Cecilia Sala è in regime di carcere duro in Iran con un’accusa generica che sa di scusa. La verità? La pista più probabile è quella dello scambio di prigionieri che coinvolgerebbe l’ingegnere iraniano Mohamad Abedini, accusato dagli Usa di lavorare per il governo degli ayatollah e arrestato, su richiesta americana, proprio in Italia. Ma da quando il governo è un’estensione dello strapotere americano? E chi ricorda come rispose Craxi agli alleati quando si trattò di incarcerare Abu Abbas, coinvolto nel sequestro dell’Achille Lauro? Ecco da chi dovrebbe imparare Giorgia Meloni, ma…
(Gianni Bonina – mowmag.com)
C’ero l’11 ottobre 1985 all’aeroporto di Sigonella dove atterrò l’aereo egiziano con a bordo il terrorista Abu Abbas, coinvolto nel sequestro dell’Achille Lauro. Washington fece atterrare l’aereo nella Base Nato con l’ordine alla Delta Force di catturarlo. Prima che l’aereo egiziano arrivasse furono informati alcuni giornalisti: non dagli Usa ma dalle autorità italiane, segno evidente che non si voleva nascondere nulla all’opinione pubblica. Quanto avvenne fu così testimoniato al mondo. I carabinieri, su disposizione arrivata dal presidente del Consiglio Craxi, circondarono l’aereo nel proposito di impedire alle teste di cuoio Usa di tentare un assalto. Le forze speciali americane a loro volta e in numero maggiore circondarono i carabinieri e si misero in attesa di un ordine per aprire il fuoco. A loro volta i carabinieri impugnarono le armi e si tennero pronti a rispondere al fuoco. Dopo mezza giornata sotto il sole caldo gli uomini della Delta Force si ritirarono e così pure i carabinieri che mostrarono determinazione, coraggio e assenza assoluta del benché minimo timore riverenziale nei confronti della superpotenza. Apprendemmo dopo che Washington aveva preteso la consegna e l’estradizione immediata e che Craxi aveva opposto un secco no: il sequestro della nave da crociera era avvenuto in acque italiane e i responsabili sarebbero stati giudicati secondo le nostre leggi.
L’aereo poté dunque decollare con i suoi terroristi alla volta di Roma e il governo Craxi poté mostrare a Ronald Reagan il duro i propri attributi. Trentanove anni dopo, in un altro aeroporto, stavolta tutto italiano, Malpensa, l’ingegnere iraniano Mohammad Abedini, accusato dagli Usa di aver sottratto in territorio americano componenti elettronici e di lavorare per il governo degli ayatollah, è stato arrestato lo scorso 19 dicembre solo sulla base di una richiesta, perentoria, di Washington alla quale il governo italiano ha risposto subito “Obbedisco”. Nessuno ne avrebbe saputo niente se i famigerati ayatollah non avessero aguzzato l’ingegno e risposto con la stessa spregiudicatezza, arrestando lo stesso giorno in un qualsiasi albergo, bastando sfogliare le presenze degli italiani nella capitale, la giornalista free lance Cecilia Sala, accusata genericamente di aver violato le leggi islamiche e proposta per uno scambio con Abedini. Il cui arresto è così diventato di dominio pubblico, ma senza suscitare alcuna reazione, né politica né giornalistica né sociale, delle sempreverdi “guardie nazionali” poste a difesa della nostra democrazia e dell’integrità dei principi di libertà e di giustizia.Nella mai abbastanza vilipesa Prima repubblica ci fu un premier, destinato peraltro alla damnatio memoriae, capace di opporsi anche militarmente al potentissimo e tracotante alleato alzando la bandiera italiana a una vetta mai raggiunta dopo Vittorio Veneto, mentre nella fin troppo celebrata Seconda Repubblica del “nuovo che avanza”, un cittadino straniero è stato arrestato in territorio italiano dalle forze di polizia su ordine di uno Stato straniero e su mandato internazionale di una corte di Boston. Che ha evidentemente giurisdizione anche in Italia in prevalenza sui tribunali tricolori. Mai la bandiera italiana si è afflosciata tanto, fino a stendersi, speriamo non come un sudario, su una ragazza del tutto estranea alle trame spionistiche intercontinentali, chiamata ora a rispondere di quello che è stato un abuso: non osando gli americani arrestare Abedini a Lugano, dove lo tenevano strettamente sotto controllo, hanno atteso che per motivi di lavoro mettesse piede in Italia. Se è un terrorista o costruisce droni per le Guardie della rivoluzione, perché il governo italiano non lo ha a sua volta posto sotto controllo per scoprire cosa volesse fare in Italia, anziché arrestarlo subito e permettergli di protestarsi del tutto innocente, al punto da chiedere un dizionario italiano per imparare la lingua? E soprattutto cosa farà ora il governo Meloni? Concederà l’estradizione mettendo a repentaglio la vita di una concittadina ma ricevendo un “bravo, continua così” dalla Casa Bianca o riterrà prioritaria la libertà della Sala emulando l’esempio di Craxi? Il silenzio sul doppio caso spiega la difficoltà a trovare risposta a tale domanda. Converrebbe a Palazzo Chigi cercare di separare i due fatti, ma Teheran è stata molto furba a non pronunciare una accusa precisa come sarebbe quella usuale di spionaggio.
Epperò non è il silenzio del palazzo che sorprende. Fa specie il disinteresse o che sia la disattenzione dei talkshow, la reticenza dei catoni di casa, il mutismo degli opinion makers. Sembra di essere allo stadio quando il pubblico amico si zittisce al momento del calcio di rigore per non fare deconcentrare il tiratore. Ok, bocche cucite. Ma speriamo di non dovere poi osservare un minuto di silenzio.
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