mi sembra che descrivano bene il mondo in cui ci troviamo.
Il sistema di potere neo-totalitario, per dirla con Pasolini, non domina più attraverso la coercizione, sebbene questa si possa presentare come estrema ratio in determinate situazioni, come abbiamo visto durante gli anni della pandemia, ma mediante il consenso, o cosiddetta “spinta gentile”.
La società dello spettacolo e dei consumi, o sistema di potere neoliberale, è cioè capace da un lato di svuotare lo stato sociale e la democrazia di sostanza, pur lasciandone intatta la forma, ma dall’altro di operare una forma di indottrinamento sottile e inconscio sulla mente degli individui.
Come scrive Manuel Castells:
«Comunicazione e informazione sono da sempre fondamentali fonti di potere e contropotere, di dominio e cambiamento sociale. Ciò in ragione del fatto che la principale battaglia che si gioca nella società è quella per le menti degli individui.
Le torture inflitte ai corpi rappresentano una pratica meno efficace dell’influsso esercitato sulle menti»[2].
Non l’eliminazione fisica degli oppositori e critici del sistema dunque, bensì quella mentale. La riduzione progressiva della libertà della coscienza, verso forme di indottrinamento skinneriano degli individui, resi docili strumenti di quelle tecniche di stimolo-risposta utilizzate dalle piattaforme di comunicazione e intrattenimento.
II. La Dipendenza tecno-finanziaria come forma di schiavitù
La spoliticizzazione della società è resa possibile attraverso il lento e graduale cambiamento della forma di vita dei cittadini, fino a includere il modo in cui l’individuo concepisce se stesso.
“Demoltiplicare il modello economico, il modello della domanda e dell’offerta, il modello dell’investimento-costo-profitto, per farne un modello dei rapporti sociali e dell’esistenza stessa, come forma di rapporto dell’individuo con se stesso, con il tempo, con il suo ambiente, con il futuro, con il gruppo e la famiglia”[3].
Il neoliberismo è stato capace di plasmare la società in ogni sua dimensione secondo le categorie e il modello del mercato, dell’impresa e della concorrenza.
La produzione, il consumo e il godimento divengono i vettori fondamentali dell’esistenza e della costruzione dei centri urbani e delle metropoli. Il mercato e la pubblicità dettano i modelli pedagogici ai quali aspirare, e il divertimento come “quella gioiosa spensieratezza che sembra divenuta d’obbligo”[4] assume il ruolo guida di collante dell’aggregazione sociale nel tempo lasciato “libero” dalla produzione capitalistica.
Da persone a individui a produttori-consumatori sempre più “apatici” e “disimpegnati”, e quindi merci ideali di quell’opera ormai incessante e ubiquitaria di estrazione di dati e informazioni utili al capitalismo della sorveglianza.
Il consumatore e il lavoratore ideale del sistema tecno-capitalistico è cioè una persona isolata, atomizzata e tendenzialmente refrattaria a concepire un’alternativa possibile, e quindi costretta ad accettare la spoliazione integrale della sua vita alle logiche estrattive del capitale e della tecno-scienza.
Il nuovo sistema di potere mira a rendere dipendente l’individuo, sia a livello mentale sia tecno-operativo dalle “offerte imperdibili” e dalle “occasioni uniche” del battage pubblicitario ininterrotto. Il mondo in cui viviamo è spesso alienante, spersonalizzante, privo di relazioni sociali autentiche; le città-intelligenti prive di natura e sempre più omologate e neutre, così come il lavoro salariato, precarizzato e depauperato di ogni elemento divergente rispetto alle categorie aziendali.
E il sistema che produce tutto questo, offre anche i succedanei, le dosi morfiniche necessarie per sedare il dissenso, il malessere e l’insoddisfazione che altrimenti potrebbero essere canalizzati nella lotta politica consapevole contro questo sistema di dominio delle coscienze, dei lavoratori e delle risorse del pianeta. Il malessere prodotto dal sistema viene individualizzato, e ricondotto sempre ad un deficit del soggetto, che è incapace di funzionare all’interno delle logiche tecno-capitaliste.
Invece di trasformare le cause sociali, economiche e politiche dello stress, della depressione e dei disturbi psico-fisici, la diffusione di tecniche di benessere mentale operano nella direzione di “aggiustare” la persona reinserendola in quel sistema che è la fonte della sua alienazione.
Una nuova organizzazione sociale senza più contrasto fra le classi, in cui gli individui vengono distinti solo in base alle proprie capacità, e selezionati dalle corporation trans-nazionali.
