Il ministero della Salute ha fissato limiti per la presenza nelle acqua potabili di Pfoa e Pfos, gli ‘inquinanti eterni’ più pericolosi, senza seguire le raccomandazioni dell’Istituto superiore di sanità.
ilfattoquotidiano.it Luisiana Gaita
Già nel 2019, infatti, anni prima che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dichiarasse nel 2023 cancerogeno il Pfoa e possibile cancerogeno il Pfos, la massima istituzione sanitaria italiana suggeriva l’adozione di parametri più stringenti rispetto a quelli che entreranno in vigore in Italia, solo a partire dal 2026, per le sostanze perfluoroalchiliche utilizzate in industria e chiamate ‘forever chemicals’ per la loro persistenza nell’ambiente.
E mentre molti Paesi sono corsi ai ripari, fissando
limiti a livello nazionale, l’Italia
non ha seguito le raccomandazioni dell’Iss. “Il documento dell’Istituto
superiore di Sanità conferma ancora una volta che c’è un evidente scollamento tra le indicazioni della scienza e le decisioni della politica in tema di Pfas” commenta Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
L’Istituto superiore di sanità: “Niente Pfas nelle acque potabili”
– Eppure a maggio 2019, l’allora presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, aveva risposto a una richiesta di valutazione del ministero della Sanità in merito alla pericolosità di alcuni Pfas, in particolare GenX e c604. In Unione europea si stava discutendo la proposta presentata nel 2018 dalla Commissione Ue di revisione della Direttiva sulla qualità delle acque destinate al consumo umano e l’Istituto superiore di sanità supportava il ministro della Salute nei lavori del Gruppo tecnico comunitario del Working Party on the Environment (Wpe) che conduceva la discussione. Nel documento, inviato alla Direzione generale della Prevenzione del ministero della Sanità, l’Iss ricordava che la rappresentanza italiana nel Wpe aveva “a più riprese enfatizzato la rilevanza che i Pfas rivestono”, spiegando che tali sostanze “non dovrebbero essere presenti in acque destinate al consumo umano” che, come sottolinea la stessa direttiva “devono essere salubri e pulite”. “Il nostro governo non ha tenuto conto di queste indicazioni con il decreto 18 del 23 febbraio 2023 con cui si recepiva la direttiva che ha fissato per la prima volta limiti per i Pfas nelle acqua potabili. Questo è un fatto gravissimo” aggiunge Giuseppe Ungherese.La discussione sulla revisione della direttiva – Nel documento del 2019 si ripercorre la genesi della direttiva che entrerà in vigore nel 2026. Nella sua proposta di revisione della direttiva, la Commissione Ue aveva chiesto di introdurre un valore limite di 100 nanogrammi per singolo composto Pfas e un valore di 500 nanogrammi per la somma di composti (‘Pfas totali’). La presidenza austriaca del Consiglio Ue aveva prima proposto un testo con valori più stringenti per Pfoa e Pfos, ma stralciando il parametro sugli altri Pfas. Proprio la rappresentanza italiana nel Gruppo tecnico che conduceva la discussione, riportava Brusaferro nel documento inedito, “sulla base delle valutazioni del gruppo di lavoro nazionale coordinato dal ministero della Salute con il supporto tecnico-scientifico dell’Iss e in sinergia con alcuni Paesi tra cui l’Olanda”, aveva portato il Consiglio Ue a introdurre anche il parametro ‘Somma di Pfas’ con un valore soglia di 100 nanogrammi per litro per composti di accertata rilevanza. E questo testo aveva raccolto un orientamento positivo.
