Questo non è un necrologio tenero, bisogna dire.
Anche nel caso di Wolgang Scaheuble utulizzare il parce sepulto sarebbe stato un insulto all’intelligenza. Degli uomini e dei popoli così duramente colpiti dalle sue paturnie, certo imposte con luciferina fermezza, dall’alto della straripante rendita di posizione tedesca in Europa.
Ma certo altrettanto criminali. Non solo negli esiti – alla fin fine terribili per la stessa potenza che ne aveva tratto i maggiori benefici, la Germania – ma anche sulla capacità dei cervelli di analizzare con serena lucidità i fatti e le teorie economiche che avevano reso credibile un rovesciamento totale del rapporto causa-effetto.
La straordinaria crescita del debito pubblico dei paesi europei più deboli considerata prova del loro amore per l’irresponsabilità contabile, invece che come prezzo pagato alle politiche scriteriate delle banche private tedesche e francesi che ne avevano finanziato la crescita senza badare agli squilibri macroeconomici che la moneta unica a quel punto nascondeva.
Era lo stesso gioco criminale che che proprio Schaeuble, insieme a Kohl, aveva condotto contro l’ex Ddr nel processo di riunificazione, l’Anschluss che ancora oggi spinge la povertà e la nazificazione nei lander orientali.
Un gioco possibile grazie a una banca centrale – come giustamente ricordato nell’articolo che vi proponiamo – che ha come unico obiettivo, per statuto, il contenimento dell’inflazione (e non anche un occhio all’occupazione, come è per la Federal Reserve ed altre banche centrali).
Una Bce costruita in quel modo proprio da Schaueble ed altri complici, tra cui quel Jacque Delors scomparso a poche ore di distanza da lui.
E non sembra un caso che solo l’interruzione di quel modo di funzionare – compreso il divieto di comprare i titoli del debito pubblico degli Stati in difficoltà – sia stata la mossa decisiva da fare per impedire che l’euro esplodesse trascinando a fondo tutta l’Europa.
Non perché l’autore della mossa – Mario Draghi – fosse migliore o diverso dai suoi pari. Lo scopo era in fondo solo quello di permettere che il gioco continuasse come prima della grande crisi del 2007-2010. Una mossa conservatrice, contro ogni cambiamento (peraltro impossibile, dentro il quadro di ferree regole europee costruite nei decenni).
Poi sono arrivati la pandemia e le guerre, a ricordare che nessuna regola può impedire al capitale di andare in crisi, ad intervalli quasi regolari. Che il segreto della sua vita, e della sua perpetua rinascita, è nella “spremitura” fino alla morte degli uomini e delle civiltà.
Sì, in effetti, la parabola di Schaeuble sa molto di Faust…
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Wolfgang Schäuble è stato un personaggio faustiano: si è illuso di aver consegnato l’anima alla virtù assoluta senza mai cedere alle lusinghe del debito pubblico, il demone che lusinga gli stolti.
Uno strumento che servirebbe ad accelerare la crescita economica ma che ottenebra la mente, richiedendo sempre nuovi finanziamenti in un vortice che ammanetta chi vi ricorre, e infine li schianta tra scadenze, rinnovi, e pagamenti di cedole sempre più alte.
L’arricchimento tedesco, iniziato con l’euro con una strepitosa accumulazione di attivi sull’estero, prevalentemente crediti, è stato determinato dagli squilibri commerciali e finanziari crescenti, altrettanto insostenibili se non peggiori dei debiti pubblici: senza i tassi di cambio che avrebbero immediatamente registrato le tensioni, in Europa la moneta unica aveva avvolto tutto in una sorta di nuvola sempre più cinerea, fino alla tempesta del 2010.
Gli attivi commerciali con la Grecia erano stati finanziati dalle banche tedesche e francesi, che si beavano degli alti tassi di interesse incassati, così come lo sbilancio della Spagna veniva compensato con enormi finanziamenti alle sue banche che li impiegavano speculando in campo immobiliare: né le famiglie greche, né quelle spagnole, avevano abbastanza risparmio per garantire l’enorme raccolta di credito dall’estero.