III. L’Insurrezione è Interiore. La Rivoluzione è Politica.
Queste analisi possono risultare e risuonare come molto radicali e pessimiste, forse provocando un senso di impotenza. Per questo è molto importante non farsi schiacciare dal peso della critica, e invece rilevare quelle potenzialità rigenerative e rivoluzionarie che sono insite in questa fase storica.
Innanzitutto un senso sempre più diffuso di insostenibilità esistenziale. Le reazioni avverse che questo sistema produce sono ormai note in letteratura e ben visibili nella vita di ciascuno di noi. La società della prestazione produce alienazione e depressione; lo svuotamento dello stato sociale e della democrazia lo sfaldamento del tessuto comunitario e della politica.
Quella che emerge con forza è la percezione che questo tipo di organizzazione sociale, lungi dal renderci realizzati e appagati, in realtà ci renda sempre più soli, infelici ed economicamente poveri; ci sentiamo sempre più vincolati, volenti o nolenti, a nuclei di potere privati che determinano le nostre vite, assorbendo quote sempre più decisive di sovranità e di capacità decisionale.
Penso e sento perciò che il moto di liberazione sia duplice e interconnesso. Da un lato questo consenso si sta sfaldando e come erodendo. A livello interiore l’insoddisfazione radicale può farsi insurrezione, come rifiuto del modello sociale a cui vorrebbero conformarci.
A livello politico urge una forma di aggregazione che nasca e fiorisca proprio da questo anelito comune ad una forma di esistenza differente. Ad una consapevolezza del comune orizzonte entro il quale si muovono le rivendicazioni sociali.
Il compito di una nuova classe dirigente credo sia proprio quello di comprendere come intercettare questa domanda di trasformazione, che per ora di esprime nelle forme di voto a partiti percepiti anti-sistema o in quelle dell’assenteismo, per formare una nuova coscienza politica rivoluzionaria.
La critica radicale a questo sistema di potere può fare uno scatto di qualità coniugandosi con una visione dell’essere umano che superi quella materialistica ed economicistica del marxismo tradizionale; per aprirsi ad una concezione della soggettività e del ruolo dell’umanità nel processo storico come ineludibilmente connotati da un desiderio che trascende le condizioni storiche date, come emerge d’altronde dalle ricerche più avanzate del ‘900, in campo psicoanalitico con Lacan e in quello filosofico con Heidegger.
Tale trascendenza del desiderio e dell’apertura esistenziale dell’Esserci, è il segno di una irriducibilità dell’essere umano ad ogni forma di potere che lo voglia determinare una volta per tutte. Possiamo uscire dal sistema dell’alienazione, mediante pratiche di liberazione interiore e una nuova forma di aggregazione politica, verso esperienze esistenziali più soddisfacenti, appaganti e feconde di significato.
La possibilità di agire sulla realtà storica e di trasformarla è il corrispettivo pratico di quella libertà interiore e spirituale che va, sempre di nuovo, riconquistata.
Concludo con le parole Erich Fromm del celebre saggio del 1976, intitolato “Avere o Essere?”:
«La necessità di un cambiamento nell’uomo non costituisce soltanto un’esigenza etica e religiosa, non è frutto unicamente di un’aspirazione psicologica derivante dalla natura patogena del nostro attuale carattere sociale, ma è anche la condizione per la mera sopravvivenza della specie umana.
Il vivere bene non rappresenta ormai più da un pezzo la soddisfazione semplicemente di un’esigenza di carattere etico o religioso: per la prima volta nella storia, la sopravvivenza fisica della specie umana dipende dalla radicale trasformazione del cuore umano.
D’altro canto, un trasformazione del cuore umano è possibile solo a patto che si verifichino mutamenti economici e sociali di drastica entità, tali da offrire al cuore umano l’occasione per mutare e il coraggio e l’ampiezza di prospettive necessari per farlo»[5].
[1] S. Alunni, Secolarizzazione gioachimita e teologia politica. Il messianismo di Giuseppe Mazzini, Edizioni Studium, Roma, 2018, p. 131.
[2] M.Castells, Comunicazione, Potere e Contropotere nella network society, Internationa Journal of Communication.
[3] M.Foucault, Nascita della biopolitica, Feltrinelli editore, Milano, 2005, P.196
[4] Z.Baumann, Le sorgenti del male, a cura di Yong-June Park, p.20.
[5] E. Fromm, Avere o Essere?, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1976, p.24.
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