giovedì 2 gennaio 2025

La barca neo-liberista fa acqua da tutte le parti ma sul Titanic si continua a suonare

Si può condividere o meno l’analisi classica dell’economia ma non si può negare che, sia Karl Marx sia Henry Ford, abbiano entrambi compreso quale sia il pilastro fondamentale di un’economia industriale: la forza lavoro deve guadagnare abbastanza per acquistare la produzione dell’economia.


 

Se la forza lavoro non guadagna abbastanza per avere reddito disponibile in eccesso – oltre alla sussistenza – da spendere nell’acquisto dell’enorme produzione di un’economia industriale, allora i produttori non possono vendere i loro beni/servizi con profitto, se non ai “pochi in cima” a cui forniscono prevalentemente beni di lusso, e questa non è un’economia industriale, è un’economia feudale di portata molto limitata e che nel tempo rivela la sua inconsistenza (il feudalesimo è scomparso molto tempo fa proprio per la sua insostenibilità).

Marx riconobbe – in negativo – che il capitalismo è un sistema autoliquidante, poiché il capitale ha il potere di ridurre i salari anche quando la produzione di un’economia industriale aumenta costantemente grazie all’automazione, alla tecnologia, etc. etc..

Henry Ford capì – in positivo – che se la sua forza lavoro non poteva permettersi di acquistare le auto che uscivano dalla catena di montaggio, allora la sua ambizione di vendere un’auto a ogni famiglia sarebbe rimasta una chimera irraggiungibile. (C’erano altri fattori in gioco, naturalmente: il lavoro era così “brutale e debilitante” che Ford dovette pagare di più solo per impedire ai lavoratori di andarsene).

Se cerchiamo di identificare quali sono, in ultima istanza, i tre pilastri che reggono l’economia, l’elenco convenzionale sarebbe:

1)la spesa dei consumatori (vale a dire la domanda aggregata);

2)la produttività e,

3)i profitti aziendali.

Questi però non sono in realtà i “veri” pilastri, sono invece il corollario del pilastro centrale: i lavoratori dipendenti devono guadagnare abbastanza per acquistare la produzione dell’economia.

Come mostrano le statistiche, spesso citate, negli USA – ma il discorso si potrebbe estendere anche all’Europa e, in particolare, all’Eurozona – il potere d’acquisto dei salari è in calo da quasi 50 anni, dalla metà degli anni ’70. Ciò significa che i “guadagni in eccesso” (rispetto alla sussistenza) della forza lavoro hanno acquistato sempre meno output dell’economia.

Esistono comunque tre modi per colmare il divario sempre più ampio che si è creato tra ciò che la forza lavoro ha da spendere e l’enorme produzione dell’economia:

1. Denaro distribuito dal governo. Il governo distribuisce “denaro gratuito” alla forza lavoro in forma di sussidi, tagli fiscali e crediti, o erogazioni dirette di denaro.

2. Credito abbondante e conveniente. Il costo del credito viene ridotto quasi a zero ed il credito è reso disponibile (direttamente od indirettamente) praticamente a tutta la forza lavoro, così i lavoratori possono prendere in prestito denaro per acquistare beni e servizi che non possono permettersi di acquistare con il loro reddito del momento. Ad esempio, se i tassi dei prestiti auto sono all’1,9%, l’interesse pagato annualmente è una somma irrisoria.

3. Bolle di asset. Un’ultima soluzione è quella di “aumentare” il valore degli asset tramite politiche monetarie (assai) espansive, per generare “ricchezza” non guadagnata che può essere spesa (sia prendendo a prestito utilizzando la nuova ricchezza come collaterale o vendendo gli asset in utile). L’aumento del valore degli asset via politica monetaria (quindi del “denaro gratuito”) genera infatti l'”effetto ricchezza”, la sensazione di benessere che deriva dal sentirsi più ricchi, che aumenta la fiducia e il desiderio di spendere più soldi.

Ognuna di queste soluzioni ha dei limiti intrinseci e invalicabili, e questo è il punto che gli attori di politica economica, specie i neo-liberisti ma non solo, si ostinano – in ultima analisi – a trascurare, fornendo giustificazioni per l’utilizzo di tutti e tre gli escamotage succitati (come strumenti) che però alla prova dei fatti non reggono. Vediamo perché:

1. Il governo “stampa” o prende in prestito il denaro che distribuisce alla forza lavoro. Nel tempo, i bassi tassi di interesse sono insostenibili, nonostante le affermazioni contrarie, e il volume di interessi pagati sul debito dello Stato “consuma” così tanto delle entrate dello Stato che inizia a limitare l’ammontare della spesa governativa. Una volta che la spesa statale ristagna o diminuisce, il “pilastro” si rompe e l’economia cade in recessione/depressione. In altre parole, dipendere dal governo per colmare il divario tra salari e produzione dell’economia risulta essere un sistema autoliquidante.

