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L’ONU, nelle scorse ore, ha pubblicato un rapporto in cui si fa luce sulle catastrofiche conseguenze del conflitto Israele-Palestina in Cisgiordania, dove, dal 7 ottobre – giorno in cui è andata in scena l’offensiva degli uomini di Hamas nel sud di Israele – sono stati uccisi ben 300 palestinesi, tra cui 79 bambini. Il report, stilato dall’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), ha parlato espressamente di un “rapido deterioramento” dei diritti umani nella Cisgiordania occupata ed esortato Israele a porre fine alle violenze perpetrate contro la popolazione palestinese. Tra le violazioni dei diritti umani documentate dall’OHCHR, vi sono l’“aumento dell’uso della forza non necessaria o sproporzionata” da parte Israele, con conseguenti “uccisioni illegali” e “arresti arbitrari di massa, detenzioni e segnalazioni di torture e altri maltrattamenti” da parte dell’esercito israeliano, nonché un “aumento esponenziale degli attacchi da parte dei coloni armati” e “restrizioni discriminatorie alla circolazione” che incidono “sulla vita quotidiana e bloccano l’economia locale”. L’ONU ha inoltre denunciato come, in alcuni casi, gli attacchi aerei dell’esercito israeliano siano stati condotti “in modo tale da far pensare a uccisioni illegali e mirate”.
Nel rapporto, in cui si approfondiscono i numeri riferiti alla fase compresa tra il 7 ottobre e il 20 novembre 2023, si mette nero su bianco che almeno 105 persone, tra cui 82 uomini e 23 ragazzi, potrebbero essere state uccise nella cornice di operazioni israeliane che hanno comportato attacchi aerei o altre tattiche militari nei campi profughi o in altre aree densamente popolate. Almeno otto persone, scrive ancora l’OHCHR, sono state uccise da coloni ebrei. All’interno del documento si evidenzia inoltre che circa 4.785 palestinesi sono stati detenuti in Cisgiordania dal 7 ottobre e che sei palestinesi sono deceduti durante la detenzione. In molti sono stati sottoposti a “percosse, isolamento dal mondo esterno e negazione di cure mediche”. In una dichiarazione dell’OHCHR sul rapporto si legge che alcuni di loro “sono stati denudati, bendati e legati per lunghe ore con le manette e con le gambe legate, mentre i soldati israeliani hanno calpestato loro la testa e la schiena, sono stati sputati, sbattuti contro i muri, minacciati, insultati, umiliati e in alcuni casi sottoposti ad abusi sessuali e violenza di genere”.
Lo scenario era già incandescente nel periodo precedente all’ultima offensiva: da gennaio a ottobre, il 2023 aveva infatti già visto “i più alti livelli di violenza da parte delle di sicurezza israeliane (ISF) e dei coloni israeliani contro i palestinesi della Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est, da quando sono iniziate le registrazioni delle Nazioni Unite nel 2005”. Poi, dopo il 7 ottobre, la situazione è precipitata. L’ONU ha denunciato come “la portata delle violazioni e la retorica della rappresaglia da parte dei funzionari israeliani” stiano “esacerbando le tensioni e creando le condizioni per incendiare una situazione già instabile”. I palestinesi, infatti, “vivono nel costante terrore dell’uso discriminatorio della forza dello Stato e della violenza dei coloni contro di loro” e tutto lascia pensare che la situazione “possa ulteriormente peggiorare”, a meno che Israele “non prenda misure urgenti per rispettare il diritto umanitario internazionale”.
L’OHCHR ricorda come Israele abbia “continuato a trasferire illegalmente i suoi cittadini negli insediamenti nei Territori palestinesi occupati”, mentre i governi israeliani che nell’ultimo decennio si sono succeduti “hanno costantemente avanzato e attuato politiche di espansione degli insediamenti e di appropriazione delle terre palestinesi”. Il numero di coloni israeliani in Cisgiordania, concentrati nell’Area C, è attualmente di circa 465.000, mentre a Gerusalemme Est è di oltre 230.000, per un totale di circa 700.000 persone. Tra il 7 ottobre e il 20 novembre 2023, l’ONU ha registrato 254 attacchi di coloni contro palestinesi, che hanno provocato vittime e/o danni alle proprietà, per una media di sei incidenti al giorno. Dal 7 ottobre, le autorità israeliane hanno poi imposto “sistematiche restrizioni alla circolazione dei palestinesi” in tutta la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, rimaste in vigore “fino al 19 novembre”. L’ISF ha infatti serrato “quasi tutte le entrate dei villaggi e delle città palestinesi all’accesso veicolare” e “scollegato le città e le cittadine palestinesi dalle strade principali”, attraverso posti di blocco, cumuli di terra o blocchi stradali in cemento, spesso con il supporto dei coloni.
Alla luce della gravissima situazione fotografata dal rapporto, l’ONU ha dunque ufficialmente chiesto a Israele di “prendere urgentemente provvedimenti per porre fine alle uccisioni e ai ferimenti di Palestinesi durante le operazioni nella Cisgiordania occupata”, garantendo che l’uso della forza “avvenga nel pieno rispetto del diritto internazionale e degli standard che regolano le operazioni di polizia”, nonché di “porre immediatamente fine all’uso di armi e operazioni militari nel mantenimento dell’ordine pubblico” e “assicurare l’effettiva protezione della popolazione palestinese contro la violenza dei coloni”. A tal fine, le autorità israeliane vengono sollecitate a mettere mano a “indagini approfondite e trasparenti” sugli efferati atti documentati, comprese le morti dei palestinesi nel corso della detenzione. L’ONU chiede inoltre a Israele di “eliminare tutte le restrizioni discriminatorie alla circolazione nella Cisgiordania occupata” e di “cessare immediatamente e completamente tutte le attività di insediamento nei nei Territori Palestinesi Occupati”.
[di Stefano Baudino]
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