LE LEZIONI DELLA STORIA – Non sono i crudeli mitomani della Cia né i fanatici di Hamas e simili che fanno girare il pianeta. Sia quando lavorano da soli sia quando, più spesso, operano di conserva, i risultati sono disastrosi.

(PINO ARLACCHI – ilfattoquotidiano.it)

Il tentato assassinio del primo ministro slovacco è tra i più efferati episodi di terrorismo accaduti in Europa occidentale negli ultimi decenni.
Sono state oltre 200 le vittime della strage di Mosca di meno di due mesi fa. E assistiamo sgomenti a un genocidio in atto a Gaza perpetrato dal terrore di Stato.
Come mai fatti di questa gravità non hanno fatto scattare la grancassa mediatica in Occidente? La strage del teatro è stata subito archiviata e l’attacco a Fico è rapidamente passato nel dimenticatoio. Quanto a Gaza, è tutto uno sfoggio di prudenza, compunzione e falso umanitarismo.
L’anomalia può essere attribuita all’imbarazzo dell’establishment occidentale di fronte a terrorismi dalla matrice sbagliata: israeliana, ucraina, atlantista o giù di lì.
Ma c’è anche un’altra interpretazione di cui tenere conto: quella della fondamentale impotenza politica del terrorismo.
È bene ricordare che il terrorismo è una strategia di lotta politica. È un metodo di azione che è errato identificare con un’ideologia, una parte politica o addirittura con una civiltà.


La storia insegna che il terrore dal basso, quello “dei privati”, dei piccoli giochi, raramente colpisce il suo bersaglio. Molto più spesso stimola un altro tipo di terrore, quello immensamente più devastante che viene dall’alto: il terrore degli Stati, quello dei grandi giochi. È stato l’11 settembre dello sceicco Bin Laden a generare l’invasione dell’Afghanistan e a facilitare gli interventi militari successivi contro i Paesi islamici.
Il terrorismo è un tentativo di abbreviare i tempi della politica. La sovversione terrorista si prefigge di far crollare i governi, stimolare insurrezioni e guerre, spaventare gli elettori, manipolare altri governi e Paesi. Con risultati quasi sempre nulli o controproducenti.

Certo, i danni del terrore di Stato non sono gli stessi di quelli del terrore dei privati. Quando gli apparati pubblici sono entrati in campo con le loro macchine di paura e di sterminio, le gesta dei signori delle bombe sono impallidite e i regimi assassini che le hanno seguite sono durati a lungo. Per avere un’idea della sproporzione tra i due tipi di terrore guardiamo a quanto sta accadendo a Gaza. Il terrore “privato” di Hamas ha causato 1200 morti. Il terrore di Stato di Netanyahu è un tentato genocidio da 35 mila vittime.
I grandi rivoluzionari del XX secolo furono scettici verso il terrore come strumento di lotta politica. E non per ragioni di principio, ma perché non ritenevano il terrorismo una strategia vincente.
Secondo Lenin il terrorismo poteva essere utile per brevi occasioni, ma in generale era controproducente. Era un segno della debolezza di un partito e della sua incapacità di conquistare il consenso popolare. Trotskij ribadì in seguito che le azioni di terrore, anche quando raggiungevano l’obiettivo, disorientavano la classe dominante solo per un breve momento. E il capitalismo come sistema, in ogni caso, non dipendeva dall’esistenza di un singolo membro del governo.
I leader del movimento operaio internazionale, perciò, optarono nettamente per l’azione collettiva, fatta di scioperi, manifestazioni e anche rivoluzioni, ma di massa, nelle quali la violenza non era in se stessa un valore.
I fatti della storia hanno abbondantemente provato la validità della critica socialista al terrorismo. Tra la metà dell’Ottocento e lo scoppio della Prima guerra mondiale ci fu la più grande ondata di attentati terroristici dell’epoca contemporanea. Gli anarchici, gli ultranazionalisti e i semplici spostati hanno ucciso o tentato di uccidere uno per volta quasi tutti i re, primi ministri e presidenti disponibili sul proscenio europeo, statunitense e giapponese.

Due primi ministri giapponesi furono assassinati e ci fu anche l’inaudito tentativo di uccidere l’imperatore. Tre presidenti americani, Lincoln, Garfield e McKinley, subirono la stessa sorte, mentre ci furono vari tentativi di assassinare Bismarck e l’imperatore di Germania. Lo zar Alessandro II fu ucciso nel 1881. Il presidente della Repubblica francese fu eliminato nel 1894. Come il primo ministro spagnolo nel 1897, l’imperatrice Elisabetta d’Austria nel 1898 e il re d’Italia, Umberto I, nel 1900.
Se a questi aggiungiamo l’assassinio del primo ministro russo nel 1911 e una nutrita sequela di attentati a figure politiche minori in altre parti del mondo, comprendiamo perché il largo pubblico finì col convincersi di trovarsi di fronte a un’unica gigantesca cospirazione anarchica.
Ma gli odierni manuali di storia contengono solo qualche fugace riferimento al tempo dei grandi assassinii. Perché? Per via del loro impatto minimo sul corso effettivo degli eventi. Superata l’emozione del momento, dopo ogni grande attentato, le ruote della storia ricominciano a girare come prima.
E l’assassinio dell’arciduca d’Austria a Sarajevo, che secondo il credo diffuso fece scoppiare la Prima guerra mondiale? I più autorevoli studiosi della materia affermano che la guerra ci sarebbe stata anche senza Sarajevo, perché c’era la volontà di farla da parte di tutti i maggiori protagonisti: prima o poi un incidente si sarebbe verificato nei Balcani, sul Reno, in Marocco.

In quasi nessun Paese del mondo i gruppi terroristici sono arrivati al potere in quanto tali, con le armi in mano. Solo dopo aver abbandonato la lotta armata ed essere confluiti in formazioni legali, si sono avvicinati al potere.
Sono oltre 60 i primi ministri e capi di Stato assassinati dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi, ma è difficile citare un solo caso in cui la politica di un Paese è stata radicalmente cambiata come risultato di un evento eversivo. Indira Gandhi è stata uccisa nel 1984. Suo figlio Rajiv Gandhi ha continuato nella sua scia, e la politica indiana non è cambiata in modo significativo neanche dopo l’assassinio di quest’ultimo. Non si è verificato alcun cambiamento nella politica americana come risultato dell’assassinio di Kennedy, né in quella svedese dopo l’omicidio Palme. Non fu l’uccisione di Aldo Moro nel 1978 a impedire ai comunisti italiani di arrivare al governo prima della fine della Guerra fredda. Gli apparati della sicurezza italiani agli ordini della Cia avrebbero comunque precluso questo esito prima del 1989.
Si può affermare che spesso, quando le azioni terroristiche si sono rivelate efficaci, lo sono state nella direzione opposta a quella voluta. L’impatto più rilevante delle azioni terroristiche in America latina verso la fine del Novecento, è consistito nell’aver accelerato la sostituzione di regimi democratici con dittature militari.
All’inizio del Terzo millennio il terrorismo continua a mantenere un legame con i grandi fatti della politica, e talvolta svolge un ruolo nelle partite a scacchi per l’egemonia mondiale. Ma il suo ruolo non è quello immaginato dai suoi protagonisti.
Non sono i crudeli mitomani della Cia né i fanatici di Hamas e simili che fanno girare il pianeta. Sia quando lavorano da soli sia quando, più spesso, operano di conserva, i risultati sono disastrosi. Per loro e ancora più per le loro vittime. Le trame reali del mondo sono più vaste e complicate delle loro paranoie.