2. L’espansione del credito porta a inadempienze e fallimenti. Affidarsi invece all’incessante espansione del credito a fronte del potere d’acquisto calante dei salari è anch’esso un sistema autoliquidante: nel tempo il numero di mutuatari marginali aumenta costantemente, così come il volume di prestiti marginali emessi dai creditori. I mutuatari marginali vanno in default, innescando perdite che spingono i creditori alla bancarotta. Questo è, peraltro, un ciclo auto-rinforzante, poiché l’economia sprofonda in recessione mentre il credito si contrae. Più lavoratori perdono il lavoro e vanno in default, più prestiti diventano inesigibili e così via.

3. Le bolle speculative concentrano la nuova ricchezza nel 10% più ricco, esacerbando la disuguaglianza tra ricchezza e reddito e spingendo chi resta indietro a scommettere in un settore finanziario sempre più speculativo come unico mezzo disponibile per andare avanti. La speculazione è anch’essa un sistema autoliquidante poiché le scommesse sempre più rischiose alla fine “finiscono male” e le perdite innescano un feedback che si auto-rafforza di vendita di asset per raccogliere denaro che poi spinge le valutazioni al ribasso, innescando ancora più vendite e così via.

Tutti e tre questi pilastri che sostengono l’economia sono sistemi autoliquidanti e, almeno negli USA ma non solo, stanno tutti cedendo. Il debito federale statunitense sta “cozzando” contro i limiti che vengono dai crescenti pagamenti degli interessi sul debito in rapido aumento. I costi del credito stanno aumentando e non possono tornare quasi a zero in presenza di potenziali forti spinte inflattive. Tutte le bolle speculative alla fine scoppiano! Anzi: più salgono, più devastante è il crollo.

Più in dettaglio, negli Stati Uniti, la quota dei salari nell’economia è in declino strutturale dalla prima metà degli anni ‘70:

La barca neo-liberista fa acqua da tutte le parti ma sul Titanic si continua a suonare

Debito federale. C’è una via d’uscita “comoda”? Purtroppo, no: non possiamo “uscire dalla spirale del debito che cresce a velocità sempre maggiore ”gonfiando le bolle speculative e sovvenzionando la spesa dei consumatori” con il debito federale,

La barca neo-liberista fa acqua da tutte le parti ma sul Titanic si continua a suonare

Debito totale, pubblico e privato: questa è la variabile chiave, la pietra angolare e l’apice di un  sistema autoliquidante:

La barca neo-liberista fa acqua da tutte le parti ma sul Titanic si continua a suonare

ed anche qui siamo messi, come si può vedere nella figura precedente dove viene riportato lo sviluppo del debito insieme al PIL, piuttosto male.

I pilastri del credito ai consumatori (diretto ed indiretto, nelle varie forme) e dei prestiti federali stanno raggiungendo punti di rottura intrinseci e quindi tutto, in questo momento, dipende dalle bolle speculative nel settore immobiliare e azionario per continuare a gonfiare la ricchezza fantasma a tassi sufficientemente alti da sostenere maggiori prestiti (con i collaterali) e maggiori spese.

Il problema è che tutte le bolle speculative scoppiano, nonostante le affermazioni, risuonate ogni volta nel tempo, secondo cui “questa è una nuova era”. Tale convinzione era, per esempio, ampiamente diffusa anche nel marzo 2000, appena prima che scoppiasse la bolla delle dot-com e  che il Nasdaq crollasse dell’80%.

La barca neo-liberista fa acqua da tutte le parti ma sul Titanic si continua a suonare

Peraltro, i segnali di stress ed overstretch ci sono tutti, come ci indica di seguito il Buffett Indicator:

La barca neo-liberista fa acqua da tutte le parti ma sul Titanic si continua a suonare

Insomma, tutti e tre i pilastri che sostengono la spesa della forza lavoro negli USA stanno cedendo. Pianificate quindi di conseguenza! Fatelo perché i neo-liberisti, dopo aver promosso e propinato soluzioni miracolose, non accorreranno certo a salvare l’economia statunitense, anzi, probabilmente non si faranno neppure vedere… salvo sostenere che la situazione richiede “sacrifici per tutti” o, meglio, “quasi per tutti”.

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