mercoledì 3 luglio 2024

Ustica: che cos’è la verità?

Potrebbe sembrare persino blasfemo citare un celebre passo evangelico, dell’interrogatorio di Ponzio Pilato al Cristo (quid est veritas?), in riferimento a una straziante vicenda che si ripresenta da quarantaquattro anni alla coscienza civile e storica del nostro Paese.

 

clarissa.it Gaetano Sinatti

Non si può fare a meno tuttavia di porsi questa fondamentale domanda, leggendo la dichiarazione con cui la massima autorità politica della Repubblica Italiana ha ricordato l’anniversario della strage di Ustica, vale a dire l’abbattimento in quel cielo del velivolo civile DC-9 Itavia, nel quale persero la vita 81 italiani innocenti, fra cui donne e bambini.

«una piena verità ancora manca e ciò contrasta con il bisogno di giustizia che alimenta la vita democratica» – queste sono testualmente le parole presenti in quel breve testo.

La verità esiste

Ebbene, anche solo ad ascoltare la trasmissione televisiva in onda poche sere fa su una delle reti italiane, senza bisogno di menzionare l’immensa quantità di elementi che in questi quarantaquattro anni si sono via via accumulati su quell’episodio, diventa impossibile accettare che il vertice delle istituzioni di questo Stato possa oggi ancora affermare che una piena verità manca sull’abbattimento del DC-9 Itavia.

Esiste una piena verità da almeno undici anni, dalla sentenza n. 1831 emessa dalla Terza Sezione della Corte di Cassazione civile di Roma, in una causa intentata dai familiari delle vittime. Quella sentenza ha infatti accertato, come ebbi modo di sintetizzare su queste pagine, che «nei cieli di un paese sovrano un suo aereo civile è stato abbattuto nel corso di un’operazione di guerra, nella quale erano sicuramente coinvolti Paesi alleati, nello specifico la Francia e gli Stati Uniti d’America, oltreché, con ogni probabilità, un Paese vicino, la Libia».

Si tratta di una verità che una pluralità di concordanti testimonianze dimostrano fosse ben nota, fin da subito, ad almeno alcune delle più alte istituzioni militari e civili dello Stato italiano: e che, proprio per il loro silenzio e per le coperture adottate a più livelli, nel corso di oltre quattro decenni non è stato possibile individuare con nomi e cognomi i piloti che, nel corso di un combattimento aereo ingaggiato nei cieli italiani, hanno provocato la morte di quei nostri concittadini, che nessuna colpa avevano se non quella di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato.

Verità e responsabilità

È quindi del tutto diverso il concetto di verità che hanno gli Italiani che, come chi scrive, non sono assoggettati a compromessi, a potenze straniere, a dipendenze da qualsivoglia potere, cioè noi semplici e comuni Italiani – dal concetto che ne ha avuto e ne ha ancora, a leggere la dichiarazione citata, la classe dirigente che in questi quarantaquattro anni ha retto la Repubblica.

Gravissimo continuare a nascondersi dietro il fatto che mancano i nomi e i cognomi di chi avrebbe premuto il grilletto. Vogliamo ricordare che il 4 marzo 1999 la corte marziale di Camp Lejeune, negli Stati Uniti, dichiarò non colpevoli per la strage del Cermis, il capitano Richard Ashby e il suo navigatore Joseph Schweitzer, i due piloti statunitensi alla guida del velivolo militare dei Marines che, a Cavalese, in Trentino, il 3 febbraio 1998 tranciarono, in quel caso per il puro gusto di una manovra spericolata, i cavi della funivia del Cermis in Trentino, uccidendo venti civili innocenti. Possiamo immaginare quale giustizia avrebbe potuto ottenere un tribunale, italiano o estero, se pure i piloti militari colpevoli di aver abbattutto il Dc 9 I-TIGI fossero stati individuati!

Gli Italiani dispongono oggi sulla strage di Ustica di una quantità di verità più che sufficiente per attribuire ad almeno due Paesi cosiddetti alleati la responsabilità materiale dell’evento bellico nel corso del quale furono uccisi i passeggeri del volo di linea IH870; dispongono di una quantità di verità altrettanto sufficiente per attribuire ai vertici politici e militari dello Stato italiano la responsabilità di aver taciuto da allora in avanti ciò che essi sapevano su quella battaglia aerea, la cui dinamica è oramai definita.

Ragion di Stato e verità

Ripetere ancora una volta, come accaduto anche oggi, che non si conosce la verità su quanto avvenne il 27 giugno 1980, è ancora una volta il comodo paravento per non affrontare la questione di quei silenzi e di quelle responsabilità, che appartengono a vertici politico-militari italiani, oltreché a quelli esteri.

Ed è anche lo stesso comodo paravento che permette alle nostre istituzioni di non riconoscere queste più che sufficienti verità:

  • Paesi cosiddetti alleati hanno condotto nel nostro spazio aereo azioni di guerra contro uno o più Stati esteri, senza che fosse resa nota alcuna decisione politica in merito;
  • Paesi cosiddetti alleati hanno ucciso nostri concittadini e non hanno mai inteso assumersene la responsabilità, né rendere noto il contesto in cui ciò è accaduto;
  • né gli stessi Paesi né le nostre autorità politiche hanno mai rivelato le ragioni per cui si combatteva nel nostro spazio aereo;
  • nostre autorità militari furono comunque coinvolte in quella battaglia, come semplici spettatori, attraverso i rilevamenti dei nostri radar, o partecipandovi con nostri velivoli: in entrambi i casi operarono per tacere e nascondere quanto a loro conoscenza;
  • ripetute e coerenti azioni di inquinamento delle prove e depistaggi delle indagini sono state attuate da personale italiano ed estero in merito all’abbattimento del DC-9 Itavia.

È evidente che questi silenzi sono parte di un modo di procedere che è stato costantemente dettato dalla cosiddetta ragion di Stato: altro che democrazia, quindi!

Gravissimi devono essere quindi i segreti per i quali la ragion di Stato, italiana e alleata, è intervenuta e di cui ritiene di non potersi liberare nemmeno quarantaquattro anni dopo.

Chi era in guerra? Contro chi era la guerra? Quali obiettivi ha raggiunto, quali ha mancato?

Uno Stato pienamente sovrano avrebbe dovuto mettere in discussione la propria permanenza in quell’alleanza, se fossero stati solo gli alleati a negarci la verità.

Il fatto che questo non sia accaduto non è quindi da attribuire alla mancanza di una «piena verità», di cui i vertici dello Stato erano invece consapevoli.

La non piena verità giudiziaria si deve quindi attribuire proprio al fatto che lo Stato italiano ha avuto invece parte attiva in quell’evento, quanto meno proteggendone, al prezzo della verità giudiziale, gli evidentemente indicibili segreti.

Questa è la verità storica, la sola che conta, dopo quasi mezzo secolo: di questa deve prendere piena coscienza il nostro popolo, per chiederne conto alla classe dirigente che ancora governa questo nostro sfortunato Paese.

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