Le conclusioni dell’Istituto superiore di Sanità su Pfoa e Pfos – “L’Italia – raccontava sempre l’Istituto superiore di sanità nel documento del 2019 – ha richiesto che venissero fissati valori specifici per Pfoa e Pfos, ancorché provvisori, quali quelli proposti in precedenza dalla presidenza austriaca e condivisi dal Consiglio Ue tra gennaio e febbraio 2019, ossia rispettivamente di 65 e 30 nanogrammi”. Un passaggio sottolineato, nelle sue conclusioni, dall’Istituto superiore di sanità, che ricorda come Pfoa e Pfos siano stati invece semplicemente inseriti nella lista dei Pfas da computare all’interno del parametro ‘Somma dei Pfas’. “Tuttavia – ribadiva Brusaferro – come espresso dall’Italia nel Working Party on the Environment, per Pfoa e Pfos dovrebbero essere adottati valori di parametro specifici, in quanto – sulla base delle più recenti valutazioni di Efsa – il valore contenuto nella ‘Somma di Pfas’ potrebbe non essere sufficientemente protettivo”. Cosa che l’Olanda, per esempio, ha fatto. Il Rivm, l’istituto olandese per la salute pubblica, ha identificato un valore limite di 4,4 nanogrammi per litro espresso il Pfoa equivalenti, un approccio attraverso il quale si può confrontare la tossicità di qualunque Pfas con quella della molecola di riferimento.
Cosa non ha fatto l’Italia – La direttiva, quindi, ha preso una sua strada con la definizione dei due parametri, uno di 100 nanogrammi per litro per la somma di venti Pfas (24 in Italia) e l’altro di cinquecento nanogrammi per tutti i Pfas (che, però, secondo alcune stime sono oltre 10mila). A quel punto, a prescindere dalla direttiva, l’Italia avrebbe potuto correre ai ripari in autonomia, così come hanno fatto altri Paesi, anche fuori dall’Europa. Ma non l’ha fatto. Il ministero della Salute ha fissato come valore massimo nelle acque destinate al consumo umano cinquecento nanogrammi per litro per i Pfoa e trecento per i Pfos. “In questi anni in molti comuni italiani è stata erogata acqua potabile che le indicazioni dell’Istituto superiore di sanità consideravano non sicura già dal 2019. Nello specifico – aggiunge Ungherese – basta guardare i valori riscontrati da Smat a Chiomonte, Gravere e San Colombano Belmonte, in provincia di Torino, a marzo 2023 (Pfoa rispettivamente pari a 82,96 e 74 nanogrammi litro), quelli di alcuni comuni piemontesi dell’Alessandrino (Alzano Scrivia, Castelnuovo Scrivia, Piovera) e della Lombardia (principalmente nelle province di Brescia e Bergamo) negli ultimi anni”. Tanto per avere dei termini di paragone, solo qualche settimana fa, l’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti (Epa) ha annunciato di aver fissato limiti molto bassi per la presenza nelle acque potabili di sei molecole del gruppo dei Pfas. In particolare, per Pfoa e Pfos, il limite fissato dall’Epa è pari allo zero tecnico.
Cosa si fa negli altri Paesi europei – L’Agenzia europea sulla sicurezza alimentare (Efsa) ha fissato nel 2020 una soglia massima settimanale di ingestione di Pfas (4,4 nanogrammi alla settimana per chilo di peso corporeo), per la somma di quattro sostanze (Pfoa, Pfos, Pfna e Pfhxs). E così, in Europa, alcuni Paesi hanno già imposto limiti anche cinquanta volte inferiori rispetto a quelli della direttiva, oltre al fatto che, a febbraio, 2023, Danimarca, Germania, Svezia, Paesi Bassi e Norvegia hanno presentato all’Echa, l’Agenzia europea che si occupa della regolamentazione delle sostanze chimiche prodotte e immesse in commercio, una proposta di revisione del Regolamento Reach del 2006 per la messa al bando. La Danimarca ha comunque posto un limite per la somma delle quattro molecole indicate dall’Efsa (Pfoa, Pfos, Pfna e Pfhxs) pari a due nanogrammi per litro e ne ha vietato l’utilizzo nei contenitori alimentari. Si muovono nella stessa direzione, per quanto riguarda la presenza di Pfas nelle acque, oltre all’Olanda, anche Svezia e la regione belga delle Fiandre, entrambe con un limite fissato a 4 nanogrammi al litro, in Germania questo valore sarà di 20 nanogrammi per litro dal 2028 e in Spagna, fino al 2026, sarà di 70 nanogrammi per litro per ognuno dei quattro composti. Lo scorso 4 aprile, la Francia ha deciso di vietare la produzione e la vendita di prodotti non essenziali contenenti Pfas.
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