So che accadono cose infinitamente più importanti e gravi nel mondo, ma mi permetto una riflessione della domenica.
Andrea Zhok
Sono venuto a sapere che si è tenuta una competizione canora chiamata “Eurovision”.
Non mi produrrò in una reprimenda verso gli spettatori, perché, dalle immagini che ho visto circolare, chi l’ha visto è già stato punito abbastanza, e non è il caso di infierire.
Scopro però anche che avrebbe vinto un tale Nemo, che si fa fotografare con i vestitini delle bambole addosso e gioca tutte le sue carte di talento canoro sull’ennesima eccitante “provocazione” di essere fluido (mi si è addormentato persino il braccio mentre scrivevo).
Ora, il signore / la signorina / l’ente perspirante (non mi sbilancio, barrate voi la casella appropriata) pare uno con le idee davvero chiare. E qui non scherzo.
Intervistato dice infatti: “Rendermi conto della mia identità mi ha reso libero.”
E qual è questa identità?
Lo dice lui stesso, ovviamente: Nemo = Nessuno (in latino).
Il nome è stato scelto in modo mirato perché l’unica identità che qui rende liberi è l’assenza di identità.
E questo è filosoficamente di grandissimo interesse, perché rende esplicito nel modo più chiaro un punto importante, che va al di là delle pacchianate decerebranti dell’Eurovision.
La libertà che viene assunta come l’unica vera libertà residua da questa “cultura generazionale” è la libertà negativa, cioè la libertà come possibilità di sottrarsi a ogni pressione esterna.
Ma anche lo stesso “Essere Qualcuno” è percepito come una forma di pressione esterna.
Dunque l’unica libertà realizzata è non essere nessuno.
Tutto ciò può sembrare molto suggestivo, new age, ma è in effetti una manifestazione esemplare di degenerazione motivazionale (o se vogliamo, di nichilismo militante). Infatti essere qualcuno, possedere (e coltivare) un’identità personale è la precondizione per ogni responsabilità, per ogni integrità personale, per ogni veridicità, per ogni volontà e progetto, e anche per ogni forma di affidabilità interpersonale.
Ma tutto ciò, tutti questi tratti etici che sono stati al cuore delle virtù personali nella variegata storia dell’umanità oggi vengono percepiti da questa cultura generazionale come un peso insostenibile, un onere.
La modernità neoliberale ha così vinto game, set e match.
Restano in giro identità vuote, liquide, malleabili, che nei pochi casi “vincenti” sono dei Nemo in carriera, mentre nel mare dei perdenti si tratta di rotelline intercambiabili che il sistema può disporre dove vuole, per il tempo che vuole, senza incontrare alcuna resistenza.
In attesa che vengano sostituiti definitivamente da un automa – che però rischia ormai di dimostrare maggior carattere.
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