Fra il 2000 e il 2007 il pil della Grecia era cresciuto in termini reali del 32,4%, mentre il saldo della sua bilancia dei pagamenti correnti accumulava un disavanzo pari al 67% del pil e il debito dei privati passava dal 55,4% al 118,4% del pil.
In Spagna il pil era cresciuto del 28,9%, mentre la bilancia dei pagamenti segnava un passivo pari al 46% sul pil e l’indebitamento dei privati raddoppiava, passando da 122,3% del pil nel 2000 al 219,5% nel 2008.
Il pil dell’Italia era cresciuto solo del 7,3%: un’inezia, al confronto, determinata dalla politica fiscale costantemente restrittiva.
Per non parlare poi degli impieghi delle banche tedesche nelle cartolarizzazioni dei mutui subprime contratti dalle famiglie americane: anche qui, tutto era comprato a debito. Solo il ricorso agli aiuti di Stato, generosissimi, le salvò dal fallimento.
Intransigente sul debito
La virtù tedesca incarnata da Schäuble si fermava lì: alla limitazione del debito pubblico e alla ferrea gabbia posta con Maastricht che aveva funzionato benone.
Tutti gli altri rapporti commerciali e finanziari all’interno dell’area dell’euro, così come quelli tra Europa e Stati Uniti si divaricavano senza che si levasse mai la voce per fermare quella corsa a occhi chiusi verso il precipizio incombente.
Perché in fondo anche la Grande Crisi Finanziaria americana del 2008 si risolse in un nuovo rafforzamento del dollaro, accogliendo capitali in fuga da tutto il mondo, mentre l’euro barcollava sotto i colpi della speculazione che finalmente aveva trovato una preda adatta: senza una banca centrale capace di tutelare gli Stati in difficoltà, comprandone a vagoni il debito pubblico immettendo liquidità illimitata e finanziando il Tesoro che a sua volta faceva incetta di troubled asset.
All’Ecofin Schäuble non ebbe mai dubbi e martellava i debitori, i greci innanzitutto, che dovevano rendere conto fino all’ultimo euro, senza pietà.
Perché anche i crediti vantati dai tedeschi in fondo erano diventati come la moneta stampata senza sosta, l’illusione di Faust che in fondo alla miniera, scavando e scavando ancora, l’oro da qualche parte ci doveva pure essere.
E mai, inorgogliendosi, ebbe il dubbio che gli euro che affluivano senza sosta dai Paesi periferici alla Germania, gonfiando a dismisura i conti delle banche tedesche, rappresentavano un debito verso i depositanti: al contrario, contabilmente, sosteneva che nell’ambito del Target 2 era la Bundesbank a essere divenuta creditrice delle altre Banche centrali, che avevano distrutto moneta al loro interno al momento del trasferimento della valuta, mentre la prima lo aveva creato dal nulla per dare corso alla transazione.
Quel denaro era tedesco!
A nulla serviva il ragionamento concreto, per cui erano le banche tedesche che comunque dovevano trovare un impiego sicuro a quei depositi, affidati loro.
La stretta fiscale e il quantitative easing
Anche il Fiscal Compact appartiene a quell’epoca: a partire dal 2012 determinò una feroce stretta fiscale che ha frenato la crescita europea, creando le condizioni per una devastante deflazione dei prezzi cui solo l’ardimento di Mario Draghi seppe opporsi con il Qe.
Anche in quel caso vi fu arroganza: non solo l’acquisto dei titoli di Stato doveva essere imputato prevalentemente al bilancio delle singole banche centrali affinché si accollassero il rischio di un default, ma la Bce doveva comprare anche i titoli tedeschi facendone precipitare i tassi di molto sotto lo zero.
Fu così che gli investitori, prevalentemente stranieri, hanno finanziato la Germania riducendone il debito dacché alla scadenza delle obbligazioni incassavano un capitale nominale inferiore a quello sottoscritto.
Non è solo la carta-moneta di Mefistofele a essere fasulla, ma anche i crediti inesigibili. Essere corrivi con i debitori perseguendo un arricchimento senza sosta; è questa la vera dannazione.
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