martedì 2 luglio 2024

La crisi politica francese

I risultati delle elezioni politiche in Francia e le reazioni a questi ne certificano la profonda crisi politica.


Se questa crisi ha delle particolarità legate allo specifico contesto francese, possiede degli aspetti generali comuni a tutto il blocco occidentale, in particolare della UE.

È una profonda crisi di legittimità della classe dirigente che con le sue politiche neo-liberiste da un lato ed imperialiste dall’altro non ha più capacità di presa sulle classi subalterne: siano essi ceti popolari o la classe media in perdita di status.

Le varie fratture che abbiamo visto svilupparsi nel corso degli anni nell’Esagono dal movimenti dei gilets juanes alle mobilitazioni contro l’ennesima riforma delle pensioni, e le insurrezioni urbane in seguito all’uccisione di un giovane 17enne a Nanterre durante un controllo da parte delle forze dell’ordine, hanno finito per “sanzionare” il campo politico presidenziale dopo avere eroso progressivamente il consenso del “presidente dei ricchi” e del suo progetto politico.

Macron, ovvero colui che ha interpretato in maniera più calzante i desideri delle élite economiche europee di origine francese non è stato in grado di gestire non solo le crisi politiche contingenti – dal caso Benalla in poi – ma le sfide costituite dal cumulo di contraddizioni del sistema di produzione capitalistico di cui è alfiere assoluto.

Possiamo usare il termine “policrisi” riferendoci alla pluralità dei sintomi con cui si manifesta, ed il concetto di “permacrisi” sottolineandone la continuità temporale, ma la sostanza della crisi sistemica non cambia, come non muta l’incapacità delle classi dominanti di sfornare delle classi dirigenti in grado di saper cogliere le sfide che hanno di fronte di un capitalismo crepuscolare e senescente.

Il sistema si è inceppato in più punti, e nessuno – tra le classi dirigenti occidentali – sembra in grado di porvi rimedio.

Abbiamo più volte fatto luce sul ruolo di punta avanzata che la Francia con Macron ha scelto di esercitare nel coinvolgimento della UE nel conflitto tra NATO e Federazione Russa in Ucraina, della politica filo-sionista spinta fino ad indagare per “apologia di terrorismo” chiunque sostiene la causa del popolo palestinese (persino la capo-gruppo parlamentare del maggiore partito d’opposizione), tra l’altro rieletta al primo turno.

Ma abbiamo anche messo il luce a più riprese la fuga della Francia – e dell’Occidente – dal Sahel durante l’era Macron, così come la catastrofica scelta di esacerbare il proprio modus operandi neo-coloniale nei confronti delle popolazioni autoctone della Nuova Caledonia.

Insomma, se non si tiene conto della totalità fallimentare del progetto della macronie in tutti i campi della propria azione e che nei momenti di difficoltà è ricorsa a tutti gli stratagemmi che l’architettura istituzionale della Quinta Repubblica gli concedeva, by-passando non solo le istituzioni rappresentative come l’Assemblea Nazionale ma addirittura i membri del suo campo in ruoli apicali, non ci comprende come un progetto sia organicamente crollato.

Dissolvendo l’Assemblea Nazionale il 9 giugno, probabilmente la macronie ha accelerato il suo processo di dissoluzione, divenendo ormai a livello politico l’attore “terziario” dopo il Rassemblement National (RN) e il Nuovo Fronte Popolare (NFP).

Dalle sue macerie non nasce un’alternativa di sistema ma, per ora, l’affermarsi di una ipotesi d’estrema-destra “alla Meloni” assolutamente normalizzabile se rientra nelle compatibilità sistemiche imposte dalle oligarchie europee, in grado di esercitare un’indiscutibile egemonia nella “Francia profonda” (“peri-urbana” e rurale) lontana dai riflettori e da strati non trascurabili di subalterni.

Se vincerà sarà abbastanza libera di continuare a praticare quelle politiche scioviniste, xenofobe e razziste ed in generale politicamente regressive incubate dai suoi predecessori liberali e fatte proprie programmaticamente dallo schieramento tradizionalmente conservatore, e amplificate da una parte non secondaria dei media mainstream.

Potremmo dire che l’egemonia del RN è l’autobiografia di una nazione, il lato oscuro difficilmente occultabile che vota contro l’establishment politico ma per stabilire una “comunità escludente” che diventi un fortino di fronte ad un mondo che cambia in peggio.

Se l’alto tasso di astensione delle elezioni europee poteva far supporre che l’onda dell’estrema destra in Francia fosse un dato da relativizzare – trattandosi una fotografia parziale – , con un tasso di partecipazione elettorale inedito, il risultato alle politiche non cambia sostanzialmente in termini percentuali e aumenta in termini di voti assoluti e ne conferma il consenso per cui circa un francese su quattro – tra gli aventi diritto – sceglie il RN della Le Pen e di Bardella e la sua utopia regressiva.

Di fronte alla possibilità di un governo dell’estrema destra i tentennamenti di una parte del campo presidenziale e dei conservatori che non mettono come priorità assoluta sbarrare la strada alla RN sono la dimostrazione palese di come lo schieramento conservatore ed una parte dei centristi hanno fatto saltare la conventio ad escludendum che aveva caratterizzato il “fronte repubblicano” di fronte agli eredi dei collaborazionisti di Vichy per circa un quarto di secolo.

In Unione Europa i conservatori sono andati anche oltre, quindi c’è poco di cui stupirsi, ed anche in questo caso il supposto “eccezionalissimo” francese viene meno.

L’unico vero argine sembra essere il Nuovo Fronte Popolare, ma a che prezzo?

Rinunciare a candidare dei propri esponenti al ballottaggio se giunti in terza posizione, è l’ennesimo escamotage tattico per cercare di impedire all’estrema destra di giungere alla stanza dei bottoni, dopo aver di fatto rinunciato ad incarnare una reale alternativa, dopo avere deciso un programma decisamente moderato – per ciò che concerne la sinistra radicale – e con notevoli pietre d’inciampo in politica estera, tra cui l’inaccettabile sostegno militare al regime di Kiev.

Da propendere per l’uscita dalla NATO a fornire armi per il conflitto della Alleanza Atlantica alla Federazione Russa ce ne passa, così come passare dalla volontà di “rompere” i trattati europei a metterne in discussione molto parzialmente alcuni aspetti.

Ma in una situazione così delicata, non vogliamo certo infierire, ma rilevare – a differenza delle europee centrate in particolare sul sostegno alla causa palestinese – la gestione di queste elezioni anticipate rischia di fare fare dei passi indietro ad un posizionamento coerente di rottura e di trasformazione sociale.

Un ultimo aspetto che vorremmo mettere in evidenza è la possibile “dinamicizzazione” delle piazze in caso di vittoria dell’estrema destra in un clima di già forte mobilitazione polarizzante che renderebbe piuttosto dubbia la “governabilità” della Francia, tenendo conto che gli apprendisti stregoni della Le Pen non sembrano avere la stoffa per reggere le sfide contro cui Macron e soci si sono spaccati la testa